IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Zitta o Balla!

di Maria Celeste Agrimi

Introduzione

Perché la taranta punse Maria di Nardò e la costrinse a ballare? Esistono ancora le tarantate? Come facciamo a riconoscerle, oggi? L’articolo “Zitta o Balla” cerca di rispondere a queste domande e ci offre alcuni spunti di riflessione sulle cause del rito del tarantismo e il vissuto delle donne colpite dal “morso del taranta”.

Maria di Nardò fotografata da Ernesto de Martino durante la cura domiciliare dovuta al “morso della Taranta”. Nel pomeriggio del 24 giugno 1959.

La storia di Maria di Nardò

Maria di Nardo’ era una raccoglitrice di tabacco e una spigolatrice. Aveva 29 anni ed era sposata da nove anni ad un contadino, spesso malato e disoccupato che non ha mai amato. Era particolarmente legata al padre e dopo che morì prematuramente, quando Maria aveva solo 13 anni, fu accolta con la madre prima nella casa di uno zio e successivamente in quella di una zia. Durante gli anni dell’adolescenza aveva vissuto ogni tipo di atrocità.

La prima “pizzecata” – puntura

All’età di 18 anni, la ragazza si innamorò di un giovane, ma per ragioni economiche, la famiglia di lui si oppose al matrimonio. Così l’uomo la lasciò. Maria soffrì molto per quell’abbandono, poiché fu il suo primo amore. Ed ecco, “una domenica di mezzogiorno” mentre Maria era alla finestra, la Taranta le diede un morso che la costrinse a ballare.

Intanto, su di lei, aveva messo gli occhi una donna che aveva un figlio da sposare (l’attuale marito). Maria le sembrava una moglie possibile per il figlio anche se tarantata.

Madre e figlio accompagnavano talora Maria alla Cappella di San Paolo in Galatina, per rendere omaggio al Santo. In una di quelle occasioni, la donna chiese a Maria di accogliere suo figlio per marito. Maria, dal canto suo, aveva ancora nel cuore il suo primo amore, così non si pronunziò.

La donna e il figlio non si diedero per vinti e continuarono a sollecitarla. Maria cercò rifiutare, ancora, affermando che San Paolo in una visione le ordinò di non sposarsi perché l’aveva chiamata a mistiche nozze con lui. Un giorno, però, Maria fu condotta fuori dal paese, in una masseria, dove i due la attendevano. Le proposero di scappare di casa e di convivere per qualche tempo. Era una pratica molto comune nell’epoca e serviva per affrettare il matrimonio (more uxorio). Di mala voglia, cedette alle insistenze e restò nella masseria.

La seconda “pizzecata”

Una mattina, Maria si alzò inappetente e debole, poco disposta, quindi, a sbrigare le faccende di casa. Il concubino le ordinò con modi bruschi di stirargli la biancheria e ne nacque una lite. Era domenica e il rintocco della campana indicò mezzogiorno. Mentre si recava a casa di una vicina per restituire il ferro da stiro, le apparvero i SS. Pietro e Paolo che le dissero: “Lascia tutto e vieni con noi” e così Maria scappò. Dopo aver vagato per tre giorni nei campi, fece ritorno nella masseria e dal concubino. Maria era convinta che ritornando in masseria, avrebbe provocato le ire di San Paolo. Infatti, per punizione la Taranta la punse per la seconda volta. Ballò incessantemente per nove giorni.

Epilogo

Tutti, in paese, vennero a conoscenza della convivenza di Maria con quell’uomo e per cancellare la vergogna si resero necessarie le nozze e Maria consentì. Come scrive De Martino, Maria al tempo stesso mantenne il suo rapporto stagionale con la taranta e col Santo, rinnovando crisi e ballo ogni anno, con spiccata elettività per i mesi caldi per il periodo catameniale e per l’avvicinarsi della festa di Galatina dei SS. Pietro e Paolo ogni 29 giugno.

La spiegazione di Ernesto de Martino

Ernesto De Martino , durante la sua ricerca sul campo nel Salento, scoprì che il “primo morso” della taranta avveniva dopo un momento di forte crisi:

  • la perdita di una persona cara,
  • la pubertà;
  • una delusione d’amore;
  • violenze…

Infatti, la taranta punse Maria di Nardò dopo che il suo primo amore la lasciò. Nel “morso del ragno”, la giovane trovò un modo per esternare la sua frustrazione e la sua infelicità. Sì, perché lei non amava il figlio di quella donna, lei non voleva scappare da casa sua e vivere in quella masseria con quell’uomo e di conseguenza sposarlo. Lei voleva solo essere libera di scegliere.

Ecco cosa si legge nel libro la Terra del Rimorso sulla spiegazione della storia di Maria:

in S. Paolo probabilmente, Maria sublimava il sogno di ricongiungimento con il suo primo amore che non aveva mai dimenticato; mettendo in difficoltà la vita coniugale e danneggiando economicamente la famiglia non amata che doveva accollarsi ogni anno le spese per l’esorcismo. Attraverso il morso della taranta scaricava la sua aggressività verso il marito e la famiglia che l’avevano costretta ad accettare un matrimonio infelice

Maria Di Nardó dopo quattro anni dai RI-MORSI

Dopo tanti anni dall’ultima intervista concessa a Ernesto De Martino, nel 1977, Maria di Nardò ritorna a essere l’oggetto di studio degli antropologi e dei ricercatori. Ha ormai 47 anni e si è risposata dopo la morte del marito. L’intervistatrice le pone le domande sul ragno, sulla musica, sul ballo, ma si rifiuta di ricordare e risponde in modo scostante ed evasivo. Desidera che quel periodo pieno di dolore e sofferenza rimanga nell’oblio e che non se ne parli più perché ora è guarita è una donna “perbene” ormai. Dato che non “balla” più da quattro anni e sta zitta, è una donna rispettabile adesso. In passato faceva “rumore”, aveva crisi, veniva punta dalla taranta; le donne che si comportavano in questo modo erano pericolose e pazze.

Riflessioni sulla storia della tarantata

Leggendo la storia di Maria di Nardó  con gli occhi del 2022, non  si può non riflettere su alcuni aspetti:

  • Quanto avrà sofferto Maria per la perdita del padre e per le angherie che subiva quotidianamente?
  • Quanto avrebbe voluto sfogarsi con qualcuno e raccontare tutto ciò che le capitava?
  • Come poteva una ragazza di 18 anni sopportare il fatto che la famiglia del suo primo amore si opponesse al matrimonio solo per ragioni economiche?
  • Come si poteva obbligare una ragazza a convivere e poi sposare un uomo che non amava?
  • Con quale coraggio si chiedeva a una donna di sopportare così tanto dolore, di tenerselo per sé e, in pubblico, fingere di essere felice?

Secondo la logica sessista dell’epoca, il compito di una donna era quello di rimanere sempre in silenzio e obbedire. Qualora non lo facesse, il suo comportamento veniva percepito come un “tradimento della posizione assegnata al genere femminile” come scrive Michela Murgia nel suo libro “Stai Zitta”. Facendo rumore e ribellandosi, come poteva alle decisioni del primo marito, Maria aveva compiuto il gesto più sovversivo che una donna potesse fare: URLARE DI DOLORE. Leggere “Stai Zitta” offre una possibile connessione tra patriarcato, le donne e il tarantismo.

Le Tarantate del XXI secolo

Ad un certo punto, l’intervistatrice chiede a Maria: “Ci sono ancora le tarantate?” La donna non risponde. In questa sede, lo faccio io per lei. Secondo me, sì ci sono ancora.

Tuttavia, le tarantate del 2022 non ballano seminude per giorni e notti intere e nessuna taranta le punge. Quelle di una volta si ribellavano in modo inconscio, non avevano la forza di lottare, quelle di oggi, invece, gridano apertamente contro le ingiustizie che subiscono

Sono donne che dopo anni di matrimonio infelice, abbandonano il tetto coniugale perché non tollerano più il ruolo della “brava moglie”. Sono quelle che tentano di tenere testa agli uomini nei dibattiti pubblici. Quelle che pretendono di avere un’indipendenza economica e affermarsi nel mondo lavorativo. Sono quelle donne che si ribellano alle ingiustizie, alle violenze fisiche e psicologiche commesse dagli uomini, alla disparità salariale tra uomo e donna. Quelle che si inorridiscono davanti alle mancanze di rispetto.

Tutte loro, chi piú chi meno, provoca orrore e indignazione negli uomini, figli della mentalità patriarcale. Così, le definiscono: pazze, isteriche, emotivamente instabili e – ciliegina sulla torta – non meritevoli delle attenzioni maschili. Solo le grazie di un Santo può farle rinsavire e farle stare “zitte e buone“, per citare il gruppo rock dei Maneskin.

Conclusioni

Mentre si prepara ad abbandonare l’intervista, senza il morso del ragno, Maria di Nardò esprime un commento. Un pensiero che “squarcia il velo” della vergogna che avvolge il fenomeno del tarantismo, un male sociale che ha contraddistinto il Salento:

“Quella era un’altra storia… Ora sto in casa mia, perché con quella gente cu c’inca stia ( con chi stavo) una volta, quelli erano tutti infami, per me. PER ME, SÌ, ERANO TUTTI INFAMI”.

Le tarantate non erano donne maledette, erano vittime della logica patriarcale e della conseguente violenza psicologica esercitata dall’uomo.

Maria non era pazza, aveva solo bisogno di tanto amore e rispetto.


Fonti : Video – “Donne e Religione”- Rai Storia;

Ernesto De Martino : “La terra del Rimorso” – il Saggiatore.

Michela Murgia: “Stai Zitta” , Einaudi 2021

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