Visioni di città: che fine hanno fatto i paesi?
Un confronto tra Santo Stefano di Cadore (Belluno) e Melpignano (Salento), dove si svolge il Festival “Notte della Taranta”.
di Enrico Conte
Una riflessione sulle trasformazioni in atto del fenomeno urbano, e sulle visioni che primi cittadini cercano di travasare sul territorio. Dopo il contributo dedicato a Trieste, e pubblicato i primi di luglio 2022, la tavola rotonda di oggi è dedicata ai paesi, ai piccoli centri, con interviste ad Alessandra Buzzo, ex Sindaca di Santo Stefano di Cadore (Belluno), a Valentina Avantaggiato, Sindaca di Melpignano (Salento-Lecce).
Seguirà una riflessione di Angelo Salento, professore di sociologia urbana dell’Università del Salento.
Risponderanno due Sindache, due donne, con uno sguardo che esporrà un punto di vista che aggiungerà a quello di amministratrici locali quello di genere.
D. L’Italia è un Paese con più di 8000 Comuni, la maggior parte dei quali con una popolazione inferiore ai 5000 abitanti. Quando, negli anni ’90, venne riformato l’ordinamento locale, contemplando l’elezione diretta dei Sindaci e un sistema elettorale che aveva lo scopo di assicurare la governabilità e la continuità politico-amministrativa, emersero i dati sui Comuni polvere, Enti locali piccoli e piccolissimi, tantissimi con meno di 1000 abitanti. La prima domanda che viene spontanea in questi giorni, tanto più incalzati dalla cronaca e dalla crisi del Governo Draghi, è questa: cosa consente sul territorio, e nei Comuni, di governare con continuità per 5 anni, e poi magari anche per gli altri cinque consentiti dalla legge sull’elezione diretta, rimettendo ai cittadini il compito di valutare, attraverso il proprio voto, il lavoro che è stato fatto e i risultati raggiunti dal Sindaco e dalla coalizione che l’ha sostenuto?
R. Alessandra Buzzo: Al di là delle appartenenze politiche che, anche nei piccoli Comuni, quasi fosse una tradizione, influiscono sulle scelte elettorali, conta moltissimo l’attaccamento al territorio, la sua conoscenza e le “battaglie” che le amministrazioni si trovano a combattere per garantire, su tutto, il diritto e la presenza dei servizi essenziali (sanità, istruzione, mobilità) e di conseguenza le opportunità lavorative.
R. Valentina Avantaggiato: I sistemi elettorali e di governo, statali e locali, sono molto diversi, tuttavia quello che conta, e che fa la differenza, è il livello di coesione all’interno delle coalizioni. Questo fattore funziona generalmente meglio nei piccoli centri, dove è più semplice concordare una linea politica legata spesso a questioni territoriali e concretizzarla negli anni del mandato. Chiaramente, l’attenzione alle questioni locali, l’attaccamento al proprio territorio non sono e non possono essere elementi esaustivi ai fini di una coesione politico-culturale e amministrativa all’interno di una maggioranza di governo. C’è infatti un altro fattore da considerare: la vistosa e ormai drammatica, a mio avviso, assenza del ruolo che un tempo svolgevano i partiti, intesi come strumenti di rappresentanza democratica ed espressione delle militanze territoriali, che consentivano l’elaborazione di maggioranze coese, unite da ideali comuni, tali da supportare visioni amministrative di lungo raggio e non limitate agli anni del mandato, né personificabili esclusivamente nelle figure di volta in volta elette. Questa assenza si percepisce nettamente a livello territoriale, con il proliferare di liste civiche e di sfumata colorazione politica. A livello statale poi la situazione si complica e si frammenta ulteriormente sul terreno della rappresentatività e dei contenuti, che dovrebbero essere linfa vitale di ogni azione politica.
D. Chiusa la fase acuta dell’emergenza dovuta alla pandemia che ha prodotto enormi problemi sanitari, economici e sociali, l’Italia si è dotata di un Piano, il PNRR, circa 230 miliardi, comprese le risorse complementari di Bilancio (per una parte da acquisire a debito), per riprendersi e per ripartire dopo i colpi inferti dalla diffusione globale del virus, per avviare la ripresa economico-sociale e, non ultimo, per cercare di superare i divari di genere, generazionali e di territorio. L’Italia che c’è ora da ricostruire, stando alla narrazione più diffusa, sembra fatta per lo più da città (piccole, medie e metropoli) o da Borghi: c’è da chiedersi, invece, che fine abbiano fatto i paesi che, stando alle statistiche, coprono la maggior parte del territorio nazionale.
R. Alessandra Buzzo: nella narrazione attuale si tende a enfatizzare i Borghi, scordandosi dei paesi che sono la vera comunità. I Borghi riguardano una dimensione urbanistica mentre nei paesi c’è la comunità, nei paesi i comportamenti individuali diventano pratica collettiva. Oltre l’enfatizzazione turistica dei Borghi c’è la non facile realtà quotidiana nel vivere nei paesi, specialmente quelli delle aree interne.
R. Valentina Avantaggiato: I Comuni sono l’anima dei territori. Citando Cesare Pavese…” un paese ci vuole, se non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Non chiamiamoli Borghi, entità astratta o animata in chiave turistica, è il paese che ti restituisce il senso della Comunità e la misura della difficoltà del viverci, come lo spopolamento, di cui tutti i centri minori soffrono. E’ difficile vivere nei piccoli comuni perché mancano spesso le infrastrutture necessarie, dai trasporti pubblici alla fibra ottica, dai servizi di welfare a quelli sanitari. E’ difficile per chi ci vuole vivere tutto l’anno, al di là delle passerelle turistiche. Il PNRR rappresenta, sulla carta, un’opportunità straordinaria per i Comuni, serve tuttavia il personale qualificato che tante volte manca, anche in termini numerici. Recentemente abbiamo partecipato (e vinto) al Bando Borghi, con una progetto predisposto insieme all’Università del Salento, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo nelle Langhe, fondata da Carlo Petrini, Slow Food nazionale e altre realtà locali, che mira a promuovere un approccio integrato e culturale al tema del “cibo”, inteso come paradigma di un nuovo modello di sviluppo sostenibile per il territorio, declinato in chiave agricola e produttiva, ma anche urbanistica, ambientale, sociale e sanitaria. Il nostro è un progetto di territorio e di comunità, che parte dall’osservazione di quanto sta avvenendo intorno a noi.
D. Proviamo ad usare la lente di ingrandimento: uno dei primi e più significativi divari è quello che riguarda il servizio dei Nidi d’infanzia, che accolgono i bambini fino a tre anni. Nonostante gli obiettivi di Lisbona 2010 ponessero per gli Stati l’obbligo di coprire il 33% della domanda potenziale, la diffusione del servizio è molto varia: medie diverse tra il Nord e il Sud, con il Centro-Nord con percentuali di copertura anche molto al di sopra del 33%, e con il Mezzogiorno con punte notevolmente inferiori. I Bandi che il PNRR vi ha dedicato in primavera sono stati in un primo momento prorogati per insufficienza delle domande da parte di alcune Regioni del Sud. Su queste premesse, e riprendendo un recente intervento di Isaia Sales, c’è da chiedersi se non sarebbe meglio considerare i “Nidi” come le Scuole d’infanzia, dando con ciò piena attuazione alla legge sulla “buona scuola” del 2015 che li fa rientrare nel campo dell’istruzione, e non più nei servizi a domanda individuale, con un costo a carico del singolo utente. Sempre Isaia Sales, ha recentemente ricordato che l’istruzione elementare è realmente diventata obbligatoria quando i maestri sono stati pagati dallo Stato, e non più dai soli Comuni che se lo potevano permettere. Quando cioè sono state finalmente create le condizioni per mettere sullo stesso piano (art 3 della Costituzione del 1948) tutte le aree del Paese in modo da garantire sull’insieme del territorio nazionale l’istruzione elementare per tutti.
R. Alessandra Buzzo: I Nidi sono un servizio importantissimo ed essenziale per le famiglie, uno strumento volto anche a combattere lo spopolamento nelle aree interne, oltre che a garantire pari opportunità. L’intervento di Sales, coglie appieno il senso delle pari opportunità. Definire i Lep (livelli essenziali delle prestazioni) vuol dire stabilire quali servizi devono essere offerti a tutto il paese per garantire i diritti sociali e civili dei cittadini (art. 3 della Costituzione). Ma, una volta stabiliti, vanno garantiti (ndr anche con le risorse di parte corrente, quelle più problematiche perché incidono sugli equilibri dei bilanci locali).
R. Valentina Avantaggiato: Quanto sostenuto da Isaia Sales per i servizi educativi, quali sono i Nidi d’infanzia, è condivisibile, se garantiti dallo Stato eviterebbero discriminazioni territoriali, tanto più in presenza di aree connotate da fragilità e disparità anche di genere e generazionali (ndr le disparità che si vorrebbero diminuire con i fondi del PNRR). Ma vale anche per le infrastrutture materiali e della mobilità: penso, per esempio, al mancato utilizzo di quel complesso sistema fatto da binari e stazioni anche piccole che collegano i numerosi centri del Salento che avevano bisogno di caricare il tabacco, e vale adesso per le connessioni internet che possono aiutare cittadini e imprese. E’ compito dello Stato farlo, anche in chiave di sussidiarietà verticale. A fronte di tali investimenti strutturali, sarebbe più semplice stimolare un successivo investimento privato tale da creare nuove opportunità lavorative ed economie sane.
D. Parliamo del clima e dell’emergenza energetica, accelerata dalla guerra in Ucraina. Il suo paese è interessato dalla siccità e dalle sue conseguenze? Mi ha colpito scoprire a Comelico Superiore, lungo il torrente Padola, la “Stua”, uno sbarramento artificiale che risale al XIV secolo, quello ora visibile è del 1818, unico nel suo genere rimasto in Europa, realizzato in legno e in pietra viva, che rende possibile la fluitazione del legname, il trasporto dei tronchi fino al Piave. Non è forse un’infrastruttura non energivora e sostenibile ante litteram?
R. Alessandra Buzzo: L’emergenza climatica, energetica, dell’acqua ci riguarda tutti. Anche nei paesi di montagna, in quelli in quota, l’emergenza climatica si fa sentire con tutta la sua drammaticità. Questa realtà attuale e futura obbliga ad una presa di coscienza dei singoli cittadini e delle amministrazioni, che dovranno adottare comportamenti e scelte responsabili ed adeguate all’emergenza. Anche i modelli di sviluppo turistico devono obbligatoriamente essere rivisti e progettati con una nuova visione e responsabilità.
D. Il PNRR ha dedicato una quantità importante di risorse ai Borghi, quel filone di finanziamento però richiede che si rientri nella sua nozione…..”insediamenti storici chiaramente identificabili e riconoscibili nelle loro originarie caratteristiche tipo-morfologiche, per la permanenza di una prevalente continuità dei tessuti edilizi storici e per il valore del loro patrimonio storico-culturale e paesaggistico…… con un modello astratto che sembra associarsi al bisogno di spazi di fuga dal sovraffollamento e dalla bruttura dei contesti metropolitani, di recupero di una dimensione del vivere associato a misura di uomo, di una qualità di vita e di un senso di appartenenza ritrovato e accresciuto, il tutto in una cornice estetizzante molto spesso decontestualizzata, letteralmente fuori luogo” (Letizia Bindi).
R. Alessandra Buzzo: Sì, la narrazione dei Borghi, la loro enfatizzazione, pur riconoscendone il valore storico e paesaggistico, è assolutamente “astratta” e lontana dalla reale difficoltà del vivere nei paesi, che stanno patendo un drammatico spopolamento. La SNAI (il servizio nazionale per le aree interne, ndr) bene ha individuato i servizi principali che permettono alle persone di restare nei paesi (sanità, mobilità, istruzione). A fronte dei servizi essenziali e del riconoscimento dei diritti e delle pari opportunità delle persone che vivono nelle aree marginali, ecco che si possono creare nuove opportunità lavorative anche attraverso il lavoro a distanza, sempre ci siano collegamenti internet adeguati. Non solo turismo nei paesi, quindi, ma anche nuovo valore per agricoltura, allevamento, artigianato e virtuose filiere corte accompagnati da progetti di comunità.
R. Valentina Avantaggiato: ribadisco quanto detto prima, l’intervento in infrastrutture a livello statale è necessario a ripianare il gap di opportunità tra le aree interne o marginali e il resto di Italia. Noi ci stiamo provando a innestare processi virtuosi, a progettare e a non perdere nessuna possibilità per il nostro Comune, partendo dalla consapevolezza delle nostre ricchezze e dei punti di forza ma anche delle lacune, con l’obiettivo di provare a colmarle. Fondamentale, per non arroccarsi nel proprio piccolo, è avere, in ogni azione, lo sguardo sempre attesto al contesto globale, in termini culturali, ambientali, climatici e geopolitici.
D. Xylella fastidiosa, la distruzione di 21 milioni di ulivi nel Salento ha interessato anche il suo paese? Come pensa che l’economia del territorio possa uscirne? Basteranno nuovi impianti?
R. Valentina Avantaggiato: Uno dei problemi strutturali che ha messo in luce il complesso del disseccamento rapido delle piante di ulivo è stato quello della monocoltura. Se per un verso avere alberi secolari e anche millenari ha arricchito la bellezza del paesaggio, costituendo un tratto distintivo della fisionomia del Salento, per altro, il non aver diversificato le produzioni ha generato il collasso di gran parte del settore agricolo, costituito in buona parte dal settore olivicolo, mettendo in ginocchio piccoli contadini e grandi produttori di olio. Puntare sulla valorizzazione della ricca agro-biodiversità del nostro territorio è oggi fondamentale per non rischiare di cedere a nuove forme di monocultura e per favorire una diversificazione produttiva di eccellenza e biologica, che genera economie sane e sostenibili, nel rispetto dell’ambiente e della salute. L’ agro-biodiversità è una ricchezza. Anche questo ci ha guidato nella stesura del progetto avviato con l’Università di Scienze Enogastronomiche di Pollenzo, nelle Langhe, o nell’avvio di progetti come il “Mercato del Giusto” e la “Mensa Etica a km0”, volti a sostenere le produzioni “resilienti” (ndr “la restanza” della quale parla diffusamente l’antropologo Vito Teti) di giovani contadini che puntano su di una agricoltura etica, giusta e biologica.
D. Parliamo della capacità amministrativa degli enti attuatori del PNRR e delle stazioni appaltanti, sulle quali si è espressa anche recentemente la Svimez, nel suo Rapporto 2022, dove risulta messo in discussione “il meccanismo competitivo di allocazione delle risorse…. mettere in competizione gli Enti locali – prosegue il Rapporto – ha allontanato il PNRR dal rispetto del criterio perequativo che avrebbe dovuto orientare la distribuzione territoriale delle risorse disponibili, per raggiungere l’obiettivo di riequilibrio territoriale”. Sono sufficienti gli sforzi che sono stati fatti dal governo nazionale e dalle Regioni in questi ultimi due anni per abilitare il Paese a spendere le risorse entro il 2026, oppure ha ragione la Corte dei Conti che ha recentemente detto che “ci vorrebbe uno sforzo maggiore in fase di programmazione, al fine di evitare il sovrapporsi di finanziamenti e di interventi, operazione questa che richiederebbe a monte una importante riqualificazione della pubblica amministrazione, tale da consentire una pronta individuazione degli interventi, in uno con adeguate modalità di monitoraggio dell’attività svolta”.
R. Alessandra Buzzo: Nelle pubbliche amministrazioni dei piccoli comuni, problema fondamentale ed impellente è quello della mancanza di personale adeguato alla intercettazione e sviluppo dei bandi. Oltre alla formazione del personale, fondamentale sarebbe uno snellimento nelle procedure di selezione da parte delle piccole amministrazioni.
R. Valentina Avantaggiato: gioca un ruolo decisivo, e proattivo, quel Comune che ha saputo investire, per tempo, sulla qualità e sulla capacità delle sue risorse umane. Non è sempre così nei piccoli comuni, vessati dalla carenza cronica di personale e dalle lungaggini amministrative che rallentano i processi di selezione e individuazione del personale necessario a supportare lo sforzo richiesto dal PNRR.
D. Denatalità e sopravvivenza dei piccoli centri. Il rapporto tra crescita demografica e sviluppo urbanistico si è interrotto significativamente da circa 20 anni. E da quando(2014), come argomenta Alessandro Rosina, la popolazione è entrata in una fase di progressiva riduzione: dall’inizio di questo decennio gli anziani (ultra 65enni) hanno definitivamente superato i giovani (under 25). Si può fare qualcosa, magari puntando su politiche integrate tra il centro-Stato (fisco e contributi) e la periferia-Regioni-Enti locali (per servizi pubblici e privati di prossimità), o non resta che affidarsi all’immigrazione come risorsa?
R. Alessandra Buzzo: L’immigrazione sicuramente può essere, ed è, una risorsa che va accolta ed accompagnata. Fondamentale però una reale attenzione della politica per le aree marginali, che permetta loro di avere strumenti anche fiscali adeguati e di perequazione. La legge della montagna andava in questa direzione, ma si teme che la caduta del governo Draghi ne infici la realizzazione.
D. Parliamo del rapporto dei piccoli Comuni con lo Stato e con le Regioni: chi dei due livelli istituzionali è più lontano, e perché, dalle esigenze dei territori? Qual è stato, se c’è stato, il coinvolgimento del suo Comune nella riforma dei servizi sanitari che, a conti fatti, sono la più compiuta riforma già scritta nel PNRR e che attende “solo” di essere realizzata con la costruzione-ristrutturazione degli Ospedali e delle Case di comunità e con i servizi sanitari di Distretto, che prevedono la telemedicina, con l’utilizzo dei sensori per monitorare i valori sanitari del corpo umano.
R. Alessandra Buzzo: Per quanto riguarda la situazione del territorio marginale in cui vivo, il Comelico, incuneato tra regioni a statuto speciale (Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) e confinante con l’Austria, sia Stato che Regione sono completamente lontani e non realmente consci delle nostre difficoltà, complice anche l’esiguo numero di abitanti, ininfluente da un punto di vista elettorale. Il mio mandato è terminato nel 2019 e fino ad allora, pur con molte criticità, la SNAI è stata l’unico tentativo concreto per far crescere la comunità. All’interno della SNAI i servizi sanitari territoriali avevano un’attenzione particolare.
D. Proviamo a usare il nostro pensiero laterale, parliamo di musica, arte e di musei. Quella dei musei sembra essere una moda che risponde a un bisogno diffuso di cultura e bellezza. Pensa che l’arte, magari nella sua versione di arte pubblica per le strade e sugli edifici pubblici, possa concorrere a realizzare progetti che sviluppano il suo territorio? Che ruolo ha avuto e ha tutt’ora il Festival della Taranta?
R. Alessandra Buzzo: L’arte è bellezza e i nostri paesi hanno certo bisogno di riscoprire e nutrirsi anche di bellezza! E’ nutrimento dello spirito e della mente, è dotarsi di uno sguardo sul mondo più ricco e più capace di affrontare e risolvere i problemi è, alla fine, disporre di una “visione umanistica” che non si esaurisca nella pura dimensione tecnica.
R. Valentina Avantaggiato il Festival della Taranta (ndr giunto alla sua 25a edizione, disponibile su Rai Play, con Dardust come maestro concertatore, e con Madame e Massimo Manera: imperdibili gli ultimi 10 minuti della serata con la canzone della Kalinifta, interpretata, usando la tradizionale lingua del griko, diffuso nella Grecìa salentina, da Elodie, Marco Mengoni e Samuele Bersani) nasce dal sogno di portare la nostra cultura, minoritaria e confinata in un cono d’ombra, a dialogare con il resto del mondo mediante il linguaggio della musica. Nasce dall’orgoglio delle proprie radici e dalla consapevolezza della ricchezza di una cultura contadina intrisa di vissuto e sofferenza, emigrazione e sfruttamento; una cultura generosa e solidale, piena d’amore. La contaminazione, la ricerca, la capacità di osare a partire dalla conoscenza delle fonti e dei testi della tradizione, di innestare generi musicali diversi che diventano altro quando sono insieme, ciò che eleva il Festival ad una dimensione internazionale, portando tutti a ballare al ritmo incessante della “pizzica” sempre nuova, sempre diversa ogni anno. E’ un progetto di ricerca continuo e aperto a nuove sollecitazioni e scambi culturali e non si dovrebbe esaurire nel ruolo del maestro concertatore, fondamentale, ma dovrebbe coinvolgere tutto l’anno le attività di preparazione del Festival (ndr un progetto di scambi culturali per mettere in relazione generativa mondi diversi e lontani che, nella sua versione originaria e abbozzata, ricevette il sostegno di Michail Gorbaciov, con uno scambio di ospitalità tra gruppi musicali russi e italiani, con i Litfiba e gli CCCP in concerto a Mosca). Tra gli enti fondatori della fondazione Notte della Taranta vi è l’Istituto Diego Carpitella, di cui il Sindaco di Melpignano è il Presidente pro-tempore e che si occupa di ricerca, valorizzazione e promozione del patrimonio materiale e immateriale legato alla cultura popolare. Sempre grazie al Bando Borghi riusciremo ad avviare la creazione del primo archivio storico e pubblico del tarantismo a cura dell’Istituto, aperto a studiosi, ricercatori, appassionati e musicisti che potranno così attingere ai testi della tradizione per nuove produzioni musicali. Un archivio pubblico legato al territorio e al Mediterraneo.
D. Il premio Nobel della Fisica Giorgio Parisi, invita i Comuni a promuovere l’uso del fotovoltaico sui tetti delle case, pubbliche o private che siano, magari associando queste iniziative di promozione con quelle per la diffusione di comunità energetiche, nel quadro di una tendenza delle giovani generazioni a preferire alla proprietà l’uso condiviso di beni (sharing economy)
R. Alessandra Buzzo: Le comunità energetiche, i crediti di carbonio forestale, l’uso condiviso dei beni comuni, i servizi di prossimità, le cooperative di comunità ecc….sono il futuro.
R. Valentina Avantaggiato: Il progetto della comunità energetica di Melpignano nasce dalla volontà di intervenire come pubblico, nel complesso contesto della produzione di energia, dipendente soprattutto da fonti fossili. La questione non è mai stata affrontata adeguatamente a livello nazionale con un piano energetico strutturato ed è aggravata, oggi, dal contesto geopolitico. Il progetto della Comunità di Energia Rinnovabile è di portata rivoluzionaria: agendo collettivamente si ottengono molti più benefici e vantaggi rispetto all’iniziativa singola e questo vale in ogni settore.Abbiamo già chiuso lo studio di fattibilità che ci ha dato risultati molto positivi: riduzione del 20% del costo dell’energia in bolletta per circa 500 nuclei familiari e 40 utenze “altri usi”, grazie a pannelli fotovoltaici installati su 10 edifici pubblici. L’obiettivo è quello di invertire il paradigma, diventare produttori di energia sana offrendo un‘alternativa in un territorio già in difficoltà, nel quale assistiamo ad una svendita dei terreni: Xylella, incendi e abbandono hanno reso improduttivo il suolo e aprono la strada ai grandi investitori in energia fotovoltaica in campo agricolo.Ma si conoscono le conseguenze di queste iniziative? Ci si rende conto del pericolo che rappresentano? Per questo bisogna agire per tutelare e valorizzare i terreni, perché rimangano a destinazione agricola e siano interessati, invece, da processi di agro-forestazione o forestazione, per ricostruire il nostro polmone verde e provare a rilanciare l’economia agricola di questo territorio. La comunità Energetica Rinnovabile è un progetto che può avere tantissime ricadute positive sul territorio: in primis sensibilizzare i membri della comunità rispetto all’uso razionale dell’energia; ridurre la spesa energetica delle famiglie, con particolare attenzione ai consumatori vulnerabili, costruire relazioni reciprocamente vantaggiose tra gli stakeholder (imprese, Comune, famiglie, soggetti della filiera coinvolti) trasmettere competenze e formare risorse locali in tema di gestione energetica, allo scopo di creare nuove opportunità di lavoro in ambito energetico.
Enrico Conte