Unicredit e BPM: Fusione o prove di Monopolio? La Sfida del Futuro Bancario Italiano
di Pompeo Maritati
L’ipotesi di acquisizione della Banca BPM da parte di Unicredit solleva questioni di grande rilievo per il sistema bancario italiano, già da tempo al centro di un processo di concentrazione che sta ridisegnando profondamente il panorama finanziario del Paese. La Banca BPM rappresenta il quarto gruppo bancario italiano, con una quota di mercato pari al 7% delle attività bancarie, una presenza significativa che garantisce non solo servizi ai clienti ma anche una rete di sportelli capillare che, nel tempo, ha costituito un punto di riferimento per il tessuto economico e sociale delle aree in cui opera. Un eventuale accorpamento con Unicredit rafforzerebbe ulteriormente la posizione dominante di quest’ultima, consolidando una progressiva concentrazione del potere bancario sul territorio. Tuttavia, questa dinamica solleva preoccupazioni in termini di concorrenza e pluralismo, elementi fondamentali per garantire un sistema bancario equo e bilanciato, che possa rispondere alle esigenze di una clientela sempre più diversificata. L’eliminazione graduale della concorrenza tra gli istituti bancari rischia di generare monopoli operativi, con effetti negativi sull’innovazione, sulla qualità dei servizi e sui costi a carico dei consumatori.
Oltre agli aspetti legati alla concorrenza, non si può ignorare il drammatico impatto che queste fusioni hanno sul piano occupazionale. La progressiva riduzione degli sportelli bancari, già in atto da anni a causa della digitalizzazione dei servizi, verrebbe ulteriormente accelerata da un’operazione di questa portata. La diffusione dei sistemi di home banking e di piattaforme online, che aumentano la redditività delle banche riducendo i costi operativi, ha già portato a una riduzione significativa del personale impiegato nel settore. Se da un lato l’innovazione tecnologica è una necessità inevitabile per rispondere alle esigenze di un mercato sempre più orientato verso la rapidità e l’efficienza, dall’altro lato non si può ignorare il costo sociale che queste trasformazioni comportano. Migliaia di lavoratori rischiano di trovarsi esclusi da un settore che una volta rappresentava un pilastro dell’occupazione stabile e qualificata in Italia.
La questione delle fusioni bancarie, che il legislatore consente entro certi margini per favorire la stabilità del sistema, richiede oggi una riflessione più ampia. È necessario porre dei limiti più stringenti alle operazioni di consolidamento, per evitare che il mercato bancario italiano si trasformi in un’arena dominata da pochi colossi capaci di dettare condizioni non solo ai consumatori, ma anche ai piccoli e medi imprenditori, che spesso trovano nelle banche di dimensioni contenute un interlocutore più flessibile e vicino alle esigenze locali. In questo contesto, l’acquisizione di BPM da parte di Unicredit rischia di trasformarsi nell’ennesimo passo verso un modello finanziario che privilegia la massimizzazione del profitto a discapito della presenza sul territorio e della reale concorrenza.
Le fusioni bancarie non sono un fenomeno nuovo, ma quello che preoccupa oggi è la mancanza di un equilibrio tra l’espansione delle grandi banche e la tutela di un sistema finanziario diversificato e sostenibile. Nel mio libro Il potere della finanza ho analizzato come il sistema bancario, oltre ad aver acquisito una centralità economica senza precedenti, si sia progressivamente dotato di una propria autonomia morale, svincolata dalle esigenze delle comunità che dovrebbe servire. La finanza sembra essere diventata un fine a sé stessa, incapace di riconoscere il valore sociale del proprio ruolo e sempre più orientata verso una logica di concentrazione che impoverisce il tessuto economico e sociale del Paese. In un contesto come quello italiano, dove le Piccole Medie Imprese costituiscono il cuore pulsante dell’economia, l’erosione della presenza territoriale delle banche rischia di avere effetti devastanti sulla capacità di accesso al credito, con ricadute negative sullo sviluppo e sulla crescita economica.
Un secondo aspetto da considerare riguarda l’impatto culturale e operativo di queste fusioni. La perdita di marchi bancari storici, spesso radicati profondamente nelle realtà locali, porta con sé anche una perdita di identità e di rapporti di fiducia costruiti nel tempo tra le banche e le comunità che servono. La logica della centralizzazione, se da un lato promette efficienza e razionalizzazione, dall’altro lato si traduce spesso in una distanza crescente tra gli istituti bancari e i loro clienti. Questo fenomeno è particolarmente grave in un Paese come l’Italia, dove la relazione personale e la fiducia giocano ancora un ruolo centrale nei rapporti economici e sociali.
Un limite più rigoroso alle fusioni bancarie potrebbe rappresentare una risposta necessaria a queste sfide, ma ciò richiede anche una revisione delle normative europee, che in molti casi favoriscono le operazioni di consolidamento per garantire la competitività internazionale delle banche europee rispetto ai giganti americani e asiatici. Tuttavia, questa visione rischia di sacrificare gli interessi locali sull’altare della competizione globale, con conseguenze che vanno ben oltre il semplice calcolo economico. La politica e le istituzioni devono tornare a svolgere un ruolo di vigilanza attiva, imponendo regole che proteggano non solo la stabilità del sistema, ma anche la sua equità e la sua capacità di rispondere alle esigenze di una società in continua evoluzione.
In conclusione, l’ipotesi di acquisizione della Banca BPM da parte di Unicredit deve essere analizzata non solo come un’operazione economica, ma come un tassello di un processo più ampio che rischia di trasformare profondamente il sistema bancario italiano. È necessario un dibattito pubblico che coinvolga tutti gli attori, dai consumatori ai lavoratori, dagli imprenditori alle istituzioni, per definire un modello di sviluppo bancario che sia davvero sostenibile e orientato al bene comune. La finanza non può essere lasciata a se stessa, ma deve essere guidata da una visione etica che riconosca la centralità del suo ruolo nella costruzione di una società più giusta e inclusiva.