Una sera di novembre di Paolo Vincenti
Non ricordo cosa facessi quella sera di novembre del 1980. Ero un bambino di appena nove anni, tutto era così lontano, ovattato, allora, vivevo come dietro uno schermo protettivo, quello della mia famiglia, a difendermi dai pericoli del mondo. Nella calda e rassicurante pace famigliare però avvertivo anch’io quelle scosse più violente, quelle destabilizzanti, quelle che era impossibile non sentire anche per un bimbo sereno e indolente, somigliante ad uno degli angioletti rubicondi e annoiati di Raffaello, quale io ero. Il 23 novembre 1980, il terremoto sconquassava l’Irpinia e la Campania ma, oltre che dalla tv e dai telegiornali, ricordo che io partecipai di quel disastro attraverso le narrazioni di una mia zia acquisita di origini napoletane e di un suo nipote, mio coetaneo, Carlo, che mi descrisse dettagliatamente quegli attimi di concitazione, il terrore seguito alle scosse telluriche che lui e la sua famiglia avevano vissuto sulla propria pelle, pur non rimanendo per loro fortuna coinvolti nei crolli. Ma il mio ricordo più accorato del terremoto dell’Irpinia è legato ad un libro. Sono andato a cercarlo, quel libriccino di narrativa per ragazzi, che la professoressa di italiano ci assegnò in prima media in lettura per le ore del suo insegnamento destinate alla narrativa. Una sera di novembre, di Lilia Isoldi (Liguori Editore, 1982), raccontava, attraverso le avventure del protagonista, il piccolo Tonino, le vicende del novembre 1980, con le devastazioni che il sisma procurò ma anche con il grande lavoro di ricostruzione e con la catena di solidarietà umana che subito fu avviata. Al di là degli avvenimenti dolorosi o proprio a loro cagione, il libro voleva testimoniare come il Meridione d’Italia, attraverso lo specimen irpino, scontasse una atavica arretratezza infrastrutturale, e di converso la forza e la pazienza (oggi diremmo la resilienza, con un orribile termine che va molto di moda) della gente campana nel risollevarsi dalla sventura e riprendere il difficile cammino. Quanta nostalgia, sfogliando le pagine un po’ ingiallite di questo libro, mentre ascolto dalla tv pigramente accesa nella sala da pranzo il messaggio del Presidente della Repubblica che ricorda i fatti del 1980.
I libri sono così, hanno sempre qualcosa da dire, ti parlano a distanza di tanti anni, anche quando pensi che mai un libro possa ancora rivelarti qualcosa. Invece, se non è il contenuto, è qualche dettaglio accessorio a sorprenderti, magari un particolare della copertina che all’inizio non avevi notato, oppure un ex libris che riporti sulla seconda pagina di copertina il nome del suo proprietario quando, nel caso dei libri antichi o usati, esso è appartenuto ad altri ed è passato di mano più e più volte, e tu ad immaginarti le vite degli altri possessori che hanno letto quel libro, magari glossato, ed hanno vissuto in epoche passate, lontane dalla tua. Se si tratta di un libro pregiato, poi, proveniente da importanti biblioteche pubbliche o private, a rinfocolare la tua curiosità è l’etichetta o il timbro apposto sulla guardia, con il nome del suo illustre proprietario e magari il blasone della sua aristocratica famiglia. A sorprenderti può essere un autore o un titolo riportati in bibliografia, che quando lo hai letto per la prima volta non conoscevi, oppure ancora a colpirti può essere la casa editrice che nel frattempo ha pubblicato altri libri che hai letto, e quando non è niente di tutto questo, allora a colpirti possono essere le tue stesse annotazioni interlineari o a margine. E proprio questo succede con Una sera di novembre. Nell’ultima pagina bianca di decantazione prima della terza di copertina, trovo annotate da me, a mano, le mie indicazioni anagrafiche: «Nome: Pier Paolo Vincenti. Classe: I Media c. Scuola: A. Bortone Ruffano. Via casa: G. Mameli n.19-21 [è la strada dove risiedo tuttora, il posto è sempre lo stesso ma la casa è stata ricostruita negli anni] Telefono: 69-14-22 [è il numero che ho conservato fino a pochi anni fa, prima di soggiacere alle pseudo truffe della telefonia mobile che me lo hanno fatto perdere] Figlio di: Antonio e Turi Ivonne. Altezza: 1 metro, 29. Peso: 40 kilogrammi». È il particolare fisico dell’altezza che mi ha fatto sobbalzare. 1 metro e 29! Praticamente, un nanerottolo. Penso che mio figlio minore, Filippo, che oggi ha 15 anni, ha avuto ed ha tuttora uno sviluppo molto lento e fino a un paio di anni fa era molto al di sotto della media dei suoi coetanei, con grave preoccupazione della madre, per il ritardo di crescita, e sommo disappunto mio, per le vane preoccupazioni della madre. Ecco spiegato tutto, la genetica non fallisce. Io ero molto basso: inevitabilmente, se i primi due figli sono cresciuti entrambi più regolarmente e oggi sono pienamente nella media, almeno uno dei tre doveva scontare questa ereditarietà. Nessuna ansia, dunque (non che io ne abbia mai avuta). Ma questo pomeriggio di commemorazione del terremoto dell’Irpinia del 1980 mi consegna una rinnovata consapevolezza. Mio figlio Filippo cresce lentamente in altezza, esattamente come io crescevo poco (e non sono un gigante nemmeno ora), ma recupererà molto presto e già sembra quasi “in corsa”. Natura non facit saltus, per dirla latamente con Leibniz. Se dovessi indicare le keywords di questo pezzo, come in ambito accademico ci chiedono di fare con i saggi scientifici, esse sarebbero: 23 novembre 1980, Lilia Isoldi, Tonino, libri, Filippo.