Una leonessa tra gli specchi
di Bianca Apollonio
Sole allo Zenit velato da nubi di lino, fiume in piena frenato da cemento invisibile. La sensibilità nell’occhio, la fierezza nel portamento.
L’universo di Anne ha la lucentezza della carta patinata e la sacralità della geometria, allarga gli spazi, distende gli arti, si scopre quadrato in altri due angoli retti.
« Anche i muri hanno una storia, quello che vedi nel giardino faceva parte del piano terra di una casa di quattro piani, tutto questo è stato costruito a posteriori. Pompidou decise intorno agli anni 60 di costruire una radiale, ovvero un’autostrada, che conducesse le auto fino alla Senna. All’atto pratico tutto ciò significava la demolizione di alcuni immobili per crearne altri o lasciare semplicemente spazio.
È importante cercare ciò che resta della storia quando si arriva in un luogo, anche quando resta solo un muro e qualche atelier sparso qua e là. Quel muro che vedi oggi ha in sé chi è andato via, chi è rimasto, chi ha resistito. Questo quartiere resterà sempre il quartiere degli atelier. »
Mi volto verso il muro che separa la villa dalla strada, mi pare si abbassi, mi spinga in alto e poi mi abbandoni delicatamente su una delle tante superfici trasparenti che incontrano il mio campo visivo. Qualche piano di distanza dal cielo e dalla terra.
Uno dopo l’altro, i tetti di vetro su cui poggio si trasformano in punti luce sulla creazione, spirito traslato in materia.
Tra candele diafane, sculture e pitture, i loro artefici, in rue Campagne Première, de Chirico, Modigliani, Giacometti, Kandinsky, Foujita; in boulevard Raspail, tra le fiamme in pietra arenaria di un immobile, l’animo infervorato di Man Ray[1].
Varcati i confini invisibili che separano il 14e dal 6e arrondissement, in mezzo all’Istituto d’arte e archeologia e Saint Michel, stretti al davanzale di un casa e in punta di piedi, tre funamboli bambini restano in equilibrio tra la realtà ancora intorpidita della loro stanza, la destinazione che immaginano per i camion per strada, memorie infantili che non sanno di essere tali.
[1] https://paris-promeneurs.com/les-ateliers-dartistes-de-la-rue-campagne-premiere/
« Ogni mattina alle 6 io e i miei fratelli ci affacciavamo alla finestra per guardare i camion di Les Halles riportare il cibo lì, percorrevano tutto boulevard Saint Michel.
In quei momenti non era necessario parlare per capire, quello era uno degli istanti che preferivo. Il resto delle volte invece mi sarebbe piaciuto parlare per capire ma non potevo. A quel tempo crescere in una famiglia cattolica e borghese significava restare in silenzio anche quando si vorrebbe parlare, dover mettere dei “punti” alle cose senza ricevere alcuna spiegazione, essere testimoni muti dell’infelicità di chi si ama. »
Anne scandisce le parole con la pacatezza di un veliero in un giorno di bonaccia, non teme l’immobilità e neppure i cambi repentini di rotta, mi lascio guidare dal suo corpo di ragazzina e il suo sguardo già grande fino al 16e arrondissement.
« Siamo andati nel 16e arrondissement per ricominciare credo, ero piccola allora e sognavo di fare cinema, volevo lavorare al montaggio dei film. La grandezza di un film è tutta lì per me, tutto sta nello scegliere di collocare le sequenze in un certo modo piuttosto che un altro.
Avrei potuto iniziare con la televisione ma avrei dovuto scegliere di essere una persona che non sono, una di quelle che non irrita nessuno, si deve essere così per iniziare da qualche parte in questo settore.
Ho preferito continuare a essere me stessa, irritare se necessario, non star zitta per forza, ho scelto di insegnare. »
La osservo distendere le gambe e riordinare con la mente le sequenze della sua storia.
Negli attimi sospesi, sul dorso curvo di una donna a cavallo, il peso del sogno dinanzi alla velleità, poi la pellicola riprende a girare.
« A 24 anni sono stata costretta a partire in Inghilterra per abortire, in Francia era illegale.
Non ho sentito nulla durante l’anestesia generale, niente di niente.
La seconda volta, qualche anno dopo, mi sono rivolta al MLAC, un collettivo di ragazze militanti in Francia.
Eravamo in una cucina ed io ero senza anestesia mentre inserivano una sonda e tiravano, ho sentito ogni cosa, sentivo soprattutto che non ero solo io ad abortire, non aiutavano solo me, aiutavano tutte le donne, combattevamo per la libertà di ognuna di noi. »
La pellicola si blocca, come se qualcosa fosse andato in cortocircuito. Il tempo cambia, siamo in estate, siamo nel 2022 e da lontano una voce asettica annuncia che la Corte Suprema negli Stati Uniti annulla la legge che legalizzava l’aborto dal 73[1] lasciando che siano i singoli stati a scegliere come legiferare in materia. Il diritto all’aborto di centinaia di donne dipenderà da fattori pressoché esterni a loro, il luogo che abitano e la possibilità che hanno di spostarsi se necessario.
Guardo Anne, mi sembra che le lancette dell’orologio che ha al polso girino in senso antiorario sempre più rapidamente, la sonda artigianale che squarciava il suo giovane corpo allora, torna a squarciare il corpo di altre donne in America, come l’albero perde la brina al mattino, così l’umanità ritorna al freddo glaciale senza batter ciglio.
La luce si spegne e il silenzio è assordante, poi la camera da presa illumina il muro candido, non sono più nel 14e arrondissement di fronte ad Anne e la mia mano non stringe quella di una sconosciuta distesa su un tavolo da cucina, sono nel 6e arrondissement.
[1] La legge “Roe V. Wade” nel 1973 legalizzava il diritto all’aborto in America.
« Quando sono tornata nel 6e arrondissement con mio marito sono stata felice, è incredibile come lo sguardo che si ha sui posti cambi in base a quello che si vive dentro, dettagli e colori sono più vivi, intensi.
Vivevamo vicino al Jardin des Plantes, 5e arrondissement, andavo lì con i bambini, giravamo in mezzo a tantissimi animali impagliati, chissà dove sono andati a finire oggi.
Molto tempo dopo siamo arrivati qui, abbiamo smesso di fare e disfare le valigie quando non ne avevamo voglia, siamo riusciti a comprare una casa. »
La macchina da presa si stoppa di nuovo, siamo alla fine degli anni 90, Sophie ha nervi distesi e occhi sognanti, intorno a lei la casa è vuota.
La felicità ha tratti malleabili, come quelli di chi immagina spazi pieni con solo uno specchio di fronte.
« Mi piace camminare lungo la Senna, mi ricorda di essere qui, qui e ora sono partecipe di tutta questa bellezza.
Quando ho abortito con il MLAC, ero davvero lì.
È importante esserci e riconoscersi, anche quando fa male.
E tu, tu sei davvero qua?