Una Dama Irreale
di Tiziana Leopizzi
Un racconto fantastico che son felice di condividere con Il Pensiero Mediterraneo. Il protagonista di questa avventura lo conosciamo già, è Franco Repetto, che mi ha messo a parte di quanto gli è accaduto.
Mi ha coinvolto in questa sua percezione di illusorie realtà che sempre secondo lui ci accompagnano in silenzio, a nostra insaputa, ma si palesano all’improvviso nei momenti più imprevedibili e persino inopportuni.
Tutto fa capo a suo dire ad un “a priori” che tutto pensa e progetta, strategicamente, un disegno misterioso che aleggia a nostra insaputa sopra ognuno di noi. Non è assolutamente concesso conoscere il Regista che alcuni chiamano provvidenza, fortuna o iella. Qualcuno ci vuole proporre cose semplici, messaggi umili, eventi che, decontestualizzati, si rendono stupefacenti. Metafore che vengono comprese anche molto tempo dopo.
Reale o irreale, in un profluvio di parole dice convinto: quello che mi è capitato è stato meraviglioso! Mi ha aiutato, mi ha distolto da un presente tachicardico trasportandomi in una dimensione senza tempo spesso spasmodicamente desiderata e considerata oramai perduta e irraggiungibile.
Lasciamo la parola allora a questo scultore che con la sua arte è certo in contatto con un mondo “altro”:
“Un’entità, prosegue se
senza tirare il fiato, decide quando è il momento appropriato per farci riflettere, e d’improvviso diventiamo i prescelti.
Occasioni e messaggi da pescare al volo, che vengono compresi solo da chi non è rivolto da un’altra parte.
Chissà quanti di questi pretesti abbiamo perso e quanti ne perdiamo ogni momento di queste intromissioni, queste apparizioni non riconosciute perché sempre nevroticamente indaffarati nell’inutile e nel superfluo.
Chissà perché ci vengono offerti tali momenti? Pare che qualcuno ci voglia mettere alla prova: Sei pronto a capire? Ad accorgerti? A staccarti da ciò che non ha effettivo senso? Sei pronto a rielaborare o intuire che spesso ciò che stai facendo non ha valore vero e non vale il nervoso, l’ansia e l’insoddisfazione che ti auto procuri?
Tutto magicamente è accaduto in punta di piedi, tanto da farmi dubitare della realtà dell’accadimento. Non una illuminata lezione accademica organizzata ed attesa, ma uno schiocco di dita nel fragore concitato della folla agitata e chiassosa in uno stadio. Ecco qui:
Genova, mattina d’estate già torrida e umida. Aria immobile, persistente e appiccicosa come marmellata in quei primi giorni di luglio 2023.
Entro in auto rovente e metto in moto. Svogliatamente e con sacrificio mi avvio nell’ormai consueto inferno del centro. Momento topico e confuso in via Galata, una degli snodi più convulsi, tra rumori, voci, scooter che tentano di superare da destra e da sinistra, persone che vagano tra marciapiedi e carreggiata, auto ferme malamente in doppia fila, furgoni e facchini indaffarati, lenti e misurati zig zag, irritanti clacson.
Fronte imperlata e gocce di salato sudore scorrono e mi inondano gli occhi già semichiusi per via dei raggi impietosi. Brutto momento!
Blindato all’interno della macchina, finestrino ermetico con condizionatore appena attivo, un delicato toc toc, un bussare lieve, da unghie e non da nocche, che stranamente si fa sentire distintamente nonostante il parapiglia esterno. Un delicato e disperato richiamo d’attenzione. Pareva non volesse disturbare eppure, in quel momento di eccesso di caos e concitazione, disturbava eccome! … o forse meglio, mi distoglieva dai miei pensieri…”Ma chi sei, che vuoi?
Ma proprio ora, in questo casino mi cerchi? Lasciami perdere e vaf …!!!” (ora mi vergogno ma, prima di voltarmi, confesso di aver pensato proprio questo).
Mi volto e so che il mio grugno è dei peggiori, scontroso e contrariato quanto basta per scoraggiare chiunque.
Vicinissimi ma separati dal vetro alzato, il condizionatore che ronza a manetta, il mio faccione imbiancato, sudato e barbuto si interfaccia con un visino allungato e incartapecorito. Occhietti dolcissimi ed arrossati. Crocchia d’altri tempi raccolto da mille forcine, vestitino leggero e castigato, tinta pastello con pizzetti al colletto e un datato giro di perle. Il movimento della bocca era tremante ma determinato. Le parole erano mute per cui abbassai il finestrino.
“Buon giorno Signore, per cortesia, potrebbe accompagnarmi verso casa?”
Immediato il mio pensiero …” E porc … Ma da dove te ne esci? Non vedi in che macello siamo tra tutti? Poi immediatamente mi “sveglio”.
“Razza di tonto, non capisci che ti sta chiedendo aiuto?”
La nonnina sembra misteriosamente paracadutata in quella temporanea tempesta, ma lei non se ne curava, voleva andare a casa sua!
L’auto era ben più alta di lei, circa un metro e quaranta di pelle e ossa, l’avrei potuta sollevare con una mano.
Pensai subito: “Ma guarda un po’, con tutte le auto e le persone che si aggirano in questo momento, proprio a me chiede questa cortesia? Beh, che pericolo temi? Che con quel faccino possa cavare dalla sua borsettina un calibro 22 e rapinarti? Lasceresti tua mamma nel bel mezzo di una strada trafficata? Reppe’ mi dico, non ci possono essere scuse!!!
Accostai meglio e scesi. “Dove la posso accompagnare Signora?” e, detto ciò, non sentii più nessun trambusto attorno. Immaginai il mio viso mutare, distendersi. Che tutto il contesto poteva attendere. Non “DOVEVO” accompagnarla ma “MI FACEVA PIACERE” farlo.
Sentivo d’improvviso quanto era semplice e nobile occuparsi di quel quadretto anni ’20. L’avrei portata ovunque!
Tutto si svolse in meno di un minuto con tante persone attorno. L’accolsi, aprii le portiere e le domandai se gradisse il posto posteriore o anteriore accanto a me. Si sedette con lentezza dietro di me e mi disse: “Come è gentile Signore. Non voglio disturbarla molto, mi accompagni dove crede, ma mi porti via da qui … per favore! Lei dove deve andare? Non la voglio spingere fuori strada e farle perdere tempo”. Risposi:” Non si preoccupi Signora, tanto sono seduto ugualmente AH AH AH !!!”.
“Sa, questa mattina ho esagerato. Mi sono caricata troppo.” In realtà aveva una borsettina da passeggio a tracolla (giusto per borsellino, chiavi, fazzolettino di cotone e magari una caramellina), un pacchettino di carta oleata nel palmo della mano e trascinava disordinatamente un nero trolley sdrucito.
Agguantai la valigia rotellata e quasi la feci volare … era leggerissima! La misi nel porta bagagli e richiesi: “Allora,
dove la posso portare?”. “Abito in via Peschiera, proprio qua sopra. Ma mi lasci pure dove le viene comodo che io mi arrangio”. “Ma Signora, si figuri. Andiamo!”
In poche centinaia di metri e qualche semaforo rosso eccoci in via Peschiera, in effetti a poco più di un passo da qui. Lei, con vocino pacato e dolcissimo, in un italiano ormai raro, mi raccontò tutte le specifiche salienti della sua vita.
Era vedova da moltissimi anni. Viveva con la sorella ottantaseienne (civettuola, non mi rivelò la sua età ma disse soltanto che loro, sorelle, erano una di novantacinquenne, e l’altra appunto di 86.
Si rammaricava di non essere più la stessa persona dopo l’intervento di protesi all’anca nel 2018 e poi di aver combattuto e vinto il Covid. Teneva a specificare che lei usciva tutti i giorni per la spesa o una passeggiata. Quel giorno, appunto di venerdì, era andata all’Orientale (il Mercato) a comperare “due acciughe” che le piacevano tantissimo si da quando era bimba.
Questa chiacchierata si svolse a tono pacati, lenti e in un silenzio di fondo che pure la sua vocina delicata, sebbene fosse rallentata, era limpidissima.
Il clima all’interno dell’auto, la temperatura, gli argomenti e persino all’interno di noi, tutto era delizioso e rilassante. Uno stare piacevolissimo, per un tempo indefinito.
La faccenda mi toccò sin da subito! Forse in quei momenti concitati avevo proprio la necessità di essere “toccato” da un fatto simile.
Arrivati al suo portone accostai. Mi sentivo orgoglioso di essere divenuto per pochi minuti il suo servitore/salvatore. Scesi, girai attorno all’auto e le aprii la portiera, le offrii il mio braccio per scendere, le scaricai il bagaglio, attraversammo la strada e ci soffermammo ancora un attimo sul marciapiede opposto, all’ombra. Mi raccontò con serietà come avrebbe cucinato le sue acciughe. Mi venne istintivo abbracciarla e darle due bacetti, l’avrei stretta a me.
Le chiesi:” posso abbracciarla?” Lei accennò un lieve sorriso e replicò pronta:” Ma certo, magari !!!” e aggiunse:”
Lei è un uomo buono, molto gentile, un vero Signore.” Continuava a ringraziarmi ed elogiarmi per la mia cortesia. Io, ormai perdutamente innamorato di questa minuta “esserina” ebbi in bocca un ringraziamento per lei che, con la sua delicata richiesta, aveva dato senso e valore alla mia intera giornata, colma di stupide iniquità mascherate da impegni seri. La vera essenza della serietà ora era davanti a me.
Mi salutò toccandomi la mano dicendomi:” La vedo affaccendato, non la voglio trattenere oltre. Beh, chissà che una prossima volta io la possa invitare a pranzo da noi. Sempre se lei ne avesse piacere !?” Ringraziai io lei e mi fermai sul marciapiede guardandola di schiena che si allontanava con il suo pacchettino sul palmo della mano e trascinando lo sgangherato trolley.
Gambette sottili macchiate da capillari, caviglie che si perdevano in abbondanti scarpe chiare di raffinata fattura ma oramai deformate da una deambulazione viziata dai
decenni, schiena molto ricurva con spalle inesistenti, crocchia curata, guancine cadenti e svuotate, sguardo chino non timoroso ma comunque attento al selciato e consapevole delle gravi conseguenze dovute a qualsiasi leggerezza. Quel viso stretto e allungato con borse arrossate sotto gli occhi, boccuccia tagliata quasi immobile durante la favella. E quello sguardo fermo, profondo, disilluso, fieramente troppo stanco per ancora poter esprimere moti d’animo. Quegli occhi piccoli con palpebre abbandonate che tutto avranno visto sia di meraviglioso che di terrificante e nulla potranno scordare rimanendo però sempre pacati, educati, direi ormai sereni.
Salito in auto non ripartii subito. Rimasi lunghi minuti spento. Ero piacevolmente pensieroso, non ricordavo quegli impegni che, solo pochi minuti prima, mi attanagliavano la gola.
L’avevo vista pochissimo in viso ma l’istantanea delle sue sembianze la potrei disegnare o modellare a memoria, anzi lo farò di certo!!!
Chissà chi era, come si chiamava. Sembrava una dama in visita a casa della Gigia, moglie di Gilberto* che al mercoledì pomeriggio “riceveva” gli ospiti con rosolio e biscottini su coppe di porcellana e centrini di pizzo mentre la pendola inesorabilmente rintoccava secondi, minuti, ore e porzioni.
Una figura da carillon e dolcetti da pasticceria svizzera o una coppa in cristallo colma di panna con spolverata di cacao in vico Casana.
Una statua marmorea di Staglieno, il nostro famoso cimitero, che strappando le sue sedimentate ragnatele, prende vita, si reca al Mercato Orientale per comperare soltanto qualche acciuga fresca come faceva da ragazza. Poi, stanca, desidera tornare al più presto a casa sua, dove sua sorella l’attende da chissà quanti anni. Chiedendo un passaggio ad un affannato automobilista di fortuna che, affascinato dal contrasto fra traffico rumoroso e silenziosa delicatezza d’altri tempi, acconsente “quasi subito”.
Uno spaccato di ricordo vissuto o tramandato, un cuneo di cortesia piantato dolcemente nella zotica polpa sordo/cieca, e ahimè non anche muta, dell’oggi.
Chissà, forse non esisteva proprio. Nessuno si prendeva cura di lei perché potevo scorgerla solo io? Forse il tutto prende vita dal mio forte desiderio di ritorno indietro. Lei, chiamata dall’aldilà, mi si presenta con un pretesto quasi banale e mi allieta dando senso alla mia inutile ed effimera giornata.
Senza scendere ai primi anni del secolo scorso (che non ho potuto vivere), comunque sino a quando ero ragazzino, comportamenti simili erano la norma in qualsiasi ceto sociale. Oggi non è più neppure un ricordo.
Diffidenza, egoismo, ansia, valori fittizi, devianze e fuorvianze sono ormai gli ingredienti che creano uno zoccolo di sgradevolezze in una vita più lunga ma di certo non gradevole.
La Signora X, facendo un rapido conto, poteva essere mia madre. Oh mamma, quando non esistevano questi stupidi berrettini con visiera che oggi rendono l’aspetto cretino anche un premio Nobel. Pare che più ci si comporti da stol
ti più si abbia successo ed approvazione.
Ricordo che chiunque portasse il cappello lo toglieva al coperto e se avesse incontrato una signora lo avrebbe sollevato dalla testa leggermente inchinata. Oppure, se l’inverno fosse stato rigido, con il sorriso, si sarebbero toccati semplicemente le pacche del copricapo. Quando si era seduti e si veniva raggiunti anche solamente da amici, ci si alzava anche non del tutto. Si cedeva il passo a tutti specie se più anziani. Si camminava al fianco sinistro di qualsiasi donna per avere, cavallerescamente, il braccio destro pronto alla difesa. Si iniziava un pranzo o una cena solo quando tutti avevano il piatto servito e, al “Buon appetito. Grazie
altrettanto!” tutti assieme si sforchettava. Nessuno si alzava e si allontanava senza un tacito permesso dei commensali. Veniva servito prima il più anziano o l’ospite. Ovunque il tono della voce era medio basso per non disturbare il prossimo senza interrompere nessun discorso. Prima di entrare ovunque si bussava e si attendeva “l’Avanti”. Sull’ascensore e spesso sui mezzi pubblici si tentava di non volgere mai le spalle agli altri avventori.
Al telefono chi chiamava si annunciava per primo e chi rispondeva premetteva un “Pronto! Chi parla? … Buongiorno!”
Nei negozi e negli esercizi pubblici ci si sentiva accolti con un “Buongiorno, mi dica pure.” (non con quel “Ciao, che ti do? “per altro tra sconosciuti … e magari con i capelli bianchi)
Beh, ora smetto per non eccedere nella polemica nostalgica. Si, sono invecchiato e mi sta salendo prorompente il desiderio di gustarmi qualche acciuga del Mercato Orientale.
Genova, luglio 2023 Franco REPETTO
Filosofia, etica, delicatezza, senso della vita, bellezza del bel gesto, per fare emergere dama e cavaliere, quel garbo innato o che si impara che fa di un uomo un cavaliere e di una donna la dama preziosa da proteggere…che meraviglia.
Ripigliamoci queste caratteristiche che sia vecchietta o amministratore e sempre una lei, siamo grate di questi aspetti che solo gli uomini risolti posseggono.
Doverosa una precisazione: immaginatevi lo sconcerto quando a Staglieno la riconobbe una scultura che è … il suo Doppio?
Il Mitico Gilberto Govi
Questi altri visi invece nascono come opere “tremolanti” dedicate ai così detti “SCEMI DI GUERRA” poveri soldati tornati dal fronte della 1^guerra mondiale. Traumatizzati da esplosioni e con tremori irrefrenabili.
Anche queste sono opere coerenti con il tempo che fu e notevolmente drammatiche e misteriose.