Una breve critica sul Fascismo…
di Eliano Bellanova
Una delle opere più ardue per lo storico è esaminare e sottoporre a critica Mussolini e il regime fascista dopo i primi dieci anni di vita.
Da una disamina “a prima vista” si desume che nel Fascismo siano presenti due grandi “fazioni”: quella degli “squadristi” e quella dei “moderati”.
Fra questi due schieramenti “fondamentali” esistono altri schieramenti, che, sebbene muniti di crismi interessanti, non riescono a emergere totalmente.
Essi si possono “compendiare” in “gruppi minori”, quali:
- La “casta” industriale
- I capitalisti terrieri o “potenti agrari”
- Gli intellettuali
- I militari dell’Esercito di terra e dell’aria (fedeli prevalentemente al Fascismo)
- La casta della Marina da Guerra (fedele prevalentemente alla tradizione monarchica, e, in parte, incline a riconoscere nel regime fascista un punto di riferimento fra i poteri dello Stato).
Il potere centrale, certamente molto diviso, deve, obtorto collo, fare i conti con i due grandi schieramenti e con i cinque “minori”.
Se nei Governi democratici essi non costituirebbero un problema poiché rientrerebbero nella dinamica del quotidiano confronto, in un Governo di regime le cose potrebbero configurarsi ben diversamente.
Benito Mussolini è certamente a conoscenza della situazione nazionale e non presume che essa sia di facile soluzione. Per il suo Governo il confronto con le “parti in causa”, quali appunto quelle citate, è un “punto critico”.
La potente casta navale (alla quale hanno avuto accesso anche i rappresentanti dei ceti alto-borghesi, che non sono totalmente fedeli alla tradizione monarchico-sabauda) è, a sua volta, divisa fra i “parvenus” che hanno scalato cariche di grande importanza, pervenendo ai gradi superiori (Capitano di Vascello, Contrammiraglio e Ammiraglio) e i “vecchi nobili”.
La frattura all’interno dei Comandi Navali e Marittimi sarà ancor più stridente nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Il Re presume di potere tiranneggiare la Marina, ignorando che essa non ha più soltanto un’anima monarchica, ma anche una borghese, subordinata alle grandi Compagnie di Navigazione, all’Italia dei Cantieri Navali e delle vie di comunicazione. Ciò non costituisce un paradosso, poiché, in caso di conflitto, la Marina Mercantile entra al servizio dei comandi marittimi e navali militari.
Si desume che insista una specie di antifascismo “sotterraneo” che, con il trascorrere del tempo, evolverà verso il disfattismo e quindi il conclamato antifascismo. Di questo non faranno parte solamente gli esponenti politici di Sinistra (socialisti e comunisti) i liberali e tutti gli antifascisti propriamente detti. Vi sono molti elementi, che, pur essendo apparentemente fascisti, in effetti non lo sono.
Le caste in Italia sono un fenomeno difficilmente estirpabile. Del resto, in epoche più “remote” era nata la Società Segreta dei “Frammassoni” o, tout-court, “Massoni”, la quale non era riconducibile ai tradizionali partiti politici, presentando elementi consistenti di “trasversalismo” in un periodo storico in cui il trasversalismo non era un fenomeno affermato, se non perfettamente sconosciuto.
L’opposizione al Fascismo da parte dei “fascisti” si manifesta in maniera molto più concreta di quella degli antifascisti “di professione”. Costoro sono “presi” da questioni ideologico-filosofiche, dalle quali non debordano. Non affrontano, se non in minima parte, i problemi sociali concreti, restando, di fatto, isolati da “puri aventiniani”. Essi, lungi dall’affrontare gli incombenti problemi economico-finanziari, del lavoro e della società, si chiudono in un eremo dorato nel quale “discettano” di teorie “altrimenti valide”. Estraniati dal corpo sociale, non possono essere figure realmente politicamente credibili.
La Massoneria – come abbiamo osservato – era entrata in fase di “grande sonno”, evitando di prendere posizione sulle questioni venute alla ribalta nel primo dopoguerra.
Dall’intellettualismo puro il popolo non si attendeva la soluzione dei suoi problemi, per cui il distacco fra intellettuali e cittadini divenne ancora più stridente. Tale distacco si perpetuerà nell’Italia repubblicana, allorquando al popolo saranno ammannite parole senza un reale costrutto, dal fascino indiscutibile, “prodotte” da grandi oratori, certamente, ma lontani dalle “necessità” sociali, dalle imprese, dal mondo del lavoro.
La Sinistra si impegnerà in un grande “duello”, quello fra agrari e industriali da un lato e contadini e operai dall’altro. Essa identificherà i primi come il “mondo dei parassiti” e non dei datori di lavoro, e gli altri come gli “sfruttati”, in una “logica paradossale” di sfruttatori e sfruttati, che aprirà all’ennesimo odio di classe, che diverrà incoercibile ed esasperato.
Il Fascismo, pur nelle sue innegabili contraddizioni, cerca di mediare fra quelli che la Sinistra definisce “sfruttatori” e “sfruttati”, limando i contrasti sociali e, quasi, riedificando, in modo riveduto e corretto, la questione “patrizi e plebei” dell’Antica Roma. E se Mussolini non è propriamente un aristocratico come Lucio Cornelio Silla, né un “popolare” come Caio Mario, non è certo un Menenio Agrippa e, quindi, non può “impersonare” il primo “sindacalista” della storia, né rappresentare la parabola “dello stomaco e delle membra”.
I Governi italiani successivi all’unità non avevano quasi mai compiuto un passo nella direzione del popolo, almeno, non lo avevano compiuto in termini concreti. Il popolo continuava a subire, in molti casi più che sotto i regimi piemontese, austriaco e borbonico, nonché delle varie Signorie e Principati della penisola. Un fenomeno strano, ma fino a un certo punto…
Infatti i grandi patrioti italiani avevano affrontato il tema dell’unità senza porsi sostanzialmente la domanda sui destini del popolo, dei lavoratori, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura e dell’industria. Essi sostenevano: “prima l’unità”… Si tratta del limite del Risorgimento italiano. Si introduce dunque la logica della “politica del rinvio”, il cui nefasto impiego vige ancora.
L’Italia unita continua a vivere di “separazioni” sociali con pericolosi “compartimenti stagni”, che generano “distinzione di classe”, a cui la Sinistra non pone rimedio o, almeno, non tenta di farlo, limitandosi a una critica serrata e, sovente, non costruttiva. Essa auspica l’apocalisse dei ceti “padronali”, dei grandi agrari e dei potenti industriali, non approfondendo lo Stato d’impresa e l’importanza del lavoro produttivo, intravedendo tutto il male da una parte e tutto il bene dall’altra.
In questa esasperazione di classe si è consumato il dramma della società italiana. Si è politicizzato un sistema a cui era necessario offrire soluzioni, non eterni contrasti e immancabili sterili litigi. Anche il cittadino italiano ha assorbito dettami assurdi. Lungi dal conversare per trovare una soluzione alle cose, ha la tendenza all’esagerazione e all’esasperazione, precludendosi la possibilità di tradurre in realtà i diversi pensieri e progetti.
La Scuola ha fatto e fa eco a questo incredibile “sistema”. Dogmatica, “indottrinante”, “schierata”, essa ha contribuito, sulle orme delle ideologie di diverso conio e di “opposte filosofie”, a rendere ancora più problematici i rapporti sociali. Impostata su programmi ministeriali, non ha svolto efficacemente un ruolo di formazione professionale e culturale. Ha deluso studenti, mondo del lavoro e “stranieri”, al punto di “coronare” il suo cammino quale “fanalino di coda” dell’Europa, dell’Occidente e, anche, dell’Oriente e del Continente africano evoluto ed emancipato.
Durante il Fascismo, Mussolini promuove un’assidua, seppur manieristica e superficiale, opera di propaganda sulle giovani generazioni, nel tentativo di introdurre una “cultura fascista”, attraverso programmi credibili e definiti. In parte ciò sarà realizzato con la Riforma Scolastica di Giovanni Gentile e con l’istruzione obbligatoria, che, dovuta alla Legge Coppino del 1887, non aveva avuto pratica attuazione in tutto il territorio nazionale.
Della Riforma Gentile usufruiranno molte generazioni. Giovanni Gentile, artefice della Riforma che reca il suo nome, sarà impietosamente eliminato sull’onda dell’antifascismo, in quanto sarà identificato come “filosofo del Regime”. Un’identificazione che non rende merito al grande pensatore. Nel campo musicale e canoro Beniamino Gigli sarà identificato come il “cantante del fascismo”, e, se non sarà propriamente un “vate canoro”, certamente le sue canzoni ricorderanno ai posteri l’eco insopprimibile della dittatura ventennale. Purtuttavia si valuterà il suo valore artistico e nessuno azzarderà azioni di ritorsione contro di lui. Parimenti, si valuterà la positività della Riforma in campo giudiziario con il Codice Rocco.
Per questi e altri motivi l’eliminazione fisica di Giovanni Gentile non sarà argomento onorevole per l’Italia post-fascista.
In campo militare, del resto, non è “felice” l’eliminazione di Inigo Campioni in seguito ai processi sommari imbastiti dalla Repubblica di Salò. Una cosa è esaminare i difetti di un comando militare, nella fattispecie i vertici della Marina, e altro ritenere il Comandante in Capo della Flotta, responsabile dei rovesci di inizio guerra e dell’attacco a Taranto, che gli costarono la destituzione e la sostituzione con l’Ammiraglio Angelo Iachino, a sua volta non immune da colpe per il disastro di Gaudo e Matapan.
L’amore per i processi – che trae dalle antiche civiltà, comprese la greca e la romana – ha sempre “affascinato” l’uomo, trascinandolo “pietosamente” e… impietosamente verso la logica innocentistica e colpevolistica, che, trasferita, nei mass-media ha arroventato le opinioni e imbastito “tematiche soggettivistiche”.