“Un ragazzo degli anni settanta” Una storia in dieci puntate di Tiziana Leopizzi (3/10)
Capitolo 3°
Il nostro appartamento si trovava nel quartiere molto popolare di Santa Croce, più precisamente nella storica piazza dei Ciompi al civico 18. Si, proprio gli storici Ciompi citati da Dante famosi per il loro, appunto, “tumulto dei Ciompi”, la violenta protesta dei panificatori verso le gabelle imposte.
Nel ‘74 la piazza ospitava in pianta stabile il simpatico mercato dell’usato, detto alla parigina, “delle Pulci”, per via del fatto che in quel luogo non veniva venduta solo vecchia mobilia o oggettistica ma pure al seguito tutte le pulci che vi vivevano all’interno.
Si era in quattro dividerci la casa, ci si conosceva dal liceo Angelo, Mauro, Severino e ci si frequentava e occasionalmente anche con i due studenti greci Nicola e Babis. Non costantemente, in uno dei due saloni di passaggio, risiedeva anche un losco soggetto detto Baffino con un grosso cane lupo nero.
Pareva che questo tipo, antico amico della vecchia Romagnoli, vivesse di espedienti e che ovunque andasse in giro fosse protetto dal vistoso cane. Forse addetto al “recupero crediti “, un’occupazione della peggior specie.
L’appartamento era davvero grande e situato al secondo piano con scale buie di vecchio cotto, corrimano in ferro pieno e porte ampie, scure e pesanti. Sulla facciata dell’edificio una targa marmorea lo nobilitava quale luogo di nascita e dimora del Maestro Lorenzo Ghiberti si, proprio lui! L’autore delle porte del Battistero del Duomo. Un magnifico sprone per me giovane scultore.
Ricordo che spesso sorridevo e mi trovavo imbarazzato a raccontare e descrivere dove e come abitavo, ridendo, rimanevo nel vago. Non gradivo creare né ansie né pensieri tristi. Sorvolavo e mediavo ma soprattutto, specie all’inizio, e assolutamente non scattavo fotografie all’interno dell’appartamento.
Entrata angusta, stretto corridoio in leggera salita, subito a destra, ricavati con una predella esterna con finestrella affacciava nel vuoto, i servizi consistenti in water senza tavoletta, lavabo e doccia senza protezioni ovvero pigna a parete per l’acqua e scarico diretto a pavimento piastrellato, senza piatto doccia ma semplice tombino e nessun vetro alla finestra.
Proseguendo si era accolti da un ampio salone di circa 35 metri quadri, una porta dietro la quale si entrava nello stanzone luminoso con due finestre dove abitava e dipingeva Angelo, pittore di indomabile potenza e illimitata grinta. Oltre si accedeva ad un altro salone leggermente minore del precedente con alcune porte, la prima apriva una cupa stanza detta “dei greci” all’interno della quale mai nessuno di noi entrò.
I due ellenici cucinavano, mangiavano e dormivano sempre all’interno della loro camera. Lì producevano puzze incredibili. Se si sbirciava si scorgeva un disordine assoluto ed inaudito.
Al lato opposto, oltre l’altra porta, si apriva la stanzetta maggiormente infelice della casa. Un vano simile ad una cella con finestrino alto a soffitto tanto che per poterlo aprire si doveva tirare una corda giustapposta , e come ultimo particolare dissuadente, aveva i vetri in frantumi. Questa per quasi quattro anni fu la mia dimora/studio, chiamata da tutti gli altri “lo Spielberg”, “Le mie prigioni” di Silvio Pellico.
Un’altra portina a due ante vetrate apriva la camera di passaggio abitata da Mauro anche lui pittore validissimo e sapiente acquarellista. Tale spazio era il centro vitale dell’appartamento in quanto unico vano dotato di stufa a legna. Il residente era abilissimo e raffinato “fuochista dei Ciompi”. Poi, dopo un altro passaggio, la stanzetta quadrata con unica finestra, dimora e studio di Severino, colto poeta e delicato incisore. Questa era la camera più fredda perché estrema e volgente a nord, ma aveva la più bizzarra particolarità ovvero, una seria crepa longitudinale attraverso la quale, osservando con estrema attenzione e ad altezza uomo, si riusciva a scorgere il campanile della chiesa di Santa Croce specie di sera quando veniva illuminato.
La cucina, stretta e bislunga, con tavolo e seggiole in acciaio e fòrmica verdina di fattura primi anni ’60, con una finestra tutta spifferi dagli infissi in ferro senza guarnizioni, sfoggiava uno spropositato camino con cappa sino al soffitto dal quale la sera era uso ascoltare echi, soffi e ululati di vento. Al di sotto ecco un tavolinetto, e sopra di esso, il nostro eroico tri fornello a bombola, di certo del tutto sproporzionato rispetto al “buco nero” del camino dove, noi tutti eretti, riuscivamo a posizionarci agevolmente, teste comprese. Pareva esistesse una regola ferrea comune ad ogni vano, ovvero, per ragioni economiche l’illuminazione era data da nude e semplici lampadine penzolanti centralmente dagli altissimi soffitti ma non potevano superare i 40 w , un’ atmosfera da pipistrelli.
Questa enorme casa era stata da chissà chi adibita a ripostiglio. Era magazzino per una infinità di mobilia dismessa, rotta e sudicia. Vecchi armadi scricchiolanti, comodini, cumuli di sportelli spaiati, reti da letto metalliche arrugginite e pesantissime, materassi di ogni genere in condizioni indegne, vetri e specchi di ogni genere, seggiole impagliate cosi dette “da chiesa”. Diciamo il meglio dell’igiene domestico. Comunque io selezionai un corredo minimamente passabile e mi arredai la camera.
Questa caotica situazione, la nostra disperata condizione economica e i nostri goliardici vent’anni furono una miscela esplosiva senza miccia. Le iniziative erano sempre audaci e senza ripensamenti.
Sotto Natale ’74 decidemmo di liberare casa da tutto quanto. Via tutto e “botta di vita” !!!
Si contrattò un prezzo forfettario con Cecco (il vecchio “pirata” che , sempre con bandana rossa e testa rasa, si occupava e sapeva di tutto e tutti ai Ciompi. Ecco che in una serata dopo cena, in accordo con “lo sciacallo” bandanato, da veri manigoldi silenziosi e organizzati, portammo giù al mercatino, aperto per l’occasione, tutte le reti ed i comodini, specchiere, seggiole e chincaglierie come lampadari a gocce ma ormai senza più gocce, valige piene di posate autarchiche e un quantitativo illimitato di materassi chiazzati. Il resto della mobilia venne pazientemente demolita, messa a misura per entrare in stufa e stivata sotto il letto di Mauro. Sera dopo sera si bruciò tutto non comprendendo mai però per quale motivo al mattino seguente le nostre teste duolevano con nausea. Certo per aver respirato il la combustione delle vernici.
Con una colletta sanguinolenta acquistammo una lampadina da 100w per ogni stanza ed un fusto di tinta bianca. Adattammo dei tavolati come tavoli da lavoro per i saloni e in una notte la grotta divenne reggia.
Altro fatto che ci convinse a cambiare registro fu il cambiamento del numero dei “ricoverati” di casa.
Ricordo che Baffino, al quale nessuno parlava mai, una mattina di buon’ora urlava come un pazzo agitato. Non si capiva nulla tranne il suo campionario di bestemmie. Batteva alla porta dei greci con gran violenza.
Era una bestia ma in quel frangente non si poteva dargli torto. Sosteneva che Gatto e Volpe avessero confezionato una “polpetta” per il nero lupo che ora giaceva sulla sua cuccia di materassi senza vita. Una scena da film. Certo un’operazione vile e spietata che però ci liberava dalle immonde conseguenze. Baffino si occupò del cadavere e sparì senza neppure una valigia. Nicola e Babis non ne accennarono mai, sfoggiavano solo sguardi vuoti e catatonici. Dei veri sicari assassini.
Una lavata generale con alcool e candeggina …. E avanti tutta!
Il quarto capitolo sarà online 20 dicembre.