IL PENSIERO MEDITERRANEO

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“Un ragazzo degli anni settanta” Una storia in dieci puntate di Tiziana Leopizzi (Capitolo 2/10)

Franco-Repetto

Franco-Repetto

Capitolo 2°

Franco Repetto

Assieme ad un altro ex compagno liceale, anche lui disposto e pronto a farsi adottare da questa città, alloggiai veramente in un pessimo luogo.

Era un convenientissimo affittacamere vicino alla stazione ferroviaria e che era ricovero di ogni disperazione.  Sporcizia sedimentata, macchie e chiazze ovunque, schiamazzi ed urla diurne e notturne, servizio comune a tutti, al piano e con scarichi intasati. Non ero certo un baronetto ma una condizione tale non la conoscevo ancora. Comprendevo però che avrebbe fatto parte del mio “battesimo alla vita vera”… fatto sta che di tutto ciò, stringendo naso e denti, ne ero quasi orgoglioso.

Ad oggi sento che, da autentico ventenne,  memore di tutti i racconti di famiglia durante e dopo il conflitto mondiale, volevo capire, mettermi alla prova in tutto, ma soprattutto volevo vincere da solo sopravvivendo. In fondo ero fortunato, nessuno mi costringeva a tutto ciò, era una mia scelta! Negli anni tutte queste sensazioni si dichiararono per quel che erano. Inconsapevolmente dovevo misurare il mio grado di sopportazione del disagio. Volevo divenire in fretta “uomo” o perlomeno la figura che un ragazzo intende per tale. Sopravvivendo a queste esperienze avrei potuto uscire da ogni situazione disagiata futura. Con questa massima ho affrontato tutti gli eventi della mia vita dando giusto valore ad ogni particolare e ringraziando per qualsiasi agio, anche il più banale e troppo spesso scontato.

L’ingenuità mi portava, assieme al mio occasionale amico, a gironzolare di strada in strada e di chiesa in chiesa chiedendo a chiunque se fossero a conoscenza di qualche appartamento in affitto.

Qualcuno lo trovammo pure ma di certo non adatti alla nostra bassissima condizione economica. Ci spostammo pure in periferia ma subito mettemmo in conto la spesa degli spostamenti costanti e quotidiani, per cui abbandonammo la ricerca.

L’obiettivo era chiaro, ovvero, trovare un appartamentino da affittare bypassando  le agenzie immobiliari per risparmiare le percentuali.

Fu un faticoso e totale fallimento! Tanti chilometri consumando suole e riempiendo di appunti e cerchietti molte piantine della città per ottenere quasi sempre la medesima frase: “Hòi Hòi, cari figlioli, qua n’saffitta nulla!”.

A sera, al crepuscolo del primo autunno, calava una tristezza che sapeva di sconfitta e di ritorno verso casa.

Ma quale casa, che non era vicina.

Un panino con fettina di prosciutto cotto per pranzo e idem per cena e acqua in bottiglia di vetro, tutto rigorosamente in piedi in strada o in quel terribile alloggio molto meno accogliente di una panchina.

Unica consolazione il sorriso di alcune nonnine che domandavano a noi: “Icchè scercate, un quartiere?” a Firenze  un grande appartamento si chiama così.  … e noi tonti si rispondeva sempre come una filastrocca. “ Ma noooo, ci basterebbe un bilocale!” . Dopo la prima volta si comprese che con il termine “quartiere” le nonne intendevano giusto un appartamento, ma noi rispondevamo ugualmente a tono.

Ci rivolgemmo pure all’Accademia ed alle diverse facoltà universitarie per trovare indicazioni utili da parte di altri studenti. Gli alloggi per studenti, ad ogni anno accademico venivano in parte abbandonati e i posti rimpiazzati, ma prevalentemente a costi improponibili visto l’alto numero di popolazione studentesca straniera che dettava legge, ambita perché facoltosa. 

Altra frase ricorrente era: “Lè un gran peccato, lo si dette via proprio ieri. Trall’altro l’era pure bello!!!!” …. E un bel “Vaff …(tra i denti)” per risposta.

Dopo un certo periodo, tornato a Genova stanco e preoccupato, un giorno ricevetti una telefonata da Angelo, un ex studente del mio liceo che da un anno era saldamente alloggiato in una casa del centro storico di Firenze, anche lui per frequentare l’Accademia. Lui ed i suoi amici sapevano che cercavo e mi offrirono una stanza che si era appena liberata. In realtà questa mossa era un pochino interessata in quanto non volevano rischiare di “trovarsi in casa” qualche soggetto poco raccomandabile. Ero felice! Il mio compagno di ricerche si orientò spontaneamente verso Brera ed io rimasi l’unico aspirante “fiorentino”.

Concordai un costo di 20.000 lire mensili (10,00 euro odierni) . La cifra era irrisoria, va considerato che nel 1974 una persona pranzava abbondantemente e con qualità, al prezzo di 3.000 lire.

Accettai e iniziai a cercare servizi saltuari e a vendere qualche disegno per far gruzzolo. I miei genitori si resero disponibili ma, conoscendo la loro reale situazione, mi imposi di chiedere il meno possibile. Andando contro il loro desiderio di poter “fare di più” per il loro figliolo, concordai che avrei accettato mensilmente solo i soldi dell’affitto. Vitto, bolletta enel, viaggi in treno andata e ritorno mi impegnai , più con me stesso che con loro, ad essere autosufficiente.

Dopo qualche giorno “volai” a Compiobbi, in provincia di Firenze, per stabilire il contratto e lasciare una prima mensilità per accaparrarmi la stanza. Incontrai  la signora Romagnoli. Si trattava di una vecchia e rugosa contadina, brutta e zozza, stregata dal fruscio delle banconote o dal tintinnio delle monete.

Ero ventenne ma non ancora maggiorenne (in allora lo si diveniva al compimento dei ventuno anni) per cui mio padre, correttamente, firmò una manleva a garanzia. La Romagnoli, comprendemmo più tardi, non essere la padrona dello “quartiere” , ma solo un tramite peraltro esercitante un piccolo grande potere. In sostanza era lei che decideva a chi affittare ed a quanto.

La vecchia, guardandomi seria, mi prese dalle mani la caparra, lasciò sul tavolo la busta con la manleva firmata e mi disse : “Qua non si fanno contratti, ma se te ttu ppaghi nessun ti caccia”. Pareva una fiaba dei fratelli Green.

Questa vera e propria patologia per il danaro ci spinse, sia io che i miei nuovi coinquilini, a comportarci in una maniera inusuale e opportunistica, ovvero ogni fine mese, quando senza preavviso con la corriera, lei calava dalla campagna e veniva a riscuotere “sull’unghia” il dovuto ovvero le quattro quote più le due relative a Nicola e Babis (studenti greci iscritti alla facoltà di farmacia detti Gatto e Volpe, alloggiati in un’unica stanza dell’appartamento), dandole le banconote in mano la si poteva appellare in ogni maniera o raccontarle qualsiasi fandonia che lei, ipnotizzata dal “soldo” accettava qualsiasi frottola, poi girava i tacchi e con ghigno spariva nel buio delle scale senza neppure essere entrata in casa.

Aveva anche l’abitudine di controllarci, ovvero, prima di salire da noi passava dalla megera sua amica che abitava al piano sottostante chiedendo se noi avessimo creato guai o altro. Sarebbe stata una perfetta interprete del romanzo di Victor Ugo, “I Miserabili”.

Il terzo capitolo sarà pubblicato il 15 dicembre.

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