“Un ragazzo degli anni settanta” Una storia in dieci puntate di Tiziana Leopizzi (Capitolo 6/10)
Il recupero di elementari attrezzature, strumenti tecnici e materiali atti alle operazioni scultoree era una delle enormi e continue priorità per cui mi adoperavo furtivamente nel recupero di tondini di ferro, tavolette, gesso e argilla rigenerata in Accademia. L’assistente di Gallo, l’anziano scultore Alfonso Boninsegni, prossimo alla pensione, lo sapeva ma, visto che era materiale da riciclare ed il prelevamento era effettuato a scopo passionale per la Scultura, non interveniva, anzi, spesso mi indicava dove e quando l’operazione poteva avvenire e a fine lezione “camallate”certe verso casa !!!!!
Qualcosa, ogni tanto, capitava e qualche disegno mi veniva acquistato. Mi sono ancora vive quelle emozioni. Mi sentivo assolutamente fiero ed onnipotente, forse fin troppo. Mi sentivo indistruttibile ed ottimista, legittimato a rischiare sempre più, al punto di spingermi in libertà o gesti che erano del tutto lontani dalla mia indole. In oltre, purtroppo, nasceva in me una sorta di superbia giudicante verso chi non conduceva una vita simile alla mia. Oggi credo fosse un misto di orgoglio, soddisfazione con un buon condimento di invidia.
Quelle esigue pecunie dovevano assolutamente venire investite in maniera più logica ed utile.
In quella realtà cittadina poco conosciuta mi misi subito alla ricerca di un travone di legno tale da poterlo lavorare , intagliandolo con entusiasmo. Mi informai appunto dal Boninsegni che subito mi spedì nel quartiere di San Frediano, in via dei Serragli verso Porta Romana, dove le botteghe artigiane germogliavano lavoro. Lì comprai un bel cioppo di profumato cirmolo e quando me lo caricarono sulla spalla mi venne chiesto: “ Hei, giovanotto, dove tu tieni la macchina?” , “Quale macchina” risposi “vado a piedi sino ai Ciompi !”. Il vecchio artigiano sorrise e disse: “ Oih Oih, auguri caro!!!”. In realtà ne avevo bisogno. Arrivato al ponte alla Carraia, guardando l’Arno, mi pareva di morire. La strada mi pareva in salita e se pur col freddo di gennaio gocciolavo come a ferragosto. Il percorso sembrava che per quell’occasione fosse sempre più fitto di turisti che, con cartine nelle mani e occhi al cielo, non si spostavano mai per agevolare il mio passaggio.
Feci ben dieci pause ma a sera entrai in casa. Fradicio e inebriato da quel profumo che mi faceva tornare bimbo quando nonno Guglielmo piallava lunghe tavolette e il caldo ed asciutto odore mi cullava alla musica frusciante della lama che scorreva sulle coste. Pensavo a lui e, con orgoglio, sognavo di dirgli: “ Guarda cosa sto facendo, nonno!”
Il blocco era li, ritto in mezzo allo Spielberg, e facendo bella mostra di se tanto che pareva sfidarmi. Sudato ed affannato sorrisi rispondendogli : “La prima battaglia l’ho vinta io. Dammi tempo di prendere fiato e vedrai. Diverrai uno dei miei pezzi migliori.
Dopo pochi giorni misi a punto un bozzetto che avevo già in testa. Lavorai tanto con quello che avevo, ovvero, un vecchio soracco, una sgorbia media dritta, uno scalpello piatto ed un mazzuoletto ricavato e adattando da una gamba di un tavolaccio irrimediabilmente tarlato.
Scaglie ovunque e lividi tra le ginocchia impiegate come morse per immobilizzare il pezzo. Ricordo Severino che quando non sentiva la musica ritmica del martellamento, bussava e infilando la testa in stanza, serio mi redarguiva: “ Uè Geppetto, cazzo fai, non lavori? Ecco con cosa ci scaldiamo stasera… riferendosi ai trucioli prodotti.
Ne uscì “TIMORE DI UNA VOCE”, un pezzo ingenuo ma, appunto per questo, di grande effetto espressivo, crudo ed essenziale come un’opera totemica e primordiale tanto da divenire un pezzo cardine della mia produzione di quegli anni. Lo esposi per la prima volta partecipando alla rassegna fiorentina “TOSCANA ‘75”, manifestazione per giovani artisti e qui, pur riscuotendo forti apprezzamenti da parte di tutti, ebbi una “bruciatura” che in qualche modo mise persino a rischio la mia permanenza in Accademia.
Al posto della mia figura lignea, che si guadagnò sul campo la collocazione in centro salone con una illuminazione personalizzata, vinse quel premio acquisto di ben 100.000 lire, una fortuna! tal Giovanni Fontanelli con un gesso di pessima fattura precariamente appeso ad una parete. Questo giovanotto brigoloso, dalle labbra enormi e sempre bagnate, proveniva da Poggibonsi, aveva una voce sempre sopra le righe, con un fare invadente e sempre inopportuno che si era già fatto notare in aula.
Si, in effetti si trattava di un mio compagno di corso frequentante il terzo anno. Era conosciuto e salutato da tutti ma non stimato nè tantomeno amato.
Dopo questa acida avventura ricordo una mattina molto fredda, quando, corso in Accademia anche per approfittare del calore della stufa, mi posizionai al mio trespolo, tolsi il nylon alla mia scultura in creta, e iniziai il solito lavoro di studio.
Come da antica lezione accademica, il giaciglio della modella stava al centro mentre tutti i trespoli con i modellati in lavorazione stavano attorno. Circa ogni dieci minuti di verifica personale del proprio operato plastico, la modella veniva ruotata con tutto il basamento di circa venti gradi e, per un attento controllo dei profili, ugualmente i trespoli. In tal modo tutti si poteva effettuare un “lavoro” visivo completo a 360°.
La prassi era il “ Si gira?” che rompeva il silenzio quando si reputava un giusto rispetto comune dei tempi. Quel “Si gira …” era una domanda/proposta non un ordine finchè lo zotico Fontanelli scoppiettò con un: “Via, ora si gira!” prima del previsto. Il Donatello di Poggibonsi si convinse di gestire tutto lo studentato. Al mio serio e secco: “No!” partì una imprecazione toscana ed un provocatorio commento: “Se si vien qui a perder tempo sin da Genova … sarebbe meglio lavorar lesti!”. Per me, già avvelenato che ero, questo fu troppo e visto che avevo un mazzuolo da creta in mano, lo stesso volò fulmineo verso di lui e per un pelo, e dico oggi per fortuna, mancò il bersaglio. Gran silenzio da parte di tutti tranne da parte del simpaticone che, ovviamente sorpreso e spaventato, invece di accettare una sfida maschia, iniziò a strillare sostenendo la sua innocenza e la sua intenzione di denunciarmi. Uscì dall’aula e dopo poco entrò il bidello chiedendomi di seguirlo in Direzione.
Ebbi solidarietà dei compagni sia italiani che stranieri ma, di certo, mi ero messo stupidamente nei guai. Gallo, che al momento degli strepiti si era affacciato dal suo studio sopraelevato dicendo: “Ma ti sei ammattito?” Guardandomi serio ma facendomi occhietto. Pure lui era dalla mia parte.
Il Direttore, il pittore Gastone Breddo pareva un uomo tranquillo, semplice e dolce ma deciso, proprio come la sua pittura. Chiese ad entrambi le due versioni dei fatti, poi sentenziò: “ Tu provochi sempre, sei conosciuto. Ma te, Cristo santo, addirittura un mazzuolo gli lanci contro? Se questo non sporge denuncia ma se non fate pace , vi caccio!” Come bimbi all’asilo ci stringemmo con forza la mano ancora zozza di creta e devo dire che tutto terminò qua.
IL SETTIMO CAPITOLO VERRÀ PUBBLICATO IL 30 DICEMBRE