“Un amore” di Dino Buzzati – tra sensualità e mistero
di Stefania Romito
Dino Buzzati è stato definito “il Kafka italiano”, non soltanto per l’attitudine narrativa all’allegoria calata in un contesto realistico, il cosiddetto “Realismo magico”, ma anche per la stupefacente abilità di calarsi nell’interiorità di un personaggio fino a profanare i confini impenetrabili del suo subconscio.
Buzzati è riuscito a esercitare questa funzione nell’ambito della scrittura restituendo il ritratto di un uomo che vive l’impulso amoroso come la più devastante delle malattie, aspetto questo che emerge in maniera prorompente nel suo romanzo Un amore.
Per quanto concerne la drammaticità dell’interiorizzazione del personaggio, è indubbiamente assimilabile a Kafka ma a renderlo singolare è proprio l’attitudine nel ricreare una dinamicità narrativa mediante l’utilizzo della prima e della terza persona in maniera così speculare.
Il film Un amore, trasposizione cinematografia del romanzo omonimo, esce nel 1965, per la regia di Gianni Vernuccio. Protagonisti: un magistrale Rossano Brazzi, nel ruolo di Antonio Dorigo e una giovanissima Agnès Spaak (19 anni).
Il romanzo inizia con una telefonata piuttosto misteriosa tra l’architetto milanese Antonio Dorigo di quarantanove anni (Buzzati fornisce subito al lettore questo riferimento anagrafico) e la signora Ermelina. Dalle parole frammentate dell’uomo, e cariche di sottintesi, si intuisce che si tratta di una telefonata “mascherata”, in cui ogni parola ha un implicito significato: “Quella stoffa non mi finiva di piacere però ora preferirei qualcosa di più moderno” e la donna chiede se può andar bene il tessuto nero, e lui dice “sì, nero nero come il carbone”.
Si comprende il reale senso della telefonata soltanto quando, dopo averci descritto l’ambiente (che è quello del quartiere elegante nel centro di Milano dove ha sede l’ufficio di Dorigo), pian pianino ci si avvicina al personaggio con una sorta dia zoommata cinematografica narrativa entrando, quindi, nella sua psicologia.
E qui si coglie immediatamente la profondità psicologica di Antonio Dorigo il quale, mentre si trova nel suo ufficio, viene improvvisamente colto (e l’impressione è che gli capiti spesso) dallo struggente desiderio di appagare quelle che sono le sue pulsioni sessuali. Si comprende in questo momento che la conversazione di poco prima in realtà era la prenotazione di un appuntamento con una delle ragazze che lavorano per la signora Ermelina (la responsabile di una casa di appuntamenti di Milano dove si pratica la prostituzione).
Buzzati ci rappresenta lo stato d’animo di Dorigo nel pregustare il momento in cui incontrerà la nuova ragazza. Il fatto che sia un incontro combinato, infonde in lui un profondo stato di eccitamento e gli trasmette un senso di sicurezza. Questo perché? Buzzati ce lo spiega bene. Dorigo non si considera affatto attraente. Anzi, la vista del proprio viso gli procura quasi un moto di repulsione e, andando con una ragazza a “pagamento”, si può illudere di essere addirittura desiderato.
Emerge con evidenza la sua difficoltà nel relazionarsi con le donne. Una problematicità che origina dal fatto di non considerarsi piacevole. Mentre nella vita di tutti i giorni appare molto di sicuro di sé (è stimato da tutti per il suo lavoro e anche invidiato per il suo successo e per l’agiatezza economica) con le donne perde tutta quanta la fiducia in se stesso. Diventa scostante, fa fatica a relazionarsi, ad aprirsi e a mostrare i suoi reali sentimenti. Ha un atteggiamento di chiusura e di freddezza, nonostante i suoi sforzi.
La sua incapacità nel riuscire ad attuare una efficace strategia di seduzione con l’altro sesso lo ha portato a frequentare bordelli, case chiuse e ora anche la casa della signora Ermelina dove incontrerà Laide.
Nel film non vi è questa tempestiva e soppesata analisi psicologica del personaggio. La trasposizione cinematografica prende avvio con Dorigo che attende di incontrare la ragazza, una minorenne, che la signora Ermelina ha scelto per lui. Una ballerina della Scala.
L’attore che interpreta il protagonista è Rossano Brazzi, attore di grande fascino che nel film si è cercato di offuscare. Viene, infatti, rappresentato con i capelli quasi completamente grigi, con un abbigliamento sobrio, rigoroso, e anche il suo atteggiamento è piuttosto “retrò”.
Quando entra nella stanza dove c’è la ragazza ad attenderlo, si percepisce la sua fragilità unita a un pizzico di suggestione nel trovarsi al cospetto di una giovane donna (nel romanzo è descritta bruna, mentre nel film è bionda, interpretata da Agnès Spaak).
D’un tratto entra la signora Ermelina che fa indossare un abito alla ragazza. Nel film pare quasi che la prova del vestito sia un pretesto della signora per mostrare a Dorigo la bellezza della ragazza. Infatti lui si mette comodo sul divano, quasi come se dovesse ammirare un’opera d’arte prima di decidere di acquistarla e, allo stesso tempo, come se già pregustasse il momento di intimità che lo attende. Il suo sguardo è un misto di ammirazione e desiderio.
Nel romanzo questo appuntamento viene preceduto da un interessante approfondimento psicologico da parte di Dorigo. Per lui, cattolico per educazione ricevuta e lontano, per cultura imposta, da certi lascivi pensieri, è stupefacente constatare come una donna bella e giovane accetti di donarsi completamente a un uomo per una modica cifra di denaro, fingendo pure compiacimento.
Per lui ciò è sconcertante, ed è proprio questa contrapposizione, tra l’idea di donna che l’educazione familiare gli ha imposto e l’atteggiamento di “leggerezza” di queste giovani ragazze, ad attrarlo in maniera calamitizzante. Ogni volta non si capacita del fatto di come queste giovanissime ragazze, spesso anche minorenni, che la loro bellezza rendeva apparentemente irraggiungibili ai suoi occhi, potessero invece agire con estrema naturalezza e donarsi completamente con “inverecondia”, senza un minimo di vergogna e di pudore.
Quando incontra Laide rimane subito colpito dal candore e dalla dolcezza dei suoi lineamenti. Il suo volto gli ricorda la Madonna di Antonello da Messina. I lunghi capelli neri incorniciano un viso fanciullesco che lo intenerisce e lo riporta a un’idea di purezza e innocenza che contrasta con lo sguardo provocante e malizioso dei suoi occhi. Di fronte alla sua bellezza si sente profondamente a disagio e all’improvviso viene colto da un senso di inferiorità.
“Guardò, cercando di misurare il piacere che ne sarebbe presto seguito.
Si accorse che l’ovale del volto era bellissimo, puro, benché non avesse niente di classico.
Ma soprattutto colpivano i capelli neri, lunghi, sciolti giù per le spalle. La bocca formava, muovendosi, delle graziose pieghe. Una bambina.
La bocca aveva labbra sottili ma rilevate, non apertamente sensuali, però maliziose. Il labbro inferiore, relativamente, sporgeva un poco, tanto più che il mento era piccolo, stretto e di profilo rientrante. Non aveva rossetto.
La bocca era ferma e tesa, molto piccola in proporzione alla faccia, ma importante. Tutta la faccia era compatta per la tensione estrema della giovinezza. Era una faccia decisa, spiritosa, ingenua, furba, pulita, provocante. Lui si ricordò di una Madonna di Antonello da Messina. Il taglio del volto e la bocca erano identici. La Madonna aveva più dolcezza, certo. Ma lo stesso stampo netto e genuino”.