“Delyrio”, di Stefania Romito – Un ammaliante panegirico dell’ossessione maschile
Recensione al nuovo romanzo di Stefania Romito “Delyrio” (La Bussola – Gruppo Aracne Edizioni, 2021)
di Corrado S. Magro*
A Stefania Romito piace sorprendere. Il suo Delyrio (La Bussola, Aracne Edizioni, 2021) fa quasi delyrare nell’attesa di una svolta o di un secondo delyrante nascosto tra le quinte del prossimo capitolo ma niente, l’attesa è vana.
La brava e affermata giornalista e autrice, con Delyrio ci regala qualcosa di inusuale che diciamolo, non penso susciterà eco nel mondo dei lettori, forse più in quello delle lettrici. Stefania è una virtuosa. Oltre a tenerci impegnati per più di cento pagine su un singolo argomento e con una singola persona “reale”, ci dimostra di conoscere abbastanza l’animus maschile dove si trasferisce.
Più che un romanzo lo scritto di Stefania, forzando il significato, lo definirei romanza o, perdonate, panegirico dell’ossessione maschile di un amore forse a binario unico.
Ma non è questo che interessa. Il quasi monologo della voce narrante apre il sipario su un evento banale: un maturo docente universitario s’innamora di una sua alunna. Non è il primo né l’ultimo canuto dietro una cattedra, che vuole assaporare le ultime susine saporite; solo che costui è inavvedutamente e volutamente atterrato sulla tastiera della scrittrice.
Ed ecco Stefania violare lo scrigno maschile custode di favole, epopee e storie dedicate alla femmina, mascherata sotto il nome di donna, testimonianze di amplessi infuocati del piacere sublimato da una dedizione completa sensuale e mentale e con la pretesa di conoscere tutti gli alveoli, tutti i palpiti femminili.
In Delyrio il giuoco s’inverte. La capacità introspettiva permette alla scrittrice di sfondare, fare breccia con prepotenza nel bastione maschile spogliandolo di epicità, giocando ed esponendo al sole le viscere dell’Io mascolino come un bucato alla candeggina.
Chissà perché riflettendo sulle parole del professore mi è saltato in mente il passero solitario leopardiano partorendo una metafora diversa da quella del poeta. Il mio pennuto non è il Monticola Solitarius ma una passera libera e capricciosa che salta tra i rami di un pesco o di un mandorlo. Uno di questi rami è il nostro professore. Alyssa cinguetta, un frullo di ali, sparisce, ritorna a manifestarsi regina dei respiri di un uomo ossesso dalla paura di perderla. Abbagliato percepisce che Alyssa non può essere sua ma si accanisce, non vuole e non sa essere perdente. Il ricordo, la presa di coscienza, l’anelito dell’uomo “infatuato”, Stefania Romito ce li presenta come scalpelli di un chirurgo che scavano sempre più all’interno della caverna dei sentimenti dell’innamorato.
Nello scritto, diciamolo pure, non mancano le ripetizioni ma sono elaborate con arte da non essere mai asfissianti e per chiudere: Alyssa è Diana, il professore è Atteone ma Diana non lo lascia sbranare. Non è necessario e non le interessa. Lei occupa una sfera superiore. Quando Atteone in un crescendo di sospiri e commiserazione vede che la sua brama non sarà e non potrà essere soddisfatta, mette a nudo la brutalità del debole e si lascia sbranare dal mastino allevato nel proprio recinto: la sua illusione!
Povero maschio, brava Stefania.
* Corrado Sebastiano Magro è uno scrittore di narrativa. Autore di diversi libri di grande interesse tra cui “Tirambo” e “Sere di stelle e frinire di cicale”. www.fantarea.com