Superstizioni e prodigi nel mondo omerico
Di Giovanni Teresi
La religione greca era strettamente unita alla superstizione. Gli indovini e i sacerdoti pretendevano di scoprire il volere delle divinità o le decisioni del Fato interpretando i sogni o semplici fenomeni naturali (come il lampo, il tuono, l’apparizione di un uccello) o di altri fatti più gravi, quale lo scoppio di una pestilenza o la morte improvvisa di un uomo, che erano solitamente attribuiti all’ira divina.
Calcantefra i Greci, Eleno fra i Troiani erano gli indovini più qualificati: essi, per dono divino, potevano conoscere la causa occulta degli avvenimenti o anche leggere nel futuro. Virtù profetiche acquistavano pure i morenti negli ultimi attimi che precedevano la morte. Nella lettura e studio della prima parte dell’Iliade si assiste o si narra di varie specie di prodigi: il giorno della partenza della flotta di Aulide, davanti all’altare dei sacrifici, un serpente aveva divorato otto passerotti nel nido e per ultimo la stessa madre.
Il fatto, come Calcante aveva spiegato, voleva significare che la guerra troiana sarebbe durato ben nove anni: al decimo la città nemica sarebbe caduta. Inoltre, il troiano Polidamante, pure dotato di virtù divinatorie, ha interpretato il prodigio dell’aquila e del serpente. Ettore, è incredulo quando risponde ai dubbi superstiziosi di Polidamante affermando di non credere all’ale erranti degli augelli né di curare se essi volino da desra o da sinistra: ma questa affermazione rappresentava una eccezione. Omero infatti dà ragione a Polidamante: la vittoria sfuggirà ai Troiani come il drago all’aquila. Quanto alle determinazioni “da destra” o “da sinistra” esse volevano significare che il prodigio era fausto o infausto.La destra e la sinistra erano determinate guardando a nord. Fra gli uccelli, il prodigio più sicuro e significativo era l’aquila, fra i fenomeni naturali il tuono, entrambi segni del volere di Giove.
Un altro fenomeno del tutto naturale ma dagli antichi interpretato come un segno della volontà divina erano i sogni. Essi erano anzi considerati come vere e proprie divinità, figli della Notte e abitanti al di là dell’Oceano e delle porte del Sole. Per ordine di Giove si recavano durante il sonno ai mortali per trasmettere loro gli ordini o i consigli celesti. Esistevano due tipi di sogni: quelli veri e quelli fallaci: si diceva che i primi uscissero da una porta di avorio, gli altri da una porta di corno.
Il prodigio dell’aquila e del drago (libro XII vv. 236- 311)…
Mentre che Polipéte e Leontéo
Delle bell’armi spogliano gli uccisi,
La numerosa e di gran core armata
Troiana gioventude, impazïente
Di spezzar la muraglia, arder le navi, 240
Polidamante ed Ettore seguía,
I quai repente all’orlo della fossa
Irresoluti s’arrestâr dubbiando
Di passar oltre: perocchè sublime
Un’aquila comparve, che sospeso 245
Tenne il campo a sinistra. Il fero augello
Stretto portava negli artigli un drago
Insanguinato, smisurato e vivo,
Ancor guizzante, e ancor pronto all’offese;
Sì che volto a colei che lo ghermía, 250
Lubrico le vibrò tra il petto e il collo
Una ferita. Allor la volatrice,
Aperta l’ugna per dolor, lasciollo
Cader dall’alto fra le turbe, e forte
Stridendo sparve per le vie de’ venti. 255
Visto in terra giacente il maculatoSerpe, prodigio dell’Egíoco Giove,
Inorridiro i Teucri, e fatto avanti
All’intrepido Ettór Polidamante
Sì prese a dir: Tu sempre, ancorchè io porti260
Ottimi avvisi in parlamento, o duce,
Hai pronta contro me qualche rampogna,
Nè pensi che non lice a cittadino
Nè in assemblea tradir nè in mezzo all’armi
La verità, servendo all’augumento 265
Di tua possanza. Dirò franco adunque
Ciò che il meglio or mi sembra. Non si vada
Coll’armi ad assalir le navi achee.
Il certo evento che n’attende è scritto
Nell’augurio comparso alla sinistra 270
Dell’esercito nostro, appunto in quella
Che si volea travalicar la fossa,
Dico il volo dell’aquila portante
Nell’ugna un drago sanguinoso, immane
E vivo ancor. Com’ella cader tosto 275
Lasciò la preda, pria che al caro nido
Giungesse, e pasto la recasse a’ suoi
Dolci nati; così, quando n’accada
Pur de’ Greci atterrar le porte e il muro
E farne strage, non pensar per questo 280
Di ritornarne con onor; chè indietro
Molti Troiani lasceremo ancisi
Dall’argolico ferro, combattente
Per la tutela delle navi. Ognuno,
Che ben la lingua de’ prodigi intenda 285
E da’ profani riverenza ottegna,
Questo verace interpretar faría.
Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:
Polidamante, il tuo parlar non viemmi
Grato all’orecchio, e una miglior sentenza 290Or dal tuo labbro m’attendea. Se parli
Persuaso e davvero, io ti fo certo
Che l’ira degli Dei ti tolse il senno,
Poichè m’esorti ad obblïar di Giove
Le giurate promesse, e all’ale erranti 295
Degli augelli obbedir; de’ quai non curo,
Se volino alla dritta ove il Sol nasce,
O alla sinistra dove muor. Ben calmi
Del gran Giove seguir l’alto consiglio,
Ch’ei de’ mortali e degli Eterni è il sommo 300
Imperadore. Augurio ottimo e solo
È il pugnar per la patria. Perchè tremi
Tu dei perigli della pugna? Ov’anco
Cadiam noi tutti tra le navi ancisi,
Temer di morte tu non dei, chè cuore 305
Tu non hai d’aspettar l’urto nemico,
Nè di pugnar. Se poi ti rimanendo
Lontano dal conflitto, esorterai
Con codarde parole altri a seguire
La tua viltà, per dio! che tu percosso 310
Da questa lancia perderai la vita.
Nel XII Libro Omero torna a descrivere le imprese di Ettore a cui però Polidamante dà un saggio consiglio: i Troiani non si avventurino oltre il fossato con i carri perché rischierebbero di rimanere imprigionati, diventando facile bersaglio degli Achei. Ettore allora divide i suoi in cinque gruppi, guidati dai più forti. Asio, invece, non vuole seguire il consiglio di Polidamante e si scaglia col suo carro verso la grande porta del muro, tenuta aperta da Polipete e Leonteo che la difendono con estremo vigore.
Proprio da questi due Lapiti parte la riscossa degli Achei.A i Troiani che stanno per attraversare il fossato appare un’aquila in volo con un serpente vivo tra gli artigli. Il rettile riesce a mordere l’uccello al petto e questi lo scaglia a terra.
Polidamante interpreta la visione come un infausto presagio, ma Ettore lo rimprovera aspramente: lui non si cura del volo degli uccelli, ma confida nella parola di Zeus che gli ha promesso la vittoria.
Sulle torri del muro i due Aiaci infondono coraggio ai difensori perché non si perdano d’animo, mentre una “nevicata” di pietre infuria tra le due parti in lotta.
Sarpedonte incita Glauco perché insieme a lui si getti nella mischia, mostrando ai Lici quanto sono valorosi i loro re (leggi più sotto la sua “filosofia di vita” o di morte…). Menesteo richiede l’aiuto di almeno uno dei due Aiaci e in suo soccorso arrivano i figli di Telamone, appunto Aiace e suo fratello Teucro, abile con l’arco. È quest’ultimo a colpire Glauco, costringendolo al ritiro, mentre Sarpedonte grida ai suoi di concentrare gli sforzi. Spetta però a Ettore, rinvigorito dall’aiuto di Zeus, di varcare per primo la porta del muro acheo, incitando poi i suoi a seguirlo.