Sotto a chi tocca… con Bella Ciao
di Gianvito Pipitone
Mentre gli Usa e l’Europa cincischiano: chi sarà la prossima vittima di Putin ?
L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia e la prolungata drammatica guerra che ne è scaturita, impongono una serie di riflessioni sul posizionamento dei vari attori geopolitici nei confronti del nuovo ordine mondiale. Necessariamente dinamico e mutevole, qualsiasi possa essere l’esito di questa disastrosa guerra. E se una relativa pace ha tenuto per due decenni unita l’Europa in uno stato di apparente cristallizzazione, all’indomani della guerra in Libia e, soprattutto, alla luce di quanto sta succedendo in questi ultimi mesi in Ucraina, sembrano ora scatenarsi desideri e pulsioni un tempo sopite delle varie nazioni che la compongono. Le tentazioni più indicibili? diversificare i propri obiettivi, cogliere inaspettate opportunità e affinare le strategie a medio e lungo termine, cercando di ottenere il massimo dal punto di vista diplomatico, geopolitico, economico, dal peggiore degli scenari possibili: la guerra. Questo, sia detto, a scapito delle politiche unitarie che la Comunità Europea si sforzerà ostinatamente di mettere in campo, ammantandole del consueto ottimismo che pare filtrare costantemente dalle parti di Bruxelles. Nonostante il fatto che tutti in Europa sembrano ben consapevoli dell’antico adagio: “ognuno per sé e Dio per tutti”.
Intanto appare cristallino un dato di fatto: le divergenze di impostazione fra l’America e l’Europa. Alla sicumera dimostrata dalle ultime uscite da parte dello Zio Sam che pare non mollare la presa, promettendo mari e monti a Zelenskij, fa eco un sempre più prudente aplomb dell’Europa che non manca invece di rispedire automaticamente al mittente ogni fuori squadra misurato da Washington. Le prime avvisaglie, a fine marzo, quando il presidente francese Macron (in piena campagna elettorale) ha riservato una sonora scudisciata a Biden, suo omologo americano (nonchè socio di maggioranza della “società”), colpevole di aver equiparato Putin ad un “macellaio”. Non era certo la prima delle frizioni fra i due blocchi alleati. Non sarà l’ultima.
Tanto che Biden, che i detrattori d’oltreoceano dipingono come una sorta di “bell’ addormentato nel bosco” (sleepy Jo), pare non sapere più che pesci pigliare di fronte a quella che deve sembrare ai suoi occhi una “snervante eccessiva cautela” fra i suoi alleati storici. Nell’incertezza, in Italia così come nel resto delle cancellerie europee, alle parole, agli atteggiamenti assertivi e spesso sopra le righe del presidente americano, sono seguite una serie di “spallucce” che, evidentemente, non devono essere troppo piaciute dalle parti di Washington. Non è un caso se, con l’incontro di ieri a Kiev (il primo con protagonisti americani dopo il 24 febbraio) fra il Segretario di Stato Blinken e il Segretario alla Difesa Austin con il presidente ucraino Zelenskji, l’America abbia voluto mandare ai suoi alleati un preciso messaggio: “con o senza di voi, la guerra proseguirà”. Rinsaldando in questo modo, fra l’altro l’alleanza “naturale” degli Usa con la Gran Bretagna di Johnson. Alla quale, a dir la verità, non sembra vero di aver trovato il modo di spostare i gravi problemi interni (fra scandali vari e ben più pesanti problemi di “tenuta” di unità del Regno) su una guerra che la vede pervicacemente impegnata in prima fila, ovviamente sotto copertura.
Chi altro conta in Europa? Al netto della Francia, fresca del secondo mandato presidenziale di Macron, per tradizione avvezza a mantenere alte le attese per i propri obiettivi geopolitici, si intravede all’orizzonte l’ombra della Germania. Colosso economico costretto, per ragioni storiche, a mantenere da 75 anni a questa parte un bassissimo profilo militare. A spizzichi e bocconi, i tedeschi sembrano avvicinarsi con estrema cautela e circospezione ad un progressivo riarmamento. Notizia che, comunque la si voglia vedere, buona non è: senza per forza volerne puntualizzare il perché. Per distogliere lo sguardo dal “campo”, nel frattempo, dalle parti di Berlino sembrano davvero inventarle tutte. Non ultima, la polemica che coinvolge l’ex cancelliere Schroeder, con la sua possibile radiazione dal partito SPD per non aver rinnegato i suoi rapporti con Putin. Argomento “trompe l’oeil”, forte abbastanza da convogliare comunque l’attenzione del dibattito interno sul fatidico “dito” piuttosto che sulla “luna”.
Di “campo di battaglia”, non ne vuole sentir parlare più nessuno, in realtà, nemmeno la TV, stanca forse della eccessiva sovraesposizione bellica delle ultime settimane. Con eccezione della Nato impegnata “anema e core” sotto mentite spoglie, a dirigere il traffico (di armi) verso l’Ucraina. E ad eccezione della Russia che avanza imperterrita come un rullo compressore dall ‘est dell’Ucraina attraverso le regioni costiere del Mar Nero.
Nel frattempo, la notizia odierna è che ci sono stati nel pomeriggio di ieri, 25 aprile, degli attacchi a Tiraspol, nella regione della Transnistria, legata a doppio filo a Mosca, ma appartenente allo stato sovrano della Moldavia. Attacchi non ancora rivendicati, la cui matrice “destabilizzante” però, potrebbe essere ricondotta ad ambienti vicini a Mosca. Manco a dirlo. Non è un caso che la Moldavia, stato più povero d’Europa, si trovi in una situazione di equilibrio precario, simile a quella dell’Ucraina. Alle elezioni del 2020, infatti, la cittadinanza ha bocciato il presidente filorusso Igor Dodon, eleggendo al suo posto l’europeista Maia Sandu. Passaggio di schieramento che potrebbe costare alla Moldavia lo stesso tragico destino dell’Ucraina. Motivo per il quale la presidente Sandu ha convocato in piena emergenza il consiglio di sicurezza del paese.
Sotto a chi tocca dunque, mentre l’Europa appare sempre più paralizzata: da un lato dalla minaccia diretta ai propri interessi energetici, dall’altro dall’incombente provocazione di Mosca per il tanto paventato attacco nucleare. In definitiva, in questo complicato turno di poker: Washington (e la sua ruota di scorta, Londra) appare sempre più propensa a voler “vedere” le carte di Mosca, con la speranza che Putin non gli serva un poker d’assi… mentre Bruxelles pare abbia ormai deciso definitivamente di passare mano. Almeno fino a quando una o più nazioni della Comunità Europea e/o della Nato, non saranno costrette a tirar fuori dal dimenticatoio il proprio inno per la “liberazione”: un “Bella Ciao”, anche di seconda mano, temo proprio che ce l’abbiano tutti in repertorio.
Buona festa di liberazione a tutti.
Blog del’autore: /www.barrylyndon75.it