Siria, la seconda poesia dedicata all’Inferno dei popoli
di Francesco Abate
Padre caro che dici d’amarmi
perché i tuoi baci sanno di fuoco?
Con questi versi si apre Siria, la seconda poesia dedicata all’Inferno dei popoli.
La poesia vuole essere una riflessione sulla sanguinosa guerra civile che devasta il paese dal marzo 2011, quando parte della popolazione si ribellò al duro governo del presidente Bashar Assad. Quella che nacque come una delle numerose rivolte nate sulla scia della cosiddetta “primavera araba” si scontrò con la feroce resistenza del presidente e della parte di popolazione a lui fedele. Come spesso accade nei conflitti in quelle aree, subito la Siria divenne lo scacchiere su cui giocare una terribile partita tra Russia, Cina e Iran da una parte (alleati di Assad) e Stati Uniti dall’altra. Mentre le superpotenze facevano il loro gioco, i siriani si trovavano bloccati tra due fuochi e morivano ammazzati tanto dal Governo quanto dai ribelli.
Dal marzo del 2011 ad oggi, quindi da più di 11 anni, i siriani vivono in un paese raso al suolo e sotto l’incubo delle bombe.
Nella poesia ho voluto vedere il conflitto dal punto di vista di un cittadino. Assad, il presidente, si comporta coi cittadini come un padre-padrone, li percuote per piegarli alla propria volontà invece di lasciarli liberi, e questo figlio chiede al proprio padre perché quelli che dovrebbero essere gesti d’affetto si rivelano tanto dolorosi. Se ci pensate, un presidente è messo al potere per fare il bene dei cittadini, come un padre dovrebbe fare per i propri figli, invece Assad li bombarda e non ha esitato ad usare su di loro anche armi chimiche.
La vittima di tanta crudeltà si chiede:
Padre caro che dici d’amarmi
perché i tuoi gioielli sfondano i timpani?
Oggi infatti i governi spendono tanto nelle armi, che diventano di conseguenza i loro gioielli.
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