Siamo tecnologici ma non scientifici. L’impegno per la scuola
di Ornella Bleve
Siamo tecnologici ma non scientifici. Sarebbe difficile immaginare la nostra vita senza tecnologia. Chiudiamo gli occhi, cerchiamo di fare uno sforzo di immaginazione …. È praticamente impossibile. Siamo in un’era tecnologica ma non scientifica.
Amiamo della scienza i suoi risultati, il potere che ci regala ma non le sue regole, il suo metodo.
Siamo rimasti legati a Bacone ma abbiamo dimenticato Galilei. Non siamo scientifici perché l’idea che non ci siano fatti ma solo interpretazioni dei fatti ci ha portato a pensare che tutte le opinioni siano equivalenti. In effetti, è bello che nella nostra società sia data a tutti la possibilità di dire tutto e il contrario di tutto ma nella giungla delle opinioni è doveroso fare una scelta, onesta sia intellettualmente che praticamente.
La scienza ci dà un criterio di verità: le opinioni vere devono essere verificate in modo preciso e non approssimato.
Tutto ciò che non viene verificato viene scartato perché nella scienza l’eccezione non conferma la regola ma semmai conferma che la regola è sbagliata. L’eccezione insinua un dubbio, rende necessaria una revisione. Nella scienza tutto deve essere verificato, tutto deve essere reso visibile.
L’essenziale, riflesso nella legge scientifica, è invisibile agli occhi solo finché qualcuno non lo vede.
Dopo di che può e deve essere visibile a tutti. La scienza riconosce l’importanza del contributo plurale: lo scienziato è consapevole di non poter comprendere la realtà in solitudine ma grazie al contributo di chi lo ha preceduto e lavorando insieme ai suoi contemporanei. La magia si avvale di un linguaggio misterioso e di riti magici sconosciuti alla maggior parte degli uomini, non la scienza. Per questo motivo, nella storia dell’umanità, la scienza come disciplina autonoma nasce nel momento in cui con Galilei prende vita il metodo scientifico che permette non solo la verifica di ogni affermazione ma soprattutto la condivisione.
La parola “metodo” è piena di fascino nella sua etimologia: indica una strada che bisogna percorrere per andare oltre.
L’oltre sembra appartenere alla religione ma c’è anche l’oltre della scienza. La scienza con il suo metodo ci aiuta ad andare oltre ciò che è pregiudizio, abitudine, illusione, semplice apparenza. Ai miei studenti faccio notare che nella realtà apparente non abbiamo mai visto una pallina muoversi infinitamente: tutte le palline lanciate prima o poi si fermano eppure c’è una legge fisica, la legge del moto rettilineo uniforme, che ci dice che una pallina continuerà a muoversi all’infinito una volta che le abbiamo impresso una forza.
Allora la scienza ci presenta un modo diverso da ciò che vediamo? Non proprio.
Nella nostra osservazione ci siamo fermati in superficie se avessimo guardato più a fondo, avremmo considerato la funzione frenante dell’attrito. Galilei riesce a vedere oltre e costruisce i piani inclinati, un esperimento che può aiutarci a vedere quello che immediatamente non vediamo. È bellissimo che non solo gli scienziati ma ciascuno di noi per quanto stupido potrebbe ripetere l’esperimento di Galilei all’infinito e vedere quello che Galilei ha visto. Tutto ciò sembra sia stato dimenticato. Galilei invece, anche con la sua abiura, ci dimostra che le parole non hanno potere sulla realtà anzi quando non riconoscono nella realtà il loro centro di gravitazione sono vuote: eppur si muove.
Oggi, in rapporto alla strada segnata da Galilei, la situazione è drammatica.
Da una parte abbiamo gli scienziati che si avvalgono di un linguaggio misterioso, quasi esoterico, accessibile a pochi, e quotidianamente dimostrano di avere qualche difficoltà a comunicare anche tra loro; dall’altra parte abbiamo coloro che gridano al complotto, i negazionisti, per i quali tutti coloro che non riescono a vedere ciò che a loro è più che evidente sono ridicoli, psicotici, conformisti addormentati dalle sirene del potere; pochi dimostrano un atteggiamento serenamente critico, chiaro e aperto al confronto.
Il disorientamento è notevole ma non possiamo rassegnarci ad un modo di fare poco critico ed estremamente pericoloso. In ogni momento, pretendiamo non solo dagli altri ma soprattutto da noi stessi un atteggiamento diverso.
La verità scientifica si nutre di condivisione e di dubbio.
Come ci insegna Popper un’affermazione può essere considerata scientifica non quando si presenta come verità assoluta, valida sempre e comunque, ma proprio il contrario quando si apre alla confutazione, conservando il suo rapporto vitale con la realtà. L’affermazione è scientifica quando riesce a farci vedere quale esperienza dovrebbe verificarsi per poter pensare il contrario.
Ad esempio, se si afferma l’esistenza di un complotto bisogna far capire cosa si dovrebbe verificare per poter affermare che il complotto non esista. Se l’esistenza del complotto o una qualsiasi tesi pseudo-scientifica è valida sempre e comunque, qualsiasi cosa accada come se fosse una certezza assoluta non abbiamo più a che fare con la realtà ma con il fanatismo, il dogma, la tifoseria. Tifiamo per una squadra senza ragionarci su. Invece, ciò che accompagna la ricerca scientifica della verità, nella storia dell’umanità, non è mai la certezza assoluta.
Nella ricerca si può essere più o meno certi ma totalmente certi mai.
Il dubbio e l’incertezza permettono di considerare la verità scientifica non come oggetto di un possesso quasi magico ma come il fine di un cammino che non potrà mai finire. Non è possibile rimanere indifferente di fronte a tanti insulti alla nostra intelligenza. Tra poco riapriranno le scuole e
la scuola dovrebbe lavorare concretamente e responsabilmente per formare il senso critico delle nuove generazioni
ma da sola la scuola non può farcela. Sarà necessario uno sforzo collettivo che aiuti l’uomo di oggi ma soprattutto di domani ad apprezzare non il potere che dà la scienza ma il suo metodo, la sua anima più profonda e umana, superando quel fanatismo che ci spinge a considerare cattivi tutti coloro che si trovano su quella riva del fiume che non è la nostra.