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“Senza chjù sciatu”. La nuova raccolta poetica di Girolamo La Marca ha ancora molto da dire

Presentazione del libro di Girolamo La Marca

Presentazione del libro di Girolamo La Marca

Di Serena Milisenna

Sebbene il titolo della nuova silloge indugi sulla mancanza di respiro (“sciatu”) inteso come vita, la presentazione della nuova opera di La Marca, eclettico artista pluripremiato dalle giurie di concorsi locali, regionali e nazionali, ha fatto sentire forte la sua voce.

Venerdì 7 Giugno nella colorata cornice della Biblioteca Comunale di Ravanusa, in presenza del sindaco Salvatore Pitrola, del notaio Salvatore Abbruscato, del regista Giovanni Di Caro, della cantante Sara Chianetta, del prof. Filippo Tornambè e della direttrice della biblioteca Lina Russo, ho moderato una serata emozionante che ha coinvolto tutti noi relatori e il numeroso pubblico convenuto da diverse città limitrofe.

Variegato il caleidoscopio di emozioni suscitate dalle poesie scritte in un vernacolo verace che testimonia la ricerca linguistica, avviata già da molti anni dall’autore, considerato da tutti custode della memoria storica locale. I commossi abbracci finali con il pubblico hanno ulteriormente suggellato il legame tra La Marca, il suo paese natio e le persone che lo seguono da sempre perché nota è la sua vocazione di artista, poeta, scrittore, vignettista satirico e giornalista impegnato in numerose attività culturali che animano la comunità di appartenenza.

La silloge “Senza Chjù Sciatu” si adagia, dunque, nella piccola culla di Ravanusa, tracciandone antichi luoghi, profumi, sapori e suoni. La Marca crea una “naca” (culla, appunto) di nostalgia e gramigna dove i lettori possono dondolarsi, ricordando i vecchi tempi, le atmosfere dei cortili, le nonne, “li cunti”, le leggende paesane, il dolore e la luce della vita.

I versi sono germogli di un animo fanciullo che alberga nell’autore e che viene condiviso con chi ascolta: attraverso mille immagini dolci e musicali, questi germogli spigano nel senso stretto dell’appartenenza che è cara compagna di vita dell’autore e che diventa per i compaesani destino atavico: l’appartenenza è il destino di chi cresce e vive nelle piccole comunità, capaci di creare tra le persone e i luoghi legami ancestrali.

E’ una tela, quella del vivere nei paeselli, tessuta – giorno dopo giorno – dai fatti accaduti intorno all’esistenza degli abitanti: ciò che avviene nelle case, nei cortili, per le strade, nei quartieri, nelle chiese diventa un via vai di storie e aneddoti da ricordare e condividere.

Chiunque abbia avuto radici spezzate può ritrovare nei componimenti di La Marca il senso del distacco che rinfocola legami viscerali. Sono tante, infatti, le manifestazioni di affezione alla sua poesia provenienti anche da emigrati che ricercano in quei versi le radici e i suoni del dialetto ravanusano.

Questa silloge – ha detto per l’occasione il notaio Abbruscato – ha il merito di farci conoscere il nostro dialetto “rivinusaru” che presenta minime differenze con gli altri dialetti locali e vi troviamo vocaboli da noi quasi dimenticati che nessuno più usa; i nomi di molti personaggi e luoghi conosciuti per il loro mestiere (…); vi leggiamo tipiche espressioni, modi di dire, massime tutte tratte dal mondo contadino perché la Ravanusa antica, che il poeta osserva, era prevalentemente agricola rispetto alla attività artigianale”.

Oggi – ha aggiunto Abbruscato – non si parla più il dialetto, né a scuola, né in famiglia e nemmeno nelle relazioni sociali. Esso esiste e rivive ad opera di poeti e scrittori, che assumono il ruolo di custodi, conservatori, comunicatori, come avviene con la silloge di cui stiamo discutendo. (…) Il nostro dialetto “rivinusaru” con le sue tipiche espressioni ha per noi un valore affettivo: era la lingua che parlavano i nostri antenati, i nostri genitori, quindi è una eredità che ci appartiene.

Possiamo dire che questa silloge costituisce non solo una finestra sulla Ravanusa antica ma anche una lezione linguistica (…)”.

“Il siciliano – ha continuato ancora Abbruscato – è più che un dialetto; secondo gli esperti linguisti, dovrebbe essere considerato una lingua a sé stante, dotata di un proprio vocabolario, grammatica e sintassi. Nel corso dei secoli si è arricchito di influenze linguistiche di altri popoli dominatori, dei greci, arabi, spagnoli, francesi, normanni, e per questo essa è da considerare a pieni titoli una lingua piena di storia e di cultura, come nessun’altra. Va custodita, va tramandata, va diffusa, va studiata; questa silloge rende un grande servizio alla valorizzazione della nostra lingua siciliana.

La silloge “Senza chju’ sciatu”, cioè senza forze – ha aggiunto Abbruscato – è il messaggio che il poeta dà al lettore: si avvicina il tempo in cui le forze mi abbandonano e prima di esserne completamente privato raccolgo in questo libro tutte le mie poesie in vernacolo per tramandarle ai posteri”.

Ecco perché i libri di La Marca saranno donati alle scuole affinchè gli studenti possano leggere e imparare il dialetto, così come ha fatto alla fine della serata il nipotino Emanuel Girolamo La Marca che ha declamato con il nonno la poesia “Santu Vitu”.

Nell’esercizio, dunque, della memoria rappresentativa, anche la lingua diventa la spina dorsale del riconoscersi. Perché nei luoghi piccoli e remoti appartenere è riconoscersi attraverso linguaggi locali e nomignoli specifici, che consentono alle persone di avere una propria parte in questo mondo grande e tendente alla spersonalizzazione.

Si prenda una città: caotica, colma di mille facce sempre nuove e di quartieri dove ognuno vive ritirato. Quali storie si possono raccontare, quali aneddoti? Chi bussa alla porta di un altro? Nessuno. Né per il sale né per il sorriso.

Si cammina in una città e si è numeri, entità senza la precisa identità del “chissu apparteni a chiddri” (posso tradurre il modo di dire con le parole “riconoscibilità dell’albero geneaologico”).

Soltanto nei paesini trovano spazio le manifestazioni di grande affetto e vicinanza e le rappresentazioni “chiazzarole” del raccontare e condividere i fatti degli altri, condendoli – spesso – con dettagli fantasiosi e con il dialetto locale.

Appartenere ad una piccola comunità è tutto questo, nel bene e nel male.

In questa meravigliosa raccolta, allora, il senso di appartenenza intrama un tempo passato in cui La Marca si immerge e ci fa immergere, movimentando una macchina scenica variopinta di ricordi che si muove al suono di: “Ti lu ricuordi quannu eramu carusi?”: “Leggendo la poesia – ha continuato ancora Abbruscato – sembra di vedere un film, lo scorrere di immagini che sembrano fotografie della realtà. (…) Il suo stile è asciutto (…) realistico, privo di retorica e di enfasi, di astruserie, di proposizioni sintatticamente complesse, realizzando così una immediatezza tra il fatto e il dire, generando così una facile comprensione di quello che il poeta vuole esprimere. Le parole, le immagini e le metafore che adopera sono essenziali, nessuno spreco. La poesia deve essere immediatamente compresa, deve suscitare emozioni per la sua bellezza e per il suo contenuto”.

I temi trattati sono quelli del paese natio, della madre e della donna, a proposito della quale Abbruscato ha detto: “Molte sono le donne celebrate, viste in tutte le maniere in cui esse solitamente si manifestano agli occhi di chi le desidera: scontrose, maliziose, accondiscendenti, e l’uomo è quello che prende l’iniziativa, che fa dichiarazioni di amore, non sempre corrisposte. L’amore viene dipinto in tutte le sue manifestazioni di fascino, anelito, tormento, estasi, delusione, felicità, sensualità, dolore.

La bellezza della donna, che accende il desiderio del maschio, è descritta in molte maniere a volte con similitudini legate alle cose come avviene nella poesia “Augustusa”; il titolo è coerente, diciamo pure azzeccato, poiché la donna viene paragonata ad una fetta di “pani friscu”.

Molto coinvolgente anche la spiegazione del prof. Filippo Tornambè che ha letto con enfasi “Sciauru di rosa nova”, spiegando con grande abilità e parole imbriglianti quando si può parlare di Poesia: quando la realtà viene trasformata in altro da sé, allontanata dalla contingenza del banale e accostata al sublime attraverso le metafore e la forza del costrutto simbolico.

In questa preziosa raccolta ci sono tutti piani dell’esistenza: dal principio fino alla possibile fine che interroga anche noi lettori: la Sicilia, la paternità, il coraggio di vivere, il dolore inflitto dalla vita e dalla sventura della morte. La Marca sale e scende le scale del palazzo esistenziale nel quale noi lettori siamo, prima, benvenuti destinatari di messaggi chiarissimi e poi, improvvisamente, emittenti protagonisti perché in quel dolore, in quelle immagini, in quella nostalgia e in quegli interrogativi non solo ci specchiamo, ma troviamo il rovello del nostro essere al mondo.

La sua poesia celebra il valore dei sentimenti umani, fra luci e ombre, e della nostra bella storia locale.

Da questa culla si levi, allora, il canto del nostro piccolo popolo e si dispieghi verso nuovi orizzonti.

Serena Milisenna

Presentazione del libro di Girolamo La Marca – L’ autore con Serena Milisenna
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