IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

senilita

Di Vincenzo Fiaschitello

“Senilità” è il titolo di un noto romanzo di Italo Svevo, come molti lettori certamente ricordano. Ma lì lo scrittore triestino usa il termine impropriamente perché lo riferisce al trentacinquenne protagonista Emilio per sottolineare la sua incapacità di agire, il suo abbandono al flusso degli eventi senza alcuna volontà di impegno, né desiderio di mutamento.

L’inazione è forse la prima caratteristica negativa, legata alla decadenza fisica, che notiamo nel vecchio. Se è vero che la parola racchiude più o meno perfettamente quel che è l’essenza delle cose, delle situazioni e condizioni, io preferisco il termine “vecchio” piuttosto che anziano. Nel primo non leggo nulla di dispregiativo. Probabilmente è per addolcire o alleggerire la quota di carica offensiva che oggi per esempio si respinge l’antica parola di “serva”, sostituendola con cameriera, o domestica, o collaboratrice familiare; la stessa cosa accade per spazzino, sostituito dal termine operatore ecologico. Per conto mio ritengo che la parola più appropriata per l’individuo che ha raggiunto una certa età sia “vecchio” e non anziano. Tanto più che con quest’ultimo non è che poi gli possiamo togliere qualche anno dalla sua vera età anagrafica!

Parafrasando un verso immortale che Pindaro, ottuagenario, scrisse nella sua casa tebana, potremmo dire: Cos’è mai il vecchio, oggi? Cosa mai non è il vecchio, oggi?

Un valore che per fortuna ancora resiste è quello del rispetto e dell’amore per chi si trova a vivere gli ultimi anni della sua vita, ultimi sicuramente perché nessuno può sfuggire a quella che i greci ritenevano la “doppia assurdità di vivere e di morire”. Le statistiche ci dicono che la presenza dei nonni in famiglia e comunque la loro disponibilità assistenziale, educativa, finanziaria, è via via cresciuta al punto che non se ne può fare a meno, senza creare seri contraccolpi. Si sa, però, che quando le forze non assistono più il vecchio, ecco che il suo posto lo troviamo in quelle strutture di assistenza più o meno specializzate e accoglienti, le stesse che talora sono state chiamate in causa per maltrattamenti da parte di personale privo di umanità o, come accaduto di recente, per i gravissimi problemi legati alla pandemia che tuttora continua ad affliggerci.

Ma vediamo di conoscere più a fondo l’animo del vecchio. Si è scritto spesso a che serve trascorrere nell’ombra e quasi sempre nella sofferenza una vecchiaia anonima, inutile, senza più poter gustare il bello della vita. Leopardi, che non conobbe questo ultimo stadio della vita perché non raggiunse nemmeno l’età di quarant’anni, in una delle Operette morali (Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere), esprime tutto il suo pessimismo quando ci fa comprendere che per sentire l’amarezza del vivere, basta una vita e che dunque difficilmente un vecchio è disposto a ripeterla. Tale radicale pessimismo si può riscontrare in Memnermo, l’antico poeta greco elegiaco, con la famosa frase: “La cosa migliore per l’uomo è di non nascere mai o di morire presto”.

E’ nell’età della vecchiaia, più che in altri momenti della vita, che libertà e necessità si intrecciano così strettamente da diventare indivisibili, saldati insieme, per dare l’avvio a quel che possiamo chiamare il destino finale o cammino dell’ultimo miglio, lungo una strada, costeggiata da un lato da giardini verdeggianti e da una terra di sogni, e dall’altro da una terra arida e sassosa. Al di là della metafora, il vecchio è colui che ricapitola, più o meno lucidamente il proprio passato, colui che elabora immagini felici, dolorose, noiose, difficili, della sua vita, come fa il poeta quando ricerca e accosta parole che narrano di sé a se stesso. La letteratura, gli studi sociali e di medicina, spesso tracciano un quadro estremamente negativo della personalità del vecchio. Disgustato dal mondo, egli si chiude in sé, ama il segreto colloquio con i suoi fantasmi e nel contempo è coinvolto in un inarrestabile scivolamento verso il luogo, la terra, da cui misteriosamente quelli si sollevano. La tristezza e la solitudine come un velo lo ricoprono, scompigliano i suoi pensieri e disgregano la sua stessa identità. Le reminiscenze sopravanzano le speranze. Il suo spirito macina sempre quel che rimane del suo passato, senza prospettiva alcuna di rinnovamento. Lo invade la tristezza quando dinanzi al crollo delle sue aspettative vede che il mondo da lui sognato e costruito fa acqua da tutte le parti. Si domanda: Ma dove ho sbagliato? L’interrogativo richiama lo smarrimento che prova Padron ‘Ntoni nei Malavoglia di Verga, lo stesso che provano tutti i vecchi quando alla fine della loro vita sono schiacciati da un cumulo di negatività.

Al di là di questo quadro patetico possiamo tuttavia immaginarci anche la figura di un vecchio che, specie se sorretto da discreta salute, sa reagire alla prostrazione, sa mantenere vivo il senso del presente, sa lottare e sopportare, accogliendo quelle poche gioie che la vita ancora gli riserva, senza farsi troppo condizionare dalle avversità. Probabilmente ciò che lo fa soffrire è l’oscuramento del cielo delle illusioni, se dobbiamo dar fede a quel che scrive Leopardi nello Zibaldone (51): “Io considero le illusioni…ingredienti essenziali della natura umana… senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa”. Ma sappiamo per certo che l’animo del vecchio è invaso dalla nostalgia del passato. E’ questa di per sé una bella illusione e lo stesso Leopardi più avanti lo riconosce: “Ci par veramente che quelle tali cose non sono morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci l’idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna” (Zibaldone, 60).

Nel momento in cui scrivo queste brevi note, infine, non posso non pensare a quante donne, bambini, vecchi, stanno soffrendo rinchiusi in umide e buie cantine o fuggendo da Kiev a causa di una guerra che infiamma l’Europa e vede combattere e morire giovani e uomini per difendere la loro terra. Dolore grandissimo che si somma a immenso dolore, quando immagino il vecchio che già vestito di terra e che fino a poco prima sperava di addormentarsi nella morte reclinando il capo sul tavolo della sua camera, come improvvisamente vinto dal sonno, è invece dilaniato dalle macerie di un palazzo colpito da una bomba d’aereo.

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