Sei poesie tratte dal libro della settimana di Vincenzo Fiaschitello “Si sgomitola la vita” Poesie
Ai confini della vita
Scendemmo gioie dai nostri occhi
e pene salimmo dal cuore
su cui incisa era l’eco dell’amore
che ci donarono.
Ai confini della vita, ciascuno
si avvicina insonne, sorridente,
indifferente o, col freno tirato, stridente.
Dice qualcuno: un’ora…ancora un giorno,
ancora un anno!
Altri: finalmente, questo troppo soffrire
non è vita, lasciatemi andare, vi prego,
posso pure pagare.
Dunque, più che la vita,
la morte è in vendita, si può comprare!
Il tuo passo brulica
Il tuo passo brulica
di silenzi,
il tuo passo ha singhiozzi
che agglutinano tutte
le sofferenze.
Ma tu portami la gioia,
cantami la vita
di chi ci ha preceduto
e sperava di rivivere
anche come pianta
di sambuco, come fiore
di campo o umile erba.
E dimmi di colei
che voleva tornare
soltanto come rondine
di primavera!
Io nulla spero, portami
dietro a te,
passo di montanaro,
passo di pastore,
passo di giardiniere
di rose scarlatte.
Passo di soldato?
No, non ti conosco,
ti scorre dietro un fiume
di sangue di innocenti.
Il sole sorge a occidente
Se un mattino il sole sorgesse
a Occidente, solo la gente dabbene
soffrirebbe di nausee e vertigini.
Il giorno dopo, tutto come prima.
Alzarsi, sorbire un buon caffè,
sbarbarsi e infilarsi in macchina
in mezzo al frastuono del traffico,
sarebbe più che normale.
Nessuno noterebbe nulla di cambiato:
a mezzogiorno il sole a picco
sulle teste e a sera il tramonto
a Oriente. Non cambierebbe
davvero un bel niente.
Al mattino il telegiornale dà
la notizia come la comunicazione
di uno sciopero o di un ingorgo
stradale:-“Informiamo i telespettatori
che da stamane il mondo gira
al contrario. Niente paura!
Rassicuriamo i nostri ascoltatori
che non cambia nulla. Ricordiamo
agli innamorati che da stasera
debbono voltarsi dalla parte opposta
rispetto a quella abituale per ammirare
il tramonto!”-
Né più né meno del rammentare
di spostare le lancette dell’orologio
per l’ora legale!
-“Ma come è successo?”-
Ci sarà qualcuno che se lo chiederà?
Norcia
Ora che la terra trema
a tutte le ore,
ora che le ore sono dure
e Norcia muore
con tutte le sue mura,
Benedetto che ne sarà
della tua dimora?
Che della tua chiesa
e della tua gente?
Aduna il tuo esercito di santi
perché usino le corone
di gloria come gabbie possenti
che racchiudano i tetti
e i campanili della città,
che con gioia un lontano
giorno t’accolse,
gemello di Scolastica:
due soli a illuminare il cielo
della nostra terra!
La cosa in sé
Eravamo piccoli sciuscià
nella Palermo del dopoguerra,
sui binari di Corso Scinà
mettevamo le cartucce inesplose
abbandonate dai soldati
perché il tram, schiacciandole,
le facesse esplodere.
Lì vicino viveva un vecchio
che tutti chiamavano “il filosofo”,
e oggi direi un seguace del Sensismo.
Ma lui diceva: “Io sono con Voltaire
e con Cagliostro ( si vantava che
da ragazzo era vissuto accanto
alla casa di Cagliostro!). Date retta
a me, ragazzi, il mondo è vostro,
lasciate le illusioni, date fuoco
alla “cosa in sé”, non fatevi ingannare
da lusinghe verbali. Avete mai visto
un “albero in sé”? Voi conoscete
il mandorlo del vostro giardino,
l’albero delle mele che rubate
nel mio orto. Voi volete la realtà,
le cose concrete che cadono sotto
i vostri sensi, nient’altro! Sono
le vostre mani che raccolgono
le cartucce, le vostre mani che danno
colore, forma, luce agli oggetti
che il mondo vi offre”!
Ma noi non capivamo nulla di quel
discorso e prima dello scoppio
correvamo a nasconderci, non senza
aver raccolto i nostri sogni insieme
alle paure del vivere.
Poi venne un uomo
alla memoria di
Franco Basaglia
Anima, lo so che la follia sempre
ti ha fatto paura! Chi si mostrava
non conforme alla comune idea
razionale, chi bruciava la sua esistenza
con alcol e droghe, da sempre
ti ha terrorizzata e lo hai tenuto lontano
come non-uomo, codardamente
considerato come feccia d’umanità.
Ma ora considera quanti improponibili
spazi la società razionale previde per loro!
Ti rammenti di Pietro quando quel giorno
ruppe specchi e armadi di casa?
Vennero, lo presero e gli misero una camicia.
Ti rammenti di Carlo? Gli era così cresciuta
nel cuore la pietà religiosa che voleva
imitare il Cristo camminando sulle acque
del lago. Vennero, lo ripescarono
appena in tempo e lo rinchiusero.
Anima, non provarono, né allora né dopo
innumerevoli giorni di sofferenze, a leggere
dentro. Si limitarono ad applicare i protocolli
e fabbricarono il malato, un uomo vuoto,
dimentico di dignità, senza casa né affetti,
suddito in cattività.
Anima, perché non vollero capire i loro
disagi che potevano anche essere temporanei?
Poi venne un uomo a negare il malato
artificiale, a togliere inferriate, a mettere
da parte chiavi e sciogliere lacci, a concepire
spazi più umani in comunità terapeutiche.
Così non vedesti più crani rasati,
ma persone che ricordarono i loro nomi,
ritrovarono un sorriso, indossarono un vestito.
Scardinò quell’uomo l’idea illuministica
dell’istituzione unica, separata dal resto
della società infiocchettata di ragione.