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Samuel Butler – L’autrice dell’Odissea

La-figlia-di-Omero-Homers-daughter-1955

La-figlia-di-Omero-Homers-daughter-1955

di Mario Pintacuda

Samuel Butler (1835-1902), scrittore inglese di epoca vittoriana, nel suo libro “L’autrice dell’Odissea” (“The Authoress of the Odyssey”, Londra 1897) affermò che l’Odissea era stata scritta da una donna, precisamente da una giovane e bella principessa, che abitava a Trapani in Sicilia e che nel poema avrebbe tracciato, con lieve malizia, il suo autoritratto. L’autrice dell’Odissea si nasconderebbe infatti nel personaggio di Nausicaa, la figlia del re dei Feaci.

Samuel Butler

Dal 1892 in poi Butler visitò la Sicilia pressoché annualmente: nel Trapanese godette di una certa campanilistica notorietà, visitò diversi siti archeologici e studiò le topografie locali, collezionando prove a sostegno della sua ipotesi. Per lui Trapani divenne Scheria (l’isola dei Feaci), mentre l’isoletta di Marettimo fu identificata con l’Itaca di Ulisse, Pantelleria con Ogigia (l’isola di Calipso) e Ustica con l’isola di Eolo; la grotta di Polifemo, poi, fu da lui localizzata nella contrada Emiliana a Pizzolungo (ove Butler si fece immortalare con il suo amico e seguace Pietro Sugameli).

Grotta in Contrada Emiliana (Bonagia di Trapani)

Le foto scattate durante quelle visite sono oggi conservate nella Samuel Butler Collection del St. John’s College all’Università di Cambridge; gli album contengono circa 1700 stampe, nonché le istantanee scattate da Butler durante le sue visite. Ad Erice esiste ancora una targa in memoria dello scrittore inglese, su un muro nel centro storico (dove una delle strade ha il suo nome).

Pietro Sugameli (nativo di Paceco) pubblicò nel 1892, a sostegno delle tesi di Butler, un libretto intitolato “Origine trapanese dell’Odissea secondo Samuel Butler”. Come si legge nelle cronache dell’epoca, Sugameli, in origine piuttosto scettico, era divenuto più “butleriano” di Butler, discutendo animatamente con lui sulla corretta interpretazione di alcuni passi omerici.

Dopo la morte di Butler il suo amico e collaboratore Henry Festing Jones venne in Sicilia per consegnare alla Biblioteca Fardelliana di Trapani, come voluto dall’autore, il manoscritto del volume sulle origini siciliane dell’Odissea. “L’autrice dell’Odissea” è stato pubblicato nel 2000 in traduzione italiana dalle Edizioni dell’Altana (Roma).

La tesi di Butler non ebbe mai successo negli ambienti accademici e filologici, benché già nell’antichità autori come Strabone avessero ipotizzato la composizione dell’Odissea per mano femminile e benché anche altri avessero riconosciuto nell’Odissea molti luoghi siciliani (l’idea, come mi ricorda opportunamente il prof. Luigi Spina, «fu suggerita da Tolomeo Efestione, detto Chennos, la Quaglia, un distruttore e riscrittore originalissimo di miti, alessandrino puro, in quanto nato ad Alessandria; della sua opera, Storie inedite, parla Fozio nella Biblioteca, riassumendo i capitoli della sua opera»).

Tuttavia Butler fu molto ammirato da GB. Shaw e influì su autori come Walpole, Wells e Orwell, contribuendo anche alla gestazione dell’“Ulisse” di Joyce.

In particolare, poi, la tesi di Butler fu presa sul serio da Robert Graves nel suo famoso saggio “I miti greci” (1955): «È difficile non essere d’accordo con Butler. Il tocco leggero, umoristico, naïve, pieno di spirito dell’Odissea non può che essere il tocco di una donna».

Graves fu affascinato a tal punto dall’ipotesi butleriana da costruirci sopra un romanzo, “La figlia di Omero” (“Homer’s daughter”, 1955). Protagonista e io narrante ne è l’autrice dell’Odissea, ovvero la principessa Nausicaa, figlia di un re degli Elimi, che vive nella Sicilia occidentale vicino ad Erice. Come scrive l’autore, il romanzo narra la storia «di una ragazza siciliana di forte carattere e di sentimenti religiosi, che riesce a difendere il trono del padre dagli usurpatori, a evitare un matrimonio sgradevole e a salvare i due fratelli minori da una morte violenta

“La figlia di Omero” (“Homer’s daughter”, 1955)

La giovane principessa narra le avventure che ha vissuto: quando suo fratello Laodamante sparisce in seguito a un litigio con la moglie Ctimene, il padre parte per cercarlo; la ragazza, rimasta sola, deve fronteggiare un folto gruppo di pretendenti violenti e profittatori, che cercano di conquistare la sua mano e il suo regno. In questo periodo Nausicaa inizia a comporre un poema epico, traendo spunto dalle sue esperienze; infatti le disavventure della ragazza ispirano quelle che Ulisse vive nell’Odissea, con parallelismi ben architettati: Nausicaa alle prese con i pretendenti ricorda Penelope alle prese con i proci, mentre il padre lontano da casa corrisponde ad Ulisse.

Alla fine del romanzo la vicenda viene affidata da Nausicaa all’aedo Femio, perché la memorizzi e la diffonda; come scrive la narratrice, «Debbo confessare che Femio si comportò molto bene il giorno in cui, un paio d’anni dopo, gli presentai un manoscritto di più di dodicimila versi; non scritti su pergamena, ma su rotoli di papiro egiziano. […] Dopo tutto Femio è un bardo di professione, mentre io sono un’intrusa e una donna; e spesso ci accapigliammo seriamente, mentre lo andavo componendo».

Nel complesso, il libro di Graves è soltanto un “divertissement” intellettuale, ora piacevole ora (anche troppo) “erudito” e comunque alquanto prolisso.

La tesi di Butler fu ripresa da L. G. Pocock (“Sicilian origin of Odyssey”, “Classical Review” LXXII, 1958, p. 118).

Il poeta e saggista italo-americano Nat Scammacca (1924 2005), che fu uno tra i fondatori del movimento underground siciliano “L’Antigruppo”, tradusse il contributo di Pocock rilanciando la tesi di Butler sulla stampa nazionale e internazionale.

Nat Scammacca

Anche lo studioso trapanese Vincenzo Barrabini (1896-1980) fu zelante sostenitore dell’origine siciliana dell’Odissea nel suo volume “L’Odissea a Trapani” (1970); nella sua ricerca constatava come nella topografia e nella storia di Trapani vi fosse un perfetto riscontro con i luoghi descritti da Omero; ipotizzava anche che il poema fosse una grande allegoria storico-politica sui rapporti tra Focesi, Fenici e Sicani. Tuttavia in una recensione su “Classical Review” (vol. 22, 1972, p. 404) l’insigne studioso omerico J.B. Hainsworth demolì con sussiego e una certa ironia la fatica di Barrabini.

Nel 2005 la scrittrice Girolama Sansone ha ripreso la teoria butleriana, evidenziando con un’attenta analisi le corrispondenze topografiche tra le isole Egadi e i luoghi descritti nel IX libro dell’Odissea (cfr. “I viaggi di Ulisse e le isole Egadi”).

Nel 2007 la teoria di Butler è stata riesumata anche dallo storico britannico Andrew Dalby, che nel suo libro “Rediscovering Homer” ha dichiarato che “le figure femminili di Iliade e Odissea non possono essere state decodificate da un uomo”. Dalby argomenta la tesi con una comparazione antropologica sui modi in cui nel mondo le donne conservano le tradizioni popolari; arriva dunque a identificare  l’autore dei poemi omerici con la moglie di un nobile greco, “vissuta nel settimo secolo avanti cristo e contemporanea di Archiloco”; costei avrebbe offerto “una descrizione delle relazioni sessuali in un mondo in cui le donne, ai tempi né più né meno che beni di consumo, riescono a usare i loro poteri erotici e domestici pur preservando le apparenze di una totale sottomissione”.

Come si vede, malgrado la labilità e fragilità di molte considerazioni di fondo, la tesi di Butler continua ad avere seguaci (più o meno convinti); e nel complesso, come scriveva due anni fa lo scrittore e critico cinematografico Beniamino Biondi sul sito www.balarm.it, “Pensarla donna, Omero, con dei begli occhi scuri e la pelle ambrata, che scrive il suo poema respirando il fiato salmastro delle coste trapanesi, non è per nulla una laida congettura ma un’idea curiosamente dolce e imprevista come lo è ogni poesia che ha il potere di cambiare il mondo”.

Ma davvero la Nausicaa omerica ha caratteri così inconfondibilmente femminili da poter essere davvero ritenuta creazione della mente di una donna? Nulla ovviamente impedisce di crederlo: anzi, volendo addurre possibili argomenti a sostegno di questa tesi, cito due passi dell’Odissea in cui credo che “si senta” fortemente la sensibilità profonda dell’animo della giovanissima figlia del re Alcinoo.

1. Quando Nausicaa accoglie Odisseo sulla spiaggia, offrendogli la prima ospitalità, l’eroe le appare dapprima con un aspetto orribile, reduce da un naufragio e ricoperto di salsedine; ma quando viene ripulito e rivestito e appare (grazie anche a un provvidenziale “lifting” istantaneo della dea Atena) “più grande e robusto a vedersi”, Nausicaa commenta ammirata: “Prima m’era sembrato che fosse brutto davvero, / e ora somiglia ai numi che il cielo ampio possiedono. / Oh se un uomo così potesse chiamarsi mio sposo, / abitando fra noi, e gli piacesse restare! / Su, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere” (VI 242-246).

Il commento rispecchia da vicino la spontaneità e l’immediatezza dell’animo di una ragazza incapace di celare il suo pensiero e di camuffare i suoi sentimenti; è questo il momento di massima esplicitazione delle speranze inconscie di Nausicaa (cui Atena ha inviato di notte un sogno che le fa credere imminenti le nozze).

2. Dopo che Odisseo si è rifocillato, Nausicaa lo invita a recarsi con lei in città, fornendogli indicazioni precise sul percorso: per un certo tratto, egli potrà rimanere sul carro insieme con le ancelle; ma prima delle mura cittadine dovrà fermarsi in un boschetto di pioppi per poi raggiungere, solo in un secondo momento, la reggia di Alcinoo (VI 255-315). In tal modo la ragazza vuole sottrarsi alle chiacchiere maligne dei suoi conterranei, che potrebbero spettegolare sulla presenza dello straniero al suo fianco: “E certo un maligno direbbe incontrandomi: / chi è lo straniero bello e gagliardo, che segue / Nausicaa? Dove l’è andato a trovare? Suo sposo certo sarà… / Meglio, se da se stessa, girando, ha trovato lo sposo / altrove: tanto disprezza quelli del popolo suo, / i Feaci, molti dei quali, e i più nobili, aspirano a lei. / Così diranno e questo mi farebbe vergogna. / Io pure un’altra biasimerei che facesse così, / che contro il volere del padre suo e della madre / s’accompagnasse con uomini, prima di giungere a pubbliche nozze” (Od. VI 275-288).

Qui il timore dei commenti dei Feaci e la preoccupazione della reputazione di “brava ragazza” si uniscono a un altro esplicito elogio dello straniero (“chi è lo straniero bello e gagliardo, che segue Nausicaa”); e solo una donna, forse, sa conciliare così strettamente razionalità e passione, intelligenza e furbizia, malizia e spontaneità; del resto, l’effetto è immancabile: si farà davvero tutto quello che vuole Nausicaa.

E cosa c’è di più “femminile” che far fare agli uomini quello che le donne vogliono?

Mario Pintacuda

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Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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