Salento tra terra e mare: leggendaria, fragile bellezza di Roca vecchia
Maria Gabriella de Judicibus
Il Salento è certamente la penisola della penisola , la terra più orientale – finibus terrae – ad Est, per chi attraversi l’Italia e voglia approdare sulle coste greche, turche, albanesi…
Recenti studi, suffragati dalle iscrizioni ritrovate presso la grotta di San Cristoforo, a Torre dell’Orso e nella grotta della Poesia, a Roca, Marine di Melendugno, in provincia di Lecce, hanno accertato che in passato esisteva un intenso traffico tra la baia di Torre dell’Orso (40°16′17.53″N 18°25′51.60) nel Salento, appunto e la baia di Valle dell’Orso (40°18′53.46″N 19°22′43.97″E ), in Albania,) in quanto questo rappresentava e rappresenta tutt’ora il percorso più breve (circa 80 km) che i naviganti possano effettuare per raggiungere l’altra riva dell’Adriatico.
Il mare, per il nostro popolo, è simbolo d’unione. La frontiera, per noi salentini, non rappresenta il limite ma il punto d’incontro. Jonio e Adriatico si fondono nel mare in cui si specchia S. Maria di Leuca, la “bianca”, così come doveva apparire il promontorio calcareo ai naviganti. E così vengono immortalate le scogliere ferrigne, in vicinanza di Otranto, in epoca romana:
“E’ di ver l’Oriente un curvo seno
in guisa d’arco, a cui di corda in vece
sta d’ un lungo macigno un dorso avanti,
ove spumoso il mar percuote e frange.
Ne’ suoi corni ha due scogli, anzi due torri,
che con due braccia il mar dentro accogliendo
lo fa porto e l’asconde”
(Virgilio, Eneide, Libro III)
Il mare è l’elemento del perenne mutare e, per noi salentini, esso fa della costa la propria compagna ideale: la costiera salentina, infatti, è in continua, rapida metamorfosi, costituita com’è da calcare magnesiaco friabilissimo e tenero, morbido al tatto come cipria, soggetto a crolli repentini dei picchi più elevati ed estenuante sfaldamento delle falde rocciose.
Lungo il litorale idruntino, sferzato dal vento violento proveniente dall’Est, spesso le navi erano costrette a trovare rifugio nei porti salentini e se il naufragio ne determinava la rovina, gli stessi marinai superstiti si trascinavano negli anfratti rocciosi ricavati dall’erosione marina, anelando un riparo dalla furia dei marosi come testimoniano le numerose iscrizioni presenti lungo il litorale, recanti simboli augurali e votivi, ringraziamenti sacri e pagani.
Nel 44 a.C. Ottaviano Augusto, che si trovava ad Apollonia per studiare lettere greche, avuto notizia dell’uccisione di Cesare e temendo disordini nel porto di Brindisi, seguì probabilmente la rotta più breve e sicura per giungere nella città più vicina, Lupiae, l’attuale Lecce, e da qui recarsi a Roma. Dimostrata l’esistenza di questa rotta, appare dunque naturale che Virgilio avesse in mente questi luoghi (e non Porto Badisco o Santa Maria di Leuca, come ritenuto dai successivi commentatori) quando descrisse l’approdo nel Salento di Enea, partito dai monti Acrocerauni in Albania, onde a le spiagge si fa d’Italia il più breve tragitto.
Un esempio del fenomeno carsico è certamente l’affascinante sito denominato “Poesia”, dall’antico toponimo Posia tramutato nel moderno “poesia” per l’estrema bellezza del posto, affacciato a picco su un mare azzurrissimo. Sede di importanti scavi archeologici, la località di Roca Li Posti che ospita la grotta Poesia, è un centro turistico di rilievo durante il periodo estivo.
E’ ancora visibile la torre di avvistamento cinquecentesca tra le rovine del castello ed il santuario della Madonna di Roca del XVII sec.che fa da cornice alle due grotte della Poesia, distanti circa 60 m l’una dall’altra, grotte carsiche, appunto, a cui è crollata la volta, percorse dal mare attraverso un canalone percorribile a nuoto o con una piccola imbarcazione. La più grande delle due ha una pianta approssimativamente ellittica con assi di circa 30 e 18 m e dista dal mare aperto una trentina di metri. La Posia Piccola, invece, ha assi di circa 15 e 9 m ed è separata dal mare aperto da una settantina di metri in linea d’aria. La sua notevole importanza in ambito archeologico è legata al rinvenimento nel 1983 di antiche iscrizioni messapiche e successive iscrizioni d’epoca greca e latina che hanno svelato come in essa si celebrasse il culto del dio Taotor (o anche Tator, Teotor, o Tootor).
Lungo la strada che collega Torre dell’Orso, altra splendida località marittima, al paese di Melendugno, nell’entroterra, sorge il vecchio villaggio disabitato, con una masseria fortificata attualmente in restauro, di Roca Nuova. Tale borgo sorse intorno al 1480, quando la popolazione di Roca Vecchia fu messa in fuga dalle incursioni turche. A pochi metri dalla costa, lo scoglio denominato “Le due sorelle” prospiciente all’ultimo abbraccio della spiaggia prima della frastagliata roccia di S. Andrea, evoca una affascinante leggenda che, vera o falsa che sia, affonda le sue radici nel maschilismo di un’oligarchia terriera che riteneva proprio possesso la terra come la donna.
Narra, dunque, la leggenda, di due orfane bellissime, legate l’una all’altra da tenerezza sororale che vivevano in una casupola, nella pineta, a picco su quel mare azzurrissimo. Un giovane aristocratico, invaghitosi della più giovane rimasta da sola mentre la maggiore era al lavoro nei campi, le usò violenza, fuggendo al sopraggiungere di quest’ultima che, atterrita, vide l’amata sorella, scarmigliata, in lacrime, con le vesti lacere correre disperata verso il precipizio. Intuendo il terribile proposito ella si lanciò su di lei e riuscì ad abbracciarla esattamente un attimo prima che il mare le vedesse precipitare insieme, allacciatein un abbraccio di pietra che, ancora oggi, permane. Tornando alla storia, Rocavecchia si affaccia sul Mare Adriatico ed offre all’osservazione del visitatore, un imponente sistema di fortificazioni risalente all’età del bronzo (XV-XI secolo a.C.), oltre a numerosi reperti che per affinità ricordano modelli minoici ed egei.
Si ritiene che, in un periodo databile intorno al XV sec. a.C., il sito sia stato assediato e incendiato. Anche le successive mura, ricostruite nell’XI secolo a.C., presentano tracce di incendio. Di questo luogo misterioso, che come la mitica Troia fu più volte distrutto e più volte ricostruito si ignora chi fossero i popoli fondatori e perfino se queste fortificazioni servissero a difendere una città oppure – come appare più probabile – un importante luogo di culto. Il sito fu comunque frequentato per tutta l’età del ferro, mentre decisamente più cospicue sono le tracce relative all’età messapica (IV-III secolo a.C.): una cinta muraria (che tuttavia non fu completata), un monumento funerario, diverse tombe e delle fornaci. Il nome della città messapica (o per meglio dire la sua latinizzazione) si pensa fosse Thuria Sallentina.
Il sito fu successivamente abbandonato (non sono state rinvenute tracce del periodo romano), mentre fu frequentato nell’alto medioevo da anacoreti, provenienti per lo più dall’Impero Romano d’Oriente, che col tempo costituirono una comunità, abitando in una serie di grotte scavate nel calcare. Agli inizi del XIV secolo, Gualtieri di Brienne, conte di Lecce, ricostruì Roca facendone una città fortificata, ma nel 1480 la sua popolazione venne messa in fuga dalle incursioni turche.
In quell’anno infatti il sultano Maometto II, dopo aver conquistato Costantinopoli (1453) e sottomesso tutta la Penisola Balcanica, inviò una spedizione che sbarcò sulla costa orientale del Salento. Roca Vecchia fu saccheggiata e usata dai Turchi come base operativa per sferrare attacchi alla città di Otranto e ad altri centri salentini. Liberata nel 1481, divenne successivamente rifugio di corsari barbareschi, tanto che nel corso del ‘500 Ferrante Loffredo, governatore della provincia di Terra d’Otranto, dette l’ordine di raderla al suolo. Si racconta che nel XIV secolo, il conte Gualtiero di Brienne decise di edificare in questo luogo una cittadella fortificata, attratto dalla felicità della sua posizione geografica, e la chiamò Roche, da cui Roca, a cui apparteneva anche la Torre di Maradico, altro nome della Torre Roca Vecchia, così chiamata a causa delle paludi che ancora oggi la circondano, rendendola una zona poco salubre.
Costruita nel 1568 dal maestro Tommaso Garrapa, è a base quadrata e a forma troncopiramidale, tipica del periodo vicereamale spagnolo. Comunica a nord con Torre San Foca e a sud con Torre dell’Orso e nel 1576 Antonio Tamiano, procuratore dell’Università di Roca, la munì di un moschetto da una libbra, ricevuto dal sindaco di Lecce. La torre, al momento, si presenta in pessime condizioni di conservazione.
Indicazioni bibliografiche e sitografiche
Wikipedia “Roca Vecchia”
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