IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

Ritorno a Frigole e primo incontro ravvicinato con l’Idume

Porto di Frigole

Narrazioni salentine, di Rocco Boccadamo

A distanza di due anni e sospinto da un irrefrenabile campanellino interiore, in questa soleggiata, ma fredda e ventosa, mattina d’inverno, decido di ritornare a Frigole, aggraziata – e, forse, poco apprezzata rispetto ai meriti della sua cornice naturale – marina leccese. Tengo bene a mente, al punto che mi si offre quasi familiare, l’impatto con il viale d’accesso al piccolo nucleo abitativo, contraddistinto, sui lati, da lussureggianti e svettanti piante sempreverdi; pochissime le persone in giro, caratterizzate da movimenti tranquilli, come se vivessero in un’atmosfera da siesta.

Porto di Frigole

E’, tuttavia, assolutamente fugace la sbirciatina a quel mondo d’altri tempi da parte del visitatore curioso, la sua mèta ponendosi precisa e determinata: il porticciolo della località. Indubbiamente bello si rivela il nuovo approccio con i soliti battelli da pesca ormeggiati lungo il molo, tutti ricoperti, all’interno, da inanimati mucchi di reti. Sennonché, merito o colpa della tramontana vivace, al di sopra e nei paraggi delle barche non si scorge anima viva, nemmeno l’ombra, tanto per citare, del giovane e gioviale lavoratore del mare, Samuele, incontrato in occasione della precedente puntata a Frigole.

Sarà così, giacché, al largo, tira aria di burrasca o per via, come accennato prima, della temperatura nella media del corrente pieno inverno, il luogo in questione è presidiato unicamente dal più assoluto silenzio umano, rotto dai sibili di Eolo e dallo scivolare rapido e spumeggiante delle onde increspate, sino al loro infrangersi a ridosso dell’arenile e dei massi che proteggono il molo e le altre superfici di terraferma. In una simile situazione, a me non resta che indirizzare una sorta di dialogo ideale alla distesa d’acqua, nella sua accattivante tonalità tra il verde e l’azzurro, con lo sguardo e la mente protesi, soprattutto, in direzione dell’orizzonte.

E, passare in rassegna volti, vicende, episodi inanellatisi, nel tempo, sullo scenario del mare di casa nostra, ossia a dire il Canale d’Otranto che ho di fronte: sequenze cruciali della trama, gommoni e altri mezzi di fortuna carichi di clandestini disperati o di trafficanti, purtroppo con una serie di correlati naufragi e sacrifici di vite umane. Un pensiero, dedicato con animo più sereno, anche per i popoli dell’altra parte del Canale, specie per le genti del Paese delle Aquile, una nazione, com’è noto, già alle prese con decenni di buia dittatura e, ora, in promettente fase di sviluppo, su modello democratico a impronta occidentale. Riconducendo la mente e lo sguardo alla terraferma e al porticciolo, mi piace accarezzare, specialmente, uno dei natanti attaccati al molo, quello portante il nome di battesimo di “Santa Maria Goretti”, la giovanissima Vergine dell’Agro Pontino, venerata, a quanto appreso, anche in seno alla comunità di Frigole.

Dopo di che, i cospicui soffi di tramontana non incoraggiano più di tanto la mia sosta e, però, non mi sento abbastanza appagato da ritornare tout court in città. Fortunatamente, un lampo mi si accende dentro, da un pezzo vado coltivando il proposito di vedere e conoscere la foce del fiume Idume, piccolo, e in qualche modo anche misterioso, corso d’acqua che scorre sotto l’abitato di Lecce, in lento movimento verso l’Adriatico, emergendo alla luce del sole poche centinaia di metri prima della distesa salata, in un luogo non molto distante da Frigole, precisamente all’altezza del cosiddetto bacino di Torre Chianca, altra marina del capoluogo del Salento, ubicata appena più a nord.

Fiume Idume e foce a Torre Chianca, fotogramma di bellezza

Ecco alcune brevi note di geografia fisica e di carattere storico. Il fiume Idume taglia il centro di Lecce, facendo capolino nei sotterranei di diversi antichi palazzi nobiliari, come quello degli Adorno, fatto costruire dal genovese Gabriele Adorno intorno al 1568. Si dice che, in periodi andati, una famiglia ebrea dimorante nel citato palazzo usasse purificarsi proprio all’interno della falda acquifera posta nel corrispondente sottosuolo. Il passaggio del fiume è testimoniato anche da iscrizioni sulle antiche pietre dell’edificio. Si tratta di uno dei corsi d’acqua più importanti del Salento e la zona che circonda il suo bacino, definita “Le macchie dei Rizzi”, offre uno spettacolo naturale davvero affascinante. Colori brillanti della vegetazione uniti al profumo intenso delle ginestre, incredibile trasparenza dell’acqua soprattutto in primavera. Così le righe descrittive.

Riprendendo invece i ritmi dell’odierna mattina, è quindi automatico il proseguimento in auto, da Frigole, in una definita direzione, ci vuole poco per arrivare, la tramontana seguita a sibilare, anche nella nuova mèta regna la solitudine, salvo una donna, accompagnata da cagnolino, che sfida le raffiche per il suo, evidentemente irrinunciabile, footing. A me basta un gesto con la mano da parte dell’anzidetta signora e mi trovo sul greto, su una delle sponde dell’Idume, intorno piccoli e bassi canneti, il rio serpeggia dolcemente fra le distese di terra rossa, le acque, posso confermarlo, appaiono di eccezionale lucentezza e cristalline, un quadro d’insieme, seppure in miniatura, che sembra irreale.

La visione mi suscita dentro una ridda di riflessioni e pensieri, del genere più svariato, che si affastellano in copiosità, ma la reazione dominante e prevalente è quella di accostare questo modesto tratto fluviale della terra natia alle visioni di ruscelli e fiumi con cui mi è stato dato, in passato, di familiarizzare a latitudini ben diverse, ai piedi di montagne o fra boschi e pinete.

Rivedo, e sento ancora accanto, tali immagini naturali di anni lontani, nel loro ruolo di testimoni di momenti pieni e, insieme, spensierati e leggeri, del ragazzo di ieri. Al presente, insieme e in unisono con lui, in aggiunta a mare, vela, fiumi, montagne e ricordi, scorrono altre stazioni (non stagioni) della vita. Vita che, però, sia come sia, continua o meglio – volere, sempre volere, fortissimamente volere, riprendendo Vittorio Alfieri – deve continuare.

12 gennaio 2023

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