Riflessioni sul CNEL: ruolo, competenze e autonomia da rafforzar
di Michele Marino
Il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro, previsto dall’art. 99 Cost., nasce dai lavori della Costituente e più specificamente da quelli, preparatori, delle Sottocommissioni Lavoro II e III che videro maggiormente impegnati i deputati Terracini, Fanfani e Di Vittorio (quest’ultimo si batté per il diritto di associazione e l’ordinamento sindacale a favore delle organizzazioni dei lavoratori), nonché Ettore Paratore, eccezionalmente offertosi per l’ideazione e la scrittura della fonte primaria del diritto, il quale mise a punto gli aspetti essenziali afferenti la natura, la composizione e le attribuzioni dell’organo di rilievo costituzionale, in cui dovessero essere prevalenti i “rappresentanti” delle categorie rispetto agli “esperti”, di nomina politico-istituzionale, estranei al mondo produttivo e del lavoro.
Così come l’attuazione dell’art. 95 della Costituzione dovette attendere 40 anni e otto mesi per vedere approvata la “disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio” – legge 23/8/1988, n. 400 – parimenti il CNEL ha trovato nella legge n. 936 del 1986 la propria disciplina sulla composizione, le attribuzioni ed il funzionamento del CNEL. E dunque questa “autoriforma”, il cui processo di dibattito, confronto ed esame legislativo ebbe inizio nel 1976 con l’obiettivo di rilanciarne la funzione istituzionale, allora alquanto in crisi, approdò alla definitiva approvazione parlamentare che, oggidì, è datata di 27 anni: non può sottacersi il dato di fatto che la realtà economica e sociale dell’Italia sia abbastanza radicalmente mutata e, perciò, va ripensato ovvero rilanciato il ruolo istituzionale che era stato fortemente messo in discussione dal disegno di legge costituzionale Renzi-Boschi, miseramente disapprovato. Altrettanto vero è che la sovrabbondante composizione con 111 consiglieri, tra cui dodici “esperti” di nomina quirinalizia (otto) e governativa (quattro) è, peraltro, incompleta rispetto allo scenario generale del mondo lavorativo attuale, in cui si dovrebbe tener conto anche del volontariato, del terziario avanzato e del settore telematico/multimediale.
Non è da escludere un’adeguata riflessione sulla figura del Presidente del CNEL, ignorata tanto dal Parlamento quanto dal Governo fino alla legge di stabilità 2015 (n. 190/2014), che dispone al comma 289: “L’espletamento di ogni funzione connessa alla carica di presidente o consigliere … non può comportare oneri a carico della finanza pubblica ad alcun titolo” (sorvoliamo, pro bono pacis, sull’espressione “funzione connessa”!). Ebbene, per quale razionale e “sacrosanto” motivo la carica di presidente dell’ISTAT comporta, sì, “oneri a carico della finanza pubblica” ed –invece – quella di presidente di un “organo di rilievo costituzionale”, qualificato e riconosciuto come tale anche dall’opinione pubblica, oltre che dal Parlamento e dalle forze politiche e sindacali, deve funzionare in tutte le sue componenti e competenze “a costo zero” e, viepiù, senza la necessaria autonomia finanziaria, sia pur sottoposta agli organi di controllo preposti?
Facendo un passo indietro nel tempo, ricordiamo che la legge Zanardelli istituì il Consiglio Superiore del Lavoro, ma prima ancora vigeva il Consiglio dell’Industria e del Commercio (1869); mentre nel 1930 venne introdotto il Consiglio Nazionale delle Corporazioni. E perciò è fuor di dubbio che s’é ben consolidata la figura dell’organo ausiliario del Governo e del Parlamento nel nostro ordinamento giuridico nazionale: ciò dovrebbe essere di stimolo, esempio e valida premessa per una riforma coraggiosa, in chiave moderna ed esaustiva del CNEL, che disciplini chiaramente i seguenti, essenziali aspetti: a) criteri di rappresentanza sindacale e delle maggiori associazioni di categoria di ogni settore, b) responsabilità, obblighi e incompatibilità o “inconferibilità” dei componenti a vario titolo, c) requisiti formali, necessari per la nomina di presidente, vicepresidente e consigliere, d) “status” istituzionale, giuridico-economico, di Presidente, propriamente assimilabile o analogo all’omologa figura di Presidente degli altri organi di rilievo costituzionale.
In conclusione, possiamo auspicare, a giusta ragione, che – dopo 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione italiana – il Parlamento sovrano nel sistema democratico ed un “governo di legislatura” come quello in carica siano in grado di approcciare ed approfondire un tema così delicato e rilevante sotto i vari profili della messa a punto dei rapporti tra le forze esponenti del mondo economico e del lavoro in generale e le Istituzioni repubblicane (e dell’U. E.), senza escludere – tenendo presente che pure le Regioni si avvalgono della funzione di organo di ausiliario – una particolare attenzione al disegno di legge su iniziativa del sen. Calderoli che tende a rafforzare l’autonomia regionale (cosiddetta autonomia differenziata); oltre all’esigenza di dare puntuale attuazione ad una norma, come l’art. 99, che merita tutto il rispetto e l’osservanza per il progresso civile e la migliore partecipazione al sistema-Paese.
Michele Marino
Tecnico legislativo, presidente del Centro studi “Tina Anselmi”