Ricordo del Maestro Antonio Trombone
di Mario Pintacuda
Il 7 gennaio 1995, ventotto anni fa, moriva il Maestro Antonio Trombone, insigne pianista, concertista, compositore, docente “storico” del Conservatorio di Palermo.
Nato il 18 febbraio 1913, si era diplomato in pianoforte e composizione; svolse subito un’intensa attività concertistica, all’Eiar e poi alla Rai, sia come solista che in orchestra. Vinse poi numerosi concorsi pianistici (in uno si classificò alle spalle del grande Arturo Benedetti Michelangeli).
Eseguì il primo concerto di Tchaikovsky, alla fine della seconda guerra mondiale, al Teatro Massimo di Palermo.
Successivamente si dedicò esclusivamente all’insegnamento e fu docente di pianoforte al Conservatorio di Palermo dal 1936 al 1979.
Fece parte della giuria in concorsi pianistici nazionali e internazionali; scrisse opere didattiche e musiche dedicate all’infanzia.
Tra i suoi allievi vi furono innumerevoli insigni figure del mondo musicale palermitano (impossibile ricordarle tutte); presso il Conservatorio di Palermo si svolge tuttora un concorso per giovani pianisti, il “Premio Antonio Trombone”.
L’attività didattica svolta da Trombone in più di sessant’anni fu un vero e proprio “apostolato”: in ogni allievo il Maestro trasferiva sempre tutta intera la sua persona, ne condivideva i problemi non solo tecnici ma anche psicologici, diversi da alunno ad alunno, risolvendo – caso per caso – un infinito numero di “casi”. Trombone era il Maestro-tipo: aveva in sé qualcosa di magnetico e biologico; riusciva a pensare per gli allievi, a respirare per loro, con una specie di intuito magico o di istintiva genialità maieutica.
Mio padre, il Maestro Salvatore Pintacuda, che fu suo amico fraterno, ricordava di aver conosciuto Antonio Trombone nel 1926; lo vide per la prima volta nel suo paese, Bagheria, nella settecentesca Villa Palagonia nel “Salone degli Specchi”. Ricordava così quel momento: «Credo che avesse ancora i pantaloncini corti; ma ricordo perfettamente di essere stato scosso, sommerso e travolto dalle ondate scaturite dal suo pianoforte nell’esecuzione della “Leggenda di S. Francesco di Paola che cammina sulle onde” di Lizst. Da allora ebbe inizio la mia affettuosa simpatia per il compagno così bravo. Egli rappresentava per me il modello perfetto da seguire, uno sprone ad imitarne i pregi e le virtù. Questa reverente soggezione (come può essere quella di un fratello minore rispetto a un fratello maggiore) è rimasta sempre nel mio animo, immutata negli anni».
Cedo di nuovo la parola a mio padre, per ricordare una bella fase della loro più che cinquantennale amicizia: “Frequentavo spesso casa Trombone perché con Antonio talvolta studiavamo insieme l’armonia, il contrappunto e la fuga, e perché frattanto ero diventato suo allievo di pianoforte (come non ricordare qui la cara Mamma di Antonio, signora Carmela, sempre accogliente e affettuosa con tutti?). Ebbene, posso affermare che in casa Trombone si lavorava assiduamente dal mattino alla sera: la mamma in cucina a preparare squisite pietanze (non dimenticherò mai le gustosissime minestre di pasta e fagioli); Giuseppina sempre in bilico tra lo studio del violino (com’era severo, com’era esigente il M° Guido Ferrari!) e le inevitabili faccende domestiche, solo in parte alleviate dalla fedele e fidata domestica… Antonio stava nello studio in tutte le ore del giorno. Ho detto ‘casa Trombone’, ma per Antonio la casa – si fosse trattato dell’appartamentino di via Cappuccinelle, o della più comoda dimora di via Marco Polo, o infine della panoramica abitazione di via Orazio Antinori – per Antonio tutta la casa era una sola stanza e tutto lo spazio si restringeva intorno ad un punto più preciso e determinato: il pianoforte”.
In effetti su quel pianoforte il Maestro lavorava per la preparazione delle prove richieste dai temibili concorsi ministeriali; essi prevedevano la presentazione di tre vastissimi programmi comprendenti la Fantasia cromatica e fuga di Bach, tre composizioni di Beethoven, composizioni fra le più significative e difficili di Chopin, Schumann e Liszt, sei composizioni moderne, l’esecuzione di pezzi clavicembalistici e di un Preludio e fuga dal Clavicembalo di Bach estratto a sorte fra i 48 dell’opera integrale. E inoltre tutta una serie di prove di contorno (contrappunto, analisi, lettura, letteratura, lezione pratica).
Tutto questo senza trascurare le lezioni private che affluivano continuamente, da gennaio a dicembre. Al margine della tastiera del suo pianoforte era un famigerato taccuino, dove erano annotate le lezioni della giornata: ore 8 Campisi – ore 9 Spadafora – ore 10 Firpo – ore 11 Corsetti; di pomeriggio De Lisi, Rallo, Gianbruno, Virgilio.
E se un allievo telefonava per dire che non poteva venire, allora Antonio Trombone approfittava del “buco” per ripassare gli Studi sinfonici di Schumann da eseguire agli “Amici della musica”, o il finale del concerto di Mendelssohn in programma alla RAI, o la Burlesca di Giulio Cesare Sonzogno e i Vigneti di Mario Castelnuovo-Tedesco, novità da far conoscere ai soci del circolo della stampa.
Studiare, studiare, studiare. Ricordo che una volta il Maestro disse così a mio padre: “Quando non studio un giorno, me ne accorgo io solo. Quando non studio una settimana, se ne accorgono gli esperti. Quando non studio per un periodo più lungo, se ne accorgono tutti”.
E così fu per decenni: sempre sotto pressione, senza un minuto di sosta, tranne qualche gitarella domenicale a Bagheria, ad Aspra, a Monreale, a Monte Pellegrino, con la macchina fotografica sottobraccio.
Aggiungo qualche spigolatura, che introduce qualche nota più “leggera”, ma può servire a chiarire ulteriormente la personalità e l’umanità di Antonio Trombone.
1) Il Maestro amava le gitarelle fuori porta; poi però si mise in grande e una volta andò in Polinesia, nell’atollo di Truk in Micronesia. Narrò questa epica impresa a me, ragazzo, e a mio padre che ogni estate andavamo a trovarlo a casa sua; e confesso che, sentendo dire “Truk” e percependo il tono vagamente beffardo con cui parlava, arrivai a sospettare che il mitico atollo neanche esistesse… Ma le prove erano davanti a noi: delle sensazionali foto “a rilievo”, fatte con la sua ultima nuovissima macchina fotografica…
2) Le sue battute erano fulminanti; spesso faceva ironia su se stesso con grande umiltà e con spirito ineguagliabile. Siccome aveva un forte accento palermitano “doc”, amava sottolinearlo comicamente: quando telefonava a casa mia e gli rispondeva mia moglie, lei lo riconosceva immediatamente già dal “Pronto” e lo salutava (“Buonasera, Maestro”); allora lui immancabilmente diceva: “Signora, lei ha l’orecchio musicale; come mi ha riconosciuto? Dal mio accento toscano?”.
3) Una volta era da Ricordi e vide due studentesse che andavano alla cassa a chiedere “il Trombone”; lui allora intervenne e scherzando disse che non era lì che vendevano gli strumenti musicali; allora una delle due rispose: “Ma no, vogliamo un libro; l’autore è uno che si chiama così!”. Poi, quando scoprirono chi fosse, gli chiesero addirittura l’autografo!
4) Quanto al suo cognome… pensate un po’: chiamarsi Trombone e insegnare pianoforte! E la sorella, Trombone che insegnava violino! Una volta confidò che era andato all’anagrafe a chiedere di cambiare cognome. Gli risposero che tutt’al più avrebbe potuto cambiare una lettera, diventando “Trimbone”. Ma di fronte al rischio di un Maestro Trimbone preferì tenersi il suo simpaticissimo cognome! Del resto, come direbbero i miei cari Latini, “nomina sunt omina”!
5) La sua inimitabile generosità lo conduceva sempre a fare regali, a organizzare incontri a casa o in locali, a invitare amici, allievi e conoscenti a pranzi e cene rimasti indimenticabili, alla “Botte”, a “Villa Airoldi”, al “Vespro” e in tanti altri ristoranti dove era conosciuto e accolto dal personale con evidente gratitudine (contribuiva a debellare ogni crisi economica!) e tantissimo rispetto.
6) Gli piaceva, in estate, sfuggire al caldo afoso di Palermo rifugiandosi nel suo buen retiro ad Enna; lì, immancabilmente, invitava gli amici o gli allievi che passavano così una giornata fresca e piacevole parlando però – immancabilmente – di novità musicali, di concerti, di allievi, della vita al conservatorio…
Un mese dopo la morte del Maestro, il 7 febbraio 1995, presso la Chiesa dell’Istituto “Don Bosco – Ranchibile” di Palermo, in occasione della Messa di trigesimo, mio padre tenne la sua ultima conversazione pubblica, rivolgendo l’ultimo saluto all’insigne amico scomparso. Già debilitato dalla grave malattia che in breve l’avrebbe condotto alla fine (furono proprio come Orazio e Mecenate… a due mesi di distanza…), profondamente addolorato, pronunciò il suo discorso con voce debole e tremante. Ecco le ultime parole di quell’addio struggente fra due giganteschi gentiluomini d’altri tempi: “Addio, carissimo Maestro: la tua personalità artistica, la tua didattica, frutto di sette decenni di meditazione, analisi, studio, inventiva, fantasia, la tua prodigalità verso i giovani, spinta fino ai confini di un’affettiva paternità, domineranno ancora e sempre su di noi come esempio imperituro di generosità e nobiltà d’animo. Addio… addio!”.
Mario Pintacuda
Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.