IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Ricordando Tito Schipa

tito schipa

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di Pompeo Maritati

Raffaele Attilio Amedeo Schipa nasce a Lecce, quarto figlio di una famiglia modesta (il padre Luigi è guardia daziaria) nel quartiere popolare delle Scalze negli ultimi giorni del 1888, ma viene iscritto all’anagrafe il 2 Gennaio 1889 per questioni di leva militare.

Il suo sovrannaturale talento vocale viene notato immediatamente dal maestro elementare Giovanni Albani poi da tutta Lecce, per cui fu sempre “propheta in patria”.

Con l’arrivo da Napoli del vescovo napoletano Gennaro Trama (1902) vero talent scout dell’epoca, l’avvio all’arte del giovane talento, soprannominato ormai “Titu” (piccoletto), è garantito con la sua entrata in seminario, dove studierà anche da compositore.

Dopo un’adolescenza piuttosto agitata nella sua città natale, dove dà prova, oltre che del suo talento artistico, anche della sua predisposizione all’avventura e alla seduzione, su consiglio del suo miglior maestro di canto, Alceste Gerunda, Tito “emigra” a Milano per completare gli studi con Emilio Piccoli e cercare l’occasione di debutto (naturalmente a pagamento) che avviene a Vercelli con la Traviata (4 Febbraio 1909).

Il successo non è immediato (le caratteristiche vocali del ragazzo sono del tutto inconsuete per il pubblico medio dell’epoca) ma la progressione è sicura e costante, fino a che, dopo una lunga routine di formazione nella compagnia operistica di Giuseppe Borboni, culminata a Roma per l’Esposizione Universale del 1911, il primo trionfo lo aspetta a Napoli nella stagione del 1914 diretta da Leopoldo Mugnone, dove con una Tosca leggendaria il nome d’arte “Tito Schipa” si impone definitivamente alle cronache artistiche e mondane.

Il successo lo porta subito in Spagna, e lo spagnolo è la lingua più esemplare della sua naturale predisposizione poliglotta (ne parlerà correntemente quattro e ne canterà undici compreso l’aborigeno australiano più, come ripeteva, il napoletano) il che lo aiuta a conquistare con facilità il cuore degli spagnoli, orfani del loro idolo, il tenore catanese Giuseppe Anselmi.

Con una Manon del 14 Gennaio 1918 al Real di Madrid anche il primo trionfo all’estero è assicurato.

Segue un periodo di viaggi tra la Spagna e il Sud America, dove si gettano le fondamenta di un lungo intenso rapporto con il pubblico, specialmente argentino. Ma la guerra, col pericolo dei sottomarini, vede il giovane Schipa intentare e vincere una causa con la sua agenzia artistica per farsi riconoscere il diritto a non navigare fino alla cessazione delle ostilità.

Il 1919 è l’anno dell’approdo negli Stati Uniti, invitato dalla soprano scozzese Mary Garden e dall’impresario Cleofonte Campanini, che insieme gestiscono la Civic Opera di Chicago. Qui sposa la soubrette francese Antoinette Michel d’Ogoy, conosciuta a Montecarlo in occasione della prima assoluta di La Rondine di Giacomo Puccini, da cui avrà due figlie, Elena e Liana.

Questa volta è Rigoletto l’opera del debutto trionfale a Chicago (4 Dicembre). Inizia per Tito Schipa l’avventura statunitense, cominciata come probabile successore di Caruso ma in realtà definitasi come quella dell’Anti-Caruso per eccellenza, che lo vede tenore stabile di Chicago per 15 anni, indi primo tenore al Metropolitan di New York, ormai tra i più famosi e i più pagati cantanti dell’epoca, specialmente nella categoria del “tenore leggero” o “di grazia” dove si assicura il titolo di massimo interprete d’ogni tempo.

La permanenza e la quasi naturalizzazione americana comportano, per il carattere dinamico e curioso del soggetto, una serie di coinvolgimenti artistici, mondani e sociali di grande importanza e spesso di grande rischio :

Progetta di scrivere un’opera-jazz (quindici anni prima di Gershwin), si avvicina al repertorio leggero spagnolo e napoletano con risultati insuperati nell’ambito tenorile (grazie anche alla amicizia e collaborazione con gli autori José Padilla e Richard Barthelemy), si apre all’esperienza del nuovo cinema sonoro diventando anche un più che discreto attore di musicals (Vivere! del 1937 capeggerà il box-office italiano sia con la pellicola stessa che con le due canzoni di Bixio incluse, Vivere e Torna piccina mia), si compromette con i gangster di Al Capone venendone classicamente prima ricattato poi blandito, colleziona onorificenze e riconoscimenti prestigiosi, tra cui la Legion d’Onore francese, passa da un’avventura sentimentale all’altra con risultati disastrosi per il suo matrimonio, e soprattutto guadagna cifre vertiginose che sperpera con abilità diabolica, rimbalzando continuamente dalla classifica degli uomini più ricchi del mondo a quella di bersaglio ideale per le stangate di ogni tipo.

La seconda guerra mondiale e il suo nuovo legame sentimentale con l’attrice Caterina Boratto, che lo riavvicina all’Italia, lo portano a coinvolgimenti eccessivi con il regime fascista, soprattutto per l’antica amicizia personale con Achille Starace, suo conterraneo. L’America del pre-maccartismo lo dichiara indesiderato, e lo stesso fa l’Italia del Teatro alla Scala appena restaurato e riaperto.

L’opera di autocritica e di rigenerazione è lunga e faticosa, ma a metà degli anni ’40 il cinquantenne Tito Schipa è pronto a ripartire per un’altra lunga fetta di carriera che lo porta davanti ai pubblici di tutto il pianeta con la sola esclusione di Cina e Giappone.

Nel 1944 conosce l’attrice Teresa Borgna, in arte Diana Prandi, che sposerà nel 1947 e da cui avrà Tito Jr.

Nel 1956 un invito a dirigere una scuola di canto a Budapest lo porta per la prima volta oltre cortina, esperienza che culminerà con la presidenza della giuria del festival della gioventù a Mosca nel 1957. Le sue nuove simpatie per il pubblico sovietico gli fruttano i sospetti dei servizi segreti italiani, che gli dedicano un fascicolo del SIFAR e boicottano il suo progetto di aprire un’Accadenia di canto in Italia sotto gli auspici del Quirinale.

Accusato stavolta di filocomunismo, vittima di gravi traversie economiche e coinvolto in manovre poco chiare di alcuni suoi manager e collaboratori, è costretto a tornare negli Stati Uniti, dove viene accolto, ancora una volta, con entusiasmo.

La scuola di canto nasce a New York, ed è mentre insegna canto che il diabete contratto negli anni ’40 lo porta a morte il 16 Dicembre 1965, settantasettenne, dopo una carriera di 57 anni, del tutto straordinaria in un cantante lirico per lunghezza, varietà e glamour .

Specializzatosi in un repertorio limitatissimo (segreto della sua strabiliante longevità vocale) Tito Schipa ha raggiunto i vertici della sua Arte nei tre ruoli di protagonista di Werther di Massenet, di L’Elisir d’Amore di Donizetti e di L’Arlesiana di Cilea, in cui resta a tutt’oggi insuperato e forse insuperabile, oltre che nel repertorio classico della canzone spagnola e napoletana.

La biografia in Italiano di Tito Schipa è pubblicata dalla Casa Editrice “Loggia de’ Lanzi” di Firenze, quella in Inglese dall’editrice Baskerville di Dallas, Texas

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