Reportage: Salonicco, una città sospesa tra Oriente e Occidente di Luigi Toni
La grande città del mare Egeo, conosciuta come la Gerusalemme dei Balcani, è orgogliosa della sua tradizione cosmopolita. Con le sue radici ebraiche, turche e greche, Salonicco coltiva la nostalgia del passato e la sua ospitalità leggendaria, ma si proietta verso le sfide di oggi: dalla crisi economica e sociale aggravata dall’emergenza sanitaria al pericolo di un ritorno dell’estrema destra.
“Dal 1492 al 1912, la città ospitò la più grande comunità di ebrei sefarditi (giudeo-spagnoli) del mondo”, spiega Yorgos, una guida turistica che organizza passeggiate nella Città Alta (Άνω Πόλη), quella più antica e arroccata sulla collina che s’inerpica fino all’Acropoli di Salonicco. In questo dedalo di stradine si nasconde un’altra città: sghemba, obliqua, irregolare. Una città antichissima che ne contiene una costruita appena un secolo fa sulle rovine di un’altra perduta per sempre nel grande incendio del 1917 che distrusse quasi interamente il quartiere ebraico, oggi Ladadika. Delle 33 sinagoghe presenti ne sopravvissero solo 17 (oggi solo due). Salonicco perse per sempre una parte dei suoi tratti orientali e divenne per anni la città degli sfollati, dei senzatetto e dei rifugiati. Di colpo, si trasformò nella “capitale dei rifugiati”.
Nel 1912, Salonicco contava circa 150mila abitanti, di cui 70mila erano ebrei, che dopo l’incendio si spostarono fuori dal centro della città. “Con l’occupazione nazista del 1941 e le deportazioni in massa nel campo di Auschwitz-Birkenau dal 1943, rimasero in città meno di duemila superstiti” spiega Alexandros, un ragazzo di una ventina d’anni. È nato a Salonicco da una famiglia d’origine ebraica e in estate accompagna i visitatori all’interno di Yad Lezikaron. “La sinagoga è stata costruita su ciò che restava delle altre sinagoghe sopravvissute all’incendio, alla distruzione e ai bombardamenti. Il nome significa “memoria” ed è dedicata alle vittime dell’Olocausto”.
Mi mostra delle grandi lapidi di marmo su cui sono indicati i nomi delle tante sinagoghe costruite a partire dalla prima Askenaz del 1376 fino a quelle del 1917. “Fino a inizio secolo, questo era il quartiere ebraico, dove si commerciava e si parlava in sei o sette lingue. La lingua dominante però era il ladino1, poi con l’arrivo dei profughi greci fu sostituito dal greco. Mio nonno lo parlava, io no. Oggi tutto quello che resta della comunità ebraica di Salonicco si trova intorno alla sinagoga”.
L’intero Reportage potrà essere visionato qui di seguito:
LUIGI TONI
Collabora alla redazione di Orient XXI Italia. Ha tradotto testi di Michel Onfray, Alain Badiou e
Jean-Christoph Brisard. Ha collaborato inoltre alle riviste Nazione indiana, Il Reportage, Left, La
Scrittura, Avvenimenti, Kainos, Alternative, Shqiptari i Italisë (L’Albanese d’Italia).
Salonicco, agosto 2022