Recensione di Nevio Spadoni al libro “La costanza del cielo” di Gian Piero Stefanoni
Anche se per Stefanoni pare non avere “più sorprese la scrittura del mondo”, per me questo libro, per certi aspetti,mi ha illuminato. Non è facile la lettura di questi versi, nei quali ho trovato, come sosteneva Friedrich Nietzsche una”fedeltà alla terra”, anche se in certe parti si nota un respiro metafisico strozzato. Ma è l’interrogativo dell’uomo, di ogni uomo direi, che è “fermo dentro questo treno, questo amore che non parte”.
Una visione cruda, e il tema dell’aridità, della perdita e della solitudine da parte dell’autore, sembra quasi farsi beffa delle cose che hanno mutato colore, di realtà che hanno perso la loro consistenza e su tutto incombe il perché della vita, dell’amore, della morte. Sì, amore e morte paiono entrare in duello, e con esso l’inarrestabile fluire del tempo che porta, che trascina con sé rovine su rovine.
E forte è il senso della spogliazione ; e noi sospesi ad un filo a sbirciare la terra “Madre e matrigna”, a guardare questa “Ultima Roma” e le sue rovine, non dimenticando gli antichi splendori. E ancora, l’autore pare dirci che noi senza gli altri diventiamo una forma vuota, una parola senza contenuti propri perché in me, pur solitario, vivono invisibili gli altri .Infatti viviamo sotto lo stesso cielo con sentimenti e aspirazioni comuni: ecco perché la parola poetica ci arriva anche senza comprenderla totalmente; è una parola che si diffonde nell’aria e contagia e consola.
Mi pare che Gian Piero abbia parlato di timbri etici e civili, e questo voler essere uomo migliore mi richiama la frase forse di Goethe; “…solo colui che perennemente si affatica nel suo tendere verso l’alto, costui possiamo redimere,” E io aggiungo: con costanza verso il cielo, non dimenticando le crepe della terra.