Raccontare la psicologia. La devianza
di Maurizio Mazzotta
Purtroppo devo partire da cose che si sanno per arrivare a dire qualcosa che forse ci sfugge
Tra gli animali superiori, come le scimmie, si trovano individui divergenti. Una scimmia scoprì il sistema per mondare subito il riso dal fango. Un giorno immerse nella pozza le mani che si colmarono di chicchi, di terra e di acqua, e quando tirò su le mani a coppa l’acqua si portò via la terra lasciando i grani bianchi nelle palme. Fu innovazione culturale: quel comportamento, relativo al metodo di pulitura dei grani di riso, fu imitato da tutti i membri del gruppo. I quali fino a quel momento avevano raccolto a piene mani riso e fango, e con pazienza volta per volta messo in bocca pochi chicchi puliti tra le dita. A scapito della soddisfazione immediata della fame. Non pareva vero a tutti potersi riempire la bocca e la pancia!
La scimmia era un individuo divergente. Quando la divergenza si esprime in ambito sociale viene definita con il termine “devianza”. Con questa parola si intende definire sia quei comportamenti che in generale si configurano come crimini o malattie mentali sia quei comportamenti che si distinguono dalla norma, quali, per esempio, certi stili di vita oppure un’alternativa culturale (vedi la scimmietta). Il deviante è colui che non si comporta come gli altri del gruppo, che rifiuta alcune regole e finisce per avere serie difficoltà di inserimento perché il gruppo lo rifiuta del tutto e alla parola “devianza” dà una buona dose di negatività. Ha interesse a considerarla negativa in quanto teme la dispersione: la devianza va contro le regole, senza regole c’è l’anarchia, l’anarchia è la dispersione dei membri.
Mi interessa stabilire se la devianza nasce dal pensiero divergente e dai tratti di personalità, insomma dalla creatività; come si origina; se e quando è utile. L’esempio della scimmietta è illuminante.
Il pensiero divergente apre la sua mente e lei scopre che il “come si mangia il riso quando si è affamati” è un problema. Ricordiamo che il divergente scopre il problema là dove molti altri non lo vedono e lo subiscono. Subentra un tratto di personalità, definito “autonomia di giudizio” (sappiamo per certo che è correlato al pensiero divergente), e la scimmietta pensa, pur senza dirlo ad alta voce: questo metodo è una cazzata, bisogna trovarne un altro, non me ne frega niente di come mangiano gli altri, io ho fame, devo trovare un’altra soluzione. E un “momento dopo” (un’ora, uno o più giorni, si accende la scintilla nella testa) scatta di nuovo il pensiero divergente quando lei si accorge, magari per caso, che il chicco si pulisce da solo immerso nell’acqua. Prova, riprova. E se sono più chicchi? Ha risolto. Si mette a mangiare a piene mani felice, incurante del rischio che corre: di essere mandata via dal gruppo.
Devo raccontare il seguito di queste osservazioni, compiute da etologi che studiavano una comunità di scimmie; così aggiungo qualcosa al discorso sulla leadership.
Mentre la scimmietta si ingozzava e gli altri la guardavano invidiandola e temendo la reazione del capo, questi – uno scimmione appostato sull’albero per controllare tutto e avvertire in caso di leopardo – la osservava studiando come intervenire, mentre teneva pure a bada il gruppo, che non azzardassero a imitarla contravvenendo in un sol colpo alle regole e ai suoi comandi.
Questo gruppo di scimmiette aveva un ottimo capo – guida autoritaria intelligente, come vedremo, cosa che non accade spesso né tra le scimmie, né, tantomeno, tra gli umani -. Continuava a osservare e cominciava a meditare più o meno in questo modo con altro linguaggio. Nella sua testa, proprio alla base dei suoi pensieri, c’erano alcune convinzioni sulla natura dei suoi simili, improntate decisamente al positivo; queste erano le sue convinzionu: “Le scimmie devono essere guidate, non tutte però”. “Tra le scimmie ci sono individui divergenti; sono utilissimi per trovare soluzioni e favorire il cambiamento quando è necessario”. “La divergenza creativa deve essere premiata; premiandola si stimola nuova creatività negli altri membri del gruppo”. A queste convinzioni aggiunse le seguenti riflessioni mentre guardava la scimmietta compiaciuto: “Quella mia piccola consimile ha inventato qualcosa di rivoluzionario e di estremamente utile”. “Se io acconsento al cambiamento sarà il mio nome ad essere ricordato, perché sono il capo” (A questo i capi in genere non rinunciano, ma se rinunciassero ad appropriarsi delle idee degli altri sarebbero veramente straordinari). Il capo continua a meditare e conclude: “Siccome conviene premiare la creatività, entrerà nel mio staff di consiglieri”.
Il capo scese dall’albero grattandosi la testa come in genere fa, si accoccolò vicino alla scimmietta (che a dire il vero ebbe un poco di paura sapendo di aver trasgredito), raccolse un mucchio di riso, lo pulì come l’aveva vista fare e se lo mise in bocca. Fu il segnale, tutti si precipitarono. Il capo aveva accettato la devianza, e promosso il cambiamento culturale.
I responsabili di gruppi di umani dovrebbero aggiungere nelle loro teste le convinzioni che aveva il capo-scimmia e non bollare la devianza senza averci prima ragionato sopra. Dovrebbero tenere presente che la devianza – beninteso, quella che ha origine dal pensiero, costruisce e risolve problemi, non certo la devianza che contesta senza proporre – produce cultura e quando il cambiamento resta vuol dire che malgrado le resistenze dei sordi e dei miopi la novità funziona.
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