IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Quali scenari per l’Europa e il Mediterraneo dopo gli attacchi nel Mar Rosso? Quali pericoli per l’Italia dopo il no al MES?

MAR ROSSO E ESM

di Raffaele Scala

Gli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen rischiamo di mettere a rischio il settore dei trasporti marittimi. In questa parte di mondo transitano complessivamente il 12% del petrolio mondiale e l’8% di tutto il gas naturale liquido e anche altri tipi di merci trasportato nei container.

Dopo il no del parlamento italiano alla ratifica del Mes, Bruxelles valuta l’ipotesi di un nuovo accordo per i Paesi dell’eurozona che hanno detto sì alla riforma (tutti tranne l’Italia). Nel caso il Bel Paese resterebbe senza protezione se si trovasse in difficoltà.  

Cosa succede nel Mar Rosso?

A sud del Mar Rosso c’è lo Yemen proprio nell’imboccatura che separa l’Africa dalla Penisola Arabica. Lo Yemen è sconvolta da anni da una guerra civile, dove una delle parti nel conflitto è composta dalla milizia Houthi, che dopo il 7 ottobre, ovvero dopo l’attacco di Hamas contro Israele, ha iniziato a minacciare di colpire le navi israeliane per poi passare dalle parole ai fatti. I loro attacchi con missili e droni, oltre a colpire le navi israeliane, hanno preso di miri navi di altri stati e perfino la US Navy. L’insicurezza della zona ha spinto diverse compagnie armatoriali a interrompere o ridurre i trasporti, anche solo temporaneamente.

Le grandi compagnie cargo come Msc, Maersk, Hapag-Lloyd, hanno ridotto il numero delle navi per il transito nel Mar Rosso e alcune hanno dirottato le proprie rotte su percorsi più lunghi e costosi, come la circumnavigazione dell’Africa. Questo ha comportato un aumento dei costi per le assicurazioni delle navi e l’aumento del prezzo dell’energia. Anche se non si registrano fenomeni di iperinflazione, i mercati, infatti, hanno reagito con calma per via della presenza Americana con le sue navi militari nel Mar Rosso. Inoltre gli Stati Uniti hanno messo insieme una coalizione che include, oltre all’Italia, il Regno Unito, la Francia, la Norvegia ed il Bahrain. 

La crisi nel Mar Rosso minaccia gli approvvigionamenti energetici di mezzo mondo e l’operazione messa in piedi dagli USA mostra come Washington sia ancora importante per proteggere i traffici e le rotte commerciali dei suoi alleati europei. In effetti l’interesse americano per quanto riguarda i traffici energetici è inesistente perché gli USA hanno raggiunto l’autosufficienza energetica già tempo fa, ed oggi sono anche esportatori di gas e petrolio, quindi non necessitano più del greggio arabo.

Queste ragioni spingono internamente, gli USA, nel dibattito verso un ritorno all’isolazionismo. L’Europa invece è particolarmente dipendente dalla sicurezza delle rotte energetiche da quando ha interrotto i suoi rapporti con la Russia. Inoltre nella coalizione si notano delle assenze regionali come l’Arabia Saudita e gli Emirati che, da tempo in guerra contro gli Houthi, sanno benissimo che essi sono il braccio armato dell’Iran nella regione, ed i recenti riavvicinamenti tra l’Iran e i Paesi del Golfo hanno fatto desistere i loro ingresso in una coalizione a guida americana.

Ma chi sono gli Houthi?

Gli Houthi sono un gruppo armato islamista sciita dello Yemen e viene supportato economicamente dall’Iran. Essi sono conosciuti anche come i “Partigiani di Dio” Sono stati dichiarati organizzazione terroristica dal governo legittimo dello Yemen e da altri Paesi tra i quali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. 

Dal 2015 una colazione guidata da Riyadh, in cui fa parte anche il governo dello Yemen, ha dichiarato guerra a questo gruppo armato che al momento controlla buona parte del territorio nazionale occidentale yemenita, compresa la capitale Sana’a’. Sebbene la guerra tra le parti sia formalmente in corso, è stata stipulata una tregua. 

Quali possibili conseguenze per l’Europa ed il Mediterraneo se la crisi continua?

La crisi nel Mar Rosso, se continua, potrebbe far diventare il Mediterraneo un grande lago che collega l’Atlantico tramite lo stretto di Gibilterra e l’Oceano Indiano tramite lo stretto di Suez. Se le rotte commerciali dirottano verso altri porti, una possibile conseguenza è che il Mediterraneo venga tagliato fuori dalla quella che oggi è una delle rotte principali per il commercio internazionale di merci e materi prime.  Gli attacchi dei ribelli Houthi rischiano di mettere in ginocchio il settore dei trasporti marittimi, che solo nel mar Rosso rappresenta circa il 12% del commercio mondiale, per un valore che si stima sui 1,2 trilioni di dollari all’anno, e la perdita dell’elemento strategico di un’area che collega l’Indopacifico con l’Atlantico. La destabilizzazione di quella zona di mondo crea un problema a tutta la catena di approvvigionamento globale.

Già il blocco del Canale di Suez del 2021 ha portato l’attenzione pubblica sulla possibilità e opportunità di individuare nuove rotte per il commercio globale. La rotta alternativa tradizionale è quella del capo di Buona Speranza, che comporta la circumnavigazione del continente africano e quindi costi e tempi maggiori. Un’altra ipotesi potrebbe essere la Rotta Artica. Diversi Stati già si stanno adoperando per questa nuova rotta commissionando la costruzione di navi rompi-ghiaccio, e poi l’innalzamento della temperatura globale e il progressivo scioglimento dei ghiacci rappresentano elementi per l’apertura di nuove rotte che potrebbero modificare gli equilibri del commercio internazionale. Se la crisi nel Mar Rosso dovrebbe continuare tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo avrebbero delle ripercussioni in termini sia economici che sociali visto che per Suez passa anche un terzo del trasporto container mondiale.

Il caso Italia: il porto di Trieste

Per l’Italia il canale di Suez rappresenta uno snodo fondamentale perché lì vi transitano circa il 40% dell’interscambio commerciale dell’Italia con i Paesi asiatici, per un valore che si aggira sui 83 miliardi di euro. Le nuove rotte intorno all’Africa per evitare il canale di Suez penalizza in modo significativo l’Italia, tanto che per 200 operatori degli scali dell’Alto adriatico i salari sono decurtati. Il caso del porto di Trieste è rilevante perché come annunciato dalle autorità, nessuna nave portacontainer giungerà al porto fino a dopo la metà di gennaio. Questo è un effetto diretto della crisi in corso nel Mar Rosso che fa sentire sugli operatori del porto la diminuzione del loro lavoro e quindi vedranno decurtarsi il proprio salario.

Inoltre la scelta degli armatori di non utilizzare queste vie di navigazione rischierebbe di favorire i porti del Nord Europa dove attraccherebbero le navi una volta circumnavigato l’Africa. L’economia di un Paese marittimo basato sugli scambi commerciali, che vive quindi di esportazioni, come l’Italia, è condizionato fortemente ciò che succede nel mare.

Il no dell’Italia al Mes: Qual è il piano B dell’Europa?

Dopo il no del parlamento italiano alla ratifica del Mes ora ci si chiede cosa possa accadere. L’Italia è l’unico Paese dell’Europa a non aver proceduto alla ratifica utile per il completamento dell’Unione bancaria che adesso è a rischio e non potrebbe azionarsi il paracadute per le crisi bancarie previsto nella nuova versione del Mes dal 1° gennaio come concordato da tutti i leader europei durante l’emergenza Covid.

Ma cos’è il Mes? Il Meccanismo europeo di stabilità è stato creato dopo gli interventi per scongiurare il default della Grecia. Nato nel 2012 con un trattato intergovernativo, il Mes serve a concedere assistenza finanziaria ai Paesi membri in difficoltà a finanziarsi attraverso il normale collocamento dei titoli di Stato. In cambio ci sono da sottoscrivere una serie di condizioni che cambiano a seconda dello strumento utilizzato. 

Ad esempio le linee di credito precauzionali sono utili per i Paesi che sono colpiti da uno shock economico e vogliono evitare di finire sotto stress sui mercati. Invece per i Paesi con deficit e debiti alti, per loro la linea di credito sarebbe garantita a condizionalità rafforzata, ovvero a fronte di correzioni dei conti. Inoltre il Mes ha anche il compito di tutelare i contribuenti nei casi in cui finissero le risorse per i fallimenti ordinari delle banche in difficoltà.

Con la pandemia si è pensato di dotarlo di 240 miliardi da utilizzare per affrontare l’emergenza sanitaria. Un’ipotesi che sembra circolare è la creazione di un Salva Stati con i Paesi aderenti escludendo l’Italia. Questo però implicherebbe la restituzione all’Italia delle risorse versate. Per adesso è solo un’ipotesi che comunque preoccupa perché l’Italia resterebbe senza scudo contro attacchi speculativi.

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