IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Platone e Aristotele: Il Dialogo Eterno Davanti all’Accademia di Atene

Stuatua di Platone e Socrate fuori all'Accademia di Atene

Stuatua di Platone e Socrate fuori all'Accademia di Atene

di Pompeo Maritati

Davanti all’Accademia di Atene, incorniciate dalla maestosità dell’edificio neoclassico e dalla luce dorata che avvolge la città, si ergono le statue di Platone e Socrate, due figure scolpite nella pietra ma vive nella memoria dell’umanità. Ogni volta che mi trovo lì, in quel luogo carico di storia e significato, non posso fare a meno di fermarmi, quasi trattenuto da un magnetismo che non è solo artistico ma profondamente intellettuale. Sono lì, immobili eppure colme di movimento, di un’energia che sembra attraversare i secoli per giungere fino a noi. Platone, seduto, avvolto in una postura meditativa, lo sguardo fisso verso l’orizzonte, come se stesse contemplando le Idee eterne, quelle realtà superiori che, secondo lui, sono la vera essenza di ogni cosa.

Socrate, con il braccio proteso, quasi a voler indicare la concretezza del mondo terreno, il luogo dove la realtà si manifesta nelle sue infinite sfaccettature, da osservare, catalogare, studiare con metodo e razionalità. Due visioni del mondo che si contrappongono e si completano, due anime della filosofia che hanno definito il pensiero occidentale e oltre.

In quei momenti, quando il brusio della città sembra attutirsi e il tempo pare rallentare, immagino di trovarmi al loro cospetto, non come un semplice osservatore ma come un invisibile spettatore di un dialogo eterno. Li vedo discutere, confrontarsi, Platone che parla con voce calma e profonda, quasi musicale, descrivendo un mondo che trascende la materia, un regno di perfezione e verità immutabile. Aristotele, al contrario, con un tono più deciso e argomentativo, che ribatte, smontando le astrazioni per riportare ogni discorso alla concretezza della natura, alla necessità di comprendere il reale attraverso l’esperienza.

E mi chiedo come sarebbe stato, per un giovane allievo dell’Accademia, ascoltare questi giganti del pensiero mentre costruivano i fondamenti di ciò che oggi chiamiamo filosofia, scienza, etica, politica. Cosa avrei provato io, seduto tra gli ulivi, a udire Platone parlare della giustizia ideale, del bene supremo, o Socrate analizzare con meticolosità le cause di ogni cosa, i principi del movimento, la natura dell’essere?

Quella di Platone è una visione che spinge verso l’alto, verso il cielo delle Idee, un invito a guardare oltre l’apparenza, a cercare la verità che si cela dietro il velo delle cose. Quando penso al suo “mito della caverna”, vedo il mondo moderno riflesso in quelle ombre proiettate sul muro, un’umanità spesso incatenata dalle illusioni, dai simulacri di verità che la società crea e impone. E in questo contesto, la sua filosofia appare ancora una guida, una luce che invita a uscire dalla caverna, a liberarsi dai condizionamenti per scoprire la vera essenza del reale. Eppure, Socrate non sarebbe d’accordo con questa fuga verso il trascendente.

Lui mi riporterebbe sulla terra, mi inviterebbe a guardare la ricchezza del mondo così com’è, a comprenderne le leggi, a trovare in esso la bellezza e la verità. Ogni pianta, ogni animale, ogni movimento celeste racchiude per lui una lezione, un principio da scoprire e comprendere. Ed è questa diversità di approccio che rende la loro eredità così preziosa: Platone ci spinge a sognare, a immaginare mondi migliori; Aristotele ci insegna a costruirli, a partire da ciò che abbiamo davanti.

Camminando tra quelle statue, non posso fare a meno di riflettere sull’attualità delle loro idee. Platone, con la sua critica alla democrazia imperfetta, sembra quasi descrivere le fragilità delle società moderne, i pericoli di una politica guidata da interessi personali piuttosto che dalla ricerca del bene comune. Socrate, d’altra parte, con la sua etica della virtù, ci ricorda l’importanza di coltivare il carattere, di trovare il giusto mezzo in un mondo che spesso oscilla tra eccessi e carenze. E penso a quanto siano necessari oggi entrambi questi insegnamenti, in un’epoca in cui la complessità della realtà sembra sfuggire a ogni tentativo di comprensione, e la ricerca della verità è spesso sacrificata sull’altare della convenienza.

La pietra bianca che dà forma alle loro statue sembra risuonare delle loro voci, una materializzazione del dialogo che continua attraverso i secoli. È come se l’Accademia di Atene non fosse solo un luogo fisico ma un ponte tra passato e presente, uno spazio dove il tempo si annulla e le idee tornano a vivere. Chiunque si fermi davanti a quelle statue non può fare a meno di sentirsi parte di questa continuità, di questa tradizione che ha plasmato il modo in cui pensiamo, viviamo, aspiriamo a conoscere. E mi chiedo quante altre generazioni, dopo di noi, passeranno davanti a Platone e Socrate, si fermeranno per qualche istante e troveranno in quelle figure immobili una scintilla di ispirazione, un invito a riflettere, a interrogarsi, a non accontentarsi delle risposte facili.

La loro grandezza sta proprio in questo: nel non aver fornito risposte definitive ma nel continuare a porre domande, nel lasciare che le loro idee si adattino e si trasformino con il passare del tempo, senza perdere mai la loro essenza. Platone e Socrate sono gli architetti di un pensiero che è insieme eterno e dinamico, radicato in principi immutabili ma aperto al cambiamento, alla scoperta, all’innovazione. E in questa tensione tra stabilità e movimento, tra ideale e concreto, si ritrova la bellezza del loro lascito, un’eredità che non appartiene solo alla Grecia o all’Occidente ma all’intera umanità.

Mi perdo spesso in questi pensieri mentre li osservo, quasi dimenticando il passare del tempo, il flusso delle persone che mi scorrono accanto. Perché in quei momenti, davanti a Platone e Socrate, sembra che il mondo si fermi, che ogni cosa si riduca all’essenziale: il pensiero, la ricerca, il desiderio di capire. E mi rendo conto di quanto siano stati vasti i loro orizzonti, di quanto abbiano guardato oltre i limiti del loro tempo per offrire a noi, dopo più di duemila anni, le basi di una riflessione che è ancora viva, ancora attuale.

Non posso fare a meno di immaginarli insieme, ancora una volta, a discutere sotto un cielo greco, in una luce che non è solo quella del sole ma quella della ragione, dell’intelletto, dello spirito umano che cerca incessantemente la verità. E in quei momenti mi sento piccolo, sì, ma anche incredibilmente grato, perché davanti a Platone e Socrate non si è mai soli: si è parte di un dialogo infinito, un viaggio senza fine verso la conoscenza.


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