Piaciuto per continuare a stupirci
di Tiziana Leopizzi
Stupefacente sorprendente affascinante inebriante esaltante sfarzoso paradossalmente sobrio ed elegante grazie all’armonia che si respira…questo è Palazzo Rosso che fresco di sapiente restauro si offre ora a Genova e al mondo.
Siamo a Genova in via Garibaldi, credo di poter dire senza tema di smentite , la via più bella del mondo. Via Aurea , questo il nome con cui nacque, fu la spina dorsale del rinnovamento urbanistico voluto da Andrea Doria, ormai in stretti rapporti con l’Imperatore Carlo V. Il principe pare abbia saputo incanalare l’eterna voglia di prevalere l’uno sull’altro dei rissosi membri dell’aristocrazia cittadina lasciando sfogo ad una costruttiva esibizione del proprio potere grazie alla realizzazione di sontuosi palazzi. Unica condizione che si affacciassero tutti sullo stesso tracciato. E così fu. I cantieri furono il più bel campo di battaglia mai visto. Lungo la nuova direttrice, i nomi più importanti avrebbero avuto, uno accanto all’altro la propria residenza, in una gara generatrice di bellezza.
Torneremo in un’altra occasione sull’argomento così importante. Per ora queste poche righe per spiegare il contesto in cui sorse Palazzo Rosso.
Aperta a metà del Cinquecento via Aurea, poi via Nuova e ora via Garibaldi, inaugurò di fatto l’architettura moderna in Europa. Oggi è una perla del Patrimonio Unesco sia per pregio artistico che per la perfetta conservazione del suo aspetto originale. Tutto ciò ha dato vita alla codificazione dei Palazzi dei Rolli, la maggior parte in via Garibaldi, tra cui Palazzo Tobia Pallavicino, Palazzo Giovanni Spinola, o Doria, Palazzo Tursi, Palazzo Tursi, Palazzo Bianco, Palazzo Rosso … entriamo finalmente a Palazzo Rosso oggetto di rinnovata attenzione dopo il recente restauro durato quasi tre anni. Facciamo conoscenza con i due fratelli Ridolfo e Gio.Francesco committenti del Palazzo, concepito con due piani nobili residenziali, destinati ad essere assegnati tramite sorteggio. Dopo pochi anni però per la scomparsa del fratello Ridolfo, il secondogenito divenne l’unico proprietario dell’intero edificio. Questi elesse a sua dimora il piano superiore, lasciando così il suo piano al suocero Giuseppe Maria Durazzo (1624-1701), che vi portò la sua collezione ricca di opere di scuola veneziana tra cui la Giuditta di Paolo Veronese.
Gio Francesco Brignole-Sale (1643-1694) chiamò alla sua corte Domenico Piola e suo figlio Gerolamo, Gregorio De Ferrari. In seguito il suo esempio fu ripreso e i suoi discendenti chiamarono Giovanni Andrea Carlone, Carlo Antonio Tavella, Bartolomeo Guidobono. Con tutti collaborarono stuccatori, doratori e maestri artigiani.
Gio. Francesco II nel ‘700, ambasciatore della Repubblica di Genova alla corte del Re Sole, incantato dalla reggia di Versailles e in particolare dalla superba alcova del Delfino di Francia, decise che avrebbe realizzato al suo ritorno un ambiente altrettanto lussuoso e spettacolare. Affreschi, stucchi, pavimenti intarsiati e marmi testimoniano ancora oggi il gusto e la raffinatezza raggiunti dalla nobiltà genovese fra ‘600 e ‘700.
Furono realizzate quindi nuove stanze ad uso abitativo, opportunamente ubicate per difendersi dal gelo, nell’ammezzato tra i due piani nobili, la Sala della Grotta, il suggestivo spazio dell’Alcova appunto ornata di stucchi, di Anton Giulio Il Brignole-Sale destinata agli incontri intimi, la pur danneggiata volta della Sala della Gioventù al bivio, opera ancora del Parodi, e il “salottino degli specchi” nel mezzanino.
Si resta davvero a bocca aperta! Sopravvissute agli insulti della guerra la magnifica Sala delle Virtù Romane, che fungeva da studio dello stesso Gio. Francesco, decorata con affreschi e dipinti da Lorenzo De Ferrari intorno al 1740, e la cappella, anche se ne fu mutata la destinazione eliminandone l’altare. Un vero peccato che sia andato disperso un quadro di Domenico Parodi, assolutamente avveniristico per la sua epoca e non solo, cui spettava anche, avente come soggetto l’Armida di Torquato Tasso – che si guardava in uno specchio che era effettivamente inserito nella tela. L’attuale rinascita di Palazzo Rosso è stata preceduta dall’intervento operato con molta delicatezza da Franco Albini che tra il 1963 e il 1971, nel confermare la vocazione a pinacoteca del primo piano nobile, ripristinò alcuni volumi originali, arricchì i vani delle porte con cornici di marmo. Il noto architetto intervenne poi in altre parti dell’edificio come la famosa scala elicoidale, forse ispirata a quella a doppia elica di Leonardo da Vinci nel castello di Chambord, o l’appartamento per Caterina Marcenaro, la direttrice dei Musei Civici , che qui abitò finche visse.
In occasione del restauro si è optato per ridare la dignità albiniana all’appartamento di Caterina Marcenaro che negli anni subì la trasformazione ad uffici, ma che allora fu ampiamente pubblicato.
Le etichette, con ottima scelta, son bandite e le informazioni si trovano su un pannello a parte.
Gli interventi di restauro degli anni 2000 hanno inteso proprio valorizzare
il ruolo di dimora storica di Palazzo Rosso, attraverso la riscoperta
dei diversi “appartamenti” che nel corso di più di tre secoli di storia
sono stati realizzati al suo interno. In particolare questi spazi – nel
frattempo destinati ad uffici – sono stati ripristinati e restituiti alla loro
dignità architettonica riproponendovi un arredo rievocativo di quello
originale anni ’50 documentato nelle fotografie di AD.
La famiglia si arricchì di altri imponenti proprietà grazie agli l’acquisti nel 1711, da parte della stessa Maria Durazzo, del palazzo già Grimaldi poi De Franchi in Strada Nuova, l’odierno Palazzo Bianco, per la linea cadetta della famiglia, Gio.Francesco II Brignole – Sale (1695-1760) che si ritrovò unico proprietario di Palazzo Rosso e delle sue collezioni di quadri, costituite, a questo punto, sia da opere provenienti dalla famiglia Brignole-Sale (fra le quali erano, oltre i citati grandi ritratti di Van Dyck, dipinti di Guido Reni, di Guercino, di Mattia Preti, di Bernardo Strozzi) sia da dipinti pervenuti dalla famiglia Durazzo, il cui nucleo più consistente comprendeva tavole e tele d’ambito veneto del XVI secolo (fra le quali meritano d’essere ricordate le opere di Palma il vecchio e di Veronese), sia di Palazzo Bianco da parte di Maria Durazzo. Gio.Francesco II procedette ad altri significativi acquisti, tra i quali ricordiamo i Quattro Apostoli di Giulio Cesare Procaccini, il Ritratto di giovane di Van Dyck, La carità di Bernardo Strozzi.
Altre commissioni segnarono la storia della dimora nelle generazioni successive. L’ultima erede della famiglia, Maria Brignole – Sale De Ferrari duchessa di Galliera, donò Palazzo Rosso alla città insieme alla sua eccezionale collezione di capolavori, suggello dell’ascesa sociale, economica e politica della casata alla municipalità “per attestare pubblicamente i loro sentimenti d’amore alla Città di Genova, e di zelo per tutto ciò che può accrescere il decoro e l’utile dei suoi abitanti e la sua fama presso i forestieri, la Duchessa di Galleria e il Marchese Filippo De Ferrari suo figlio, sono venuti nella determinazione di cedere al Municipio di questa Città il cosiddetto Palazzo Rosso, colle entrostanti galleria di Quadri e Biblioteca”.
La Duchessa di Galliera e sui figlio Filippo De Ferrari, emularono l’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici che dono l’intero patrimonio artistico e culturale, alla città di Firenze “per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.
La granduchessa predispose anche la donazione alla città anche di Palazzo Bianco, ma “per la formazione di una pubblica galleria”, di cui Genova era ancora priva: oltre ad alcune opere acquistate dai duchi di Galliera a Parigi, tra cui merita di essere menzionata la Maddalena di Antonio Canova, vennero così riuniti nel costituendo museo altri beni – dipinti, sculture, disegni, monete, tessuti… – giunti in proprietà pubblica per volontà di altri munifici donatori, oltre alle numerose opere provenienti dalle soppressioni napoleoniche di edifici religiosi.
Due donne segnano incipit e la fine della storia della famiglia Brignole – Sale, ma il loro segno travalica i tempi. La prima la madre, Geronima, figlia unica del ricco Giulio Sale, marchese di Groppoli che passò censo e fortune ad Anton Giulio che ereditò direttamente dal nonno materno il titolo nobiliare e il feudo di famiglia, oltre al palazzo di città e alla villa d’Albaro, e l’ultima erede della famiglia, e nel 1889 Maria Brignole – Sale De Ferrari duchessa di Galliera, donò Palazzo Rosso alla città insieme alla sua eccezionale collezione di capolavori, suggello dell’ascesa sociale, economica e politica della casata, “per attestare pubblicamente i loro sentimenti d’amore alla Città di Genova”.stupefacente sorprendente affascinante inebriante esaltante sfarzoso paradossalmente sobrio ed elegante grazie all’armonia che si respira…questo è Palazzo Rosso che fresco di sapiente restauro si offre ora a Genova e al mondo.
Siamo a Genova in via Garibaldi, credo di poter dire senza tema di smentite , la via più bella del mondo.
Via Aurea , questo il nome con cui nacque, fu la spina dorsale del rinnovamento urbanistico voluto da Andrea Doria, ormai in stretti rapporti con l’Imperatore Carlo V. Il principe pare abbia saputo incanalare l’eterna voglia di prevalere l’uno sull’altro dei rissosi membri dell’aristocrazia cittadina lasciando sfogo ad una costruttiva esibizione del proprio potere grazie alla realizzazione di sontuosi palazzi. Unica condizione che si affacciassero tutti sullo stesso tracciato. E così fu. I cantieri furono il più bel campo di battaglia mai visto. Lungo la nuova direttrice, i nomi più importanti avrebbero avuto, uno accanto all’altro la propria residenza, in una gara generatrice di bellezza. Torneremo in un’altra occasione sull’argomento così importante. Per ora queste poche righe per spiegare il contesto in cui sorse Palazzo Rosso.
Aperta a metà del Cinquecento via Aurea, poi via Nuova e ora via Garibaldi, inaugurò di fatto l’architettura moderna in Europa. Oggi è una perla del Patrimonio Unesco sia per pregio artistico che per la perfetta conservazione del suo aspetto originale. Tutto ciò ha dato vita alla codificazione dei Palazzi dei Rolli, la maggior parte in via Garibaldi, tra cui Palazzo Tobia Pallavicino, Palazzo Giovanni Spinola, o Doria, Palazzo Tursi, Palazzo Tursi, Palazzo Bianco, Palazzo Rosso … entriamo finalmente a Palazzo Rosso oggetto di rinnovata attenzione dopo il recente restauro durato quasi tre anni. Facciamo conoscenza con i due fratelli Ridolfo e Gio.Francesco committenti del Palazzo, concepito con due piani nobili residenziali, destinati ad essere loro assegnati tramite sorteggio. Dopo pochi anni però per la scomparsa del fratello Ridolfo, il secondogenito divenne l’unico proprietario dell’intero edificio. Questi elesse a sua dimora il piano superiore, lasciando così il suo piano al suocero Giuseppe Maria Durazzo (1624-1701), che vi portò la sua collezione ricca di opere di scuola veneziana tra cui la Giuditta di Paolo Veronese.
Gio.Francesco Brignole-Sale (1643-1694) chiamò alla sua corte Domenico Piola e suo figlio Gerolamo, Gregorio De Ferrari. In seguito il suo esempio fu ripreso e i suoi discendenti chiamarono Giovanni Andrea Carlone, Carlo Antonio Tavella, Bartolomeo Guidobono. Con tutti collaborarono stuccatori, doratori e maestri artigiani.
Anton Giulio II nel ‘700, ambasciatore della Repubblica di Genova alla corte del Re Sole, incantato dalla reggia di Versailles e in particolare dalla superba alcova del Delfino di Francia, decise che avrebbe realizzato al suo ritorno un ambiente altrettanto lussuoso e spettacolare. Affreschi, stucchi, pavimenti intarsiati e marmi testimoniano ancora oggi il gusto e la raffinatezza raggiunti dalla nobiltà genovese fra ‘600 e ‘700. Furono realizzate quindi nuove stanze ad uso abitativo, opportunamente ubicate per difendersi dal gelo, nell’ammezzato tra i due piani nobili, la Sala della Grotta, il suggestivo spazio dell’Alcova appunto ornata di stucchi, destinata agli incontri intimi, la pur danneggiata volta della Sala della Gioventù al bivio, opera ancora del Parodi, e il “salottino degli specchi” nel mezzanino.
Si resta davvero a bocca aperta! Sopravvissute agli insulti della guerra la magnifica Sala delle Virtù Romane, che fungeva da studio dello stesso Gio.Francesco, decorata con affreschi e dipinti da Lorenzo De Ferrari intorno al 1740, e la cappella, anche se ne fu mutata la destinazione eliminandone l’altare. Un vero peccato che sia andato disperso un quadro di Domenico Parodi, assolutamente avveniristico per la sua epoca e non solo, , avente come soggetto l’Armida di Torquato Tasso – che si guardava in uno specchio che era effettivamente inserito nella tela. L’attuale rinascita di Palazzo Rosso è stata preceduta dall’intervento operato con molta delicatezza da Franco Albini che tra il 1963 e il 1971, nel confermare la vocazione a pinacoteca del primo piano nobile, ripristinò alcuni volumi originali, arricchì i vani delle porte con cornici di marmo. Il noto architetto intervenne poi in altre parti dell’edificio come la famosa scala elicoidale, forse ispirata a quella a doppia elica di Leonardo da Vinci nel castello di Chambord, o l’appartamento per Caterina Marcenaro, la direttrice dei Musei Civici , che qui abitò finche visse.
In occasione del restauro si è optato per ridare la dignità albiniana all’appartamento di Caterina Marcenaro che negli anni subì la trasformazione ad uffici, ma che allora fu ampiamente pubblicato.
Le etichette, con ottima scelta, son bandite e le informazioni si trovano su un pannello a parte.
Gli interventi di restauro degli anni 2000 hanno inteso proprio valorizzare
il ruolo di dimora storica di Palazzo Rosso, attraverso la riscoperta
dei diversi “appartamenti” che nel corso di più di tre secoli di storia
sono stati realizzati al suo interno. In particolare questi spazi – nel
frattempo destinati ad uffici – sono stati ripristinati e restituiti alla loro
dignità architettonica riproponendovi un arredo rievocativo di quello
originale anni ’50 documentato dalle fotografie di AD.
La famiglia si arricchì di altri imponenti proprietà grazie agli l’acquisti nel 1711, da parte della stessa Maria Durazzo, del palazzo già Grimaldi poi De Franchi in Strada Nuova, l’odierno Palazzo Bianco, per la linea cadetta della famiglia, Gio.Francesco II Brignole – Sale (1695-1760) che come abbiamo visto si ritrovò unico proprietario di Palazzo Rosso e delle sue collezioni di quadri, costituite, a questo punto, sia da opere provenienti dalla famiglia Brignole-Sale (fra le quali erano, oltre i citati grandi ritratti di Van Dyck, dipinti di Guido Reni, di Guercino, di Mattia Preti, di Bernardo Strozzi) sia da dipinti pervenuti dalla famiglia Durazzo, il cui nucleo più consistente comprendeva tavole e tele d’ambito veneto del XVI secolo (fra le quali meritano d’essere ricordate le opere di Palma il vecchio e di Veronese), sia di Palazzo Bianco da parte di Maria Durazzo. Gio.Francesco II procedette ad altri significativi acquisti, tra i quali ricordiamo i Quattro Apostoli di Giulio Cesare Procaccini, il Ritratto di giovane di Van Dyck, La carità di Bernardo Strozzi.
Altre commissioni segnarono la storia della dimora nelle generazioni successive. L’ultima erede della famiglia, Maria Brignole – Sale De Ferrari duchessa di Galliera, donò Palazzo Rosso alla città insieme alla sua eccezionale collezione di capolavori, suggello dell’ascesa sociale, economica e politica della casata alla municipalità “per attestare pubblicamente i loro sentimenti d’amore alla Città di Genova, e di zelo per tutto ciò che può accrescere il decoro e l’utile dei suoi abitanti e la sua fama presso i forestieri, la Duchessa di Galleria e il Marchese Filippo De Ferrari suo figlio, sono venuti nella determinazione di cedere al Municipio di questa Città il cosiddetto Palazzo Rosso, colle entrostanti galleria di Quadri e Biblioteca”.
La Duchessa di Galliera e sui figlio Filippo De Ferrari, emularono l’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici che donò l’intero patrimonio artistico e culturale, alla città di Firenze “per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri”.
La granduchessa predispose anche la donazione alla città anche di Palazzo Bianco, ma “per la formazione di una pubblica galleria”, di cui Genova era ancora priva: oltre ad alcune opere acquistate dai duchi di Galliera a Parigi, tra cui merita di essere menzionata la Maddalena di Antonio Canova, vennero così riuniti nel costituendo museo altri beni – dipinti, sculture, disegni, monete, tessuti… – giunti in proprietà pubblica per volontà di altri munifici donatori, oltre alle numerose opere provenienti dalle soppressioni napoleoniche di edifici religiosi.
Due donne segnano incipit e la fine della storia della famiglia Brignole – Sale, ma il loro segno travalica i tempi. La prima, la capostipite Geronima, figlia unica del ricco Giulio Sale, marchese di Groppoli che passò censo e fortune al figlio Anton Giulio che ereditò direttamente dal nonno materno il titolo nobiliare e il feudo di famiglia, oltre al palazzo di città e alla villa d’Albaro, e infine l’ultima erede della famiglia, e nel 1889 Maria Brignole – Sale De Ferrari duchessa di Galliera, donò Palazzo Rosso alla città insieme alla sua eccezionale collezione di capolavori, suggello dell’ascesa sociale, economica e politica della casata, “per attestare pubblicamente i loro sentimenti d’amore alla Città di Genova”.