Perché oggi la creatività (risposta al quesito posto nel precedente articolo
do Maurizio Mazzotta
Da qualche decennio nelle società tecnologicamente avanzate industriali, manager, dirigenti da una parte e dall’altra pedagogisti e psicologi, spinti da motivi diversi, non necessariamente opposti, anzi spesso complementari, hanno rivolto l’attenzione al processo cognitivo della creatività.
Lo sviluppo della tecnica, che fino a poco tempo fa è proceduto per fasi fino ad assumere carattere rivoluzionario e a produrre appunto rivoluzioni, ora ha carattere di esplosione nucleare, a catena!
Questa continua trasformazione ci costringe a stressanti modifiche comportamentali. Ed è un processo irreversibile! È la strada intrapresa dall’uomo, la cui prima invenzione, la ruota, preannunziava la velocità con cui si sarebbe mosso il nostro pensiero. Ma questa rapidità può stordirci se non riusciamo a controllarla, considerando i nostri bisogni, cercando nuovi equilibri tra noi e le nostre stesse creazioni.
Da qui la necessità di utilizzare tutte le nostre risorse, pure “quelle che non sappiamo di avere” svegliandole e, ovviamente, anche l’urgenza di impadronirci di nuove conoscenze: sfruttare insomma al massimo il potenziale umano che sta nella capacità di apprendimento, quindi di modificazione, propria dell’uomo.
Inventare, accettare e adattarsi a ciò che inventano gli altri, sorvegliare tutto questo perché sia in armonia con noi e con l’ambiente: ecco il bisogno di uomini capaci di apprendere creativamente e di produrre in modo creativo.
In ultima analisi il quesito è: la necessità di sviluppare nell’uomo sia la capacità di innovare sia quella di accettare con coscienza critica i nuovi prodotti, ci darà la spinta per impostare un’educazione nuova, veramente idonea al raggiungimento di questi scopi? Perché purtroppo oggi con questo urgente bisogno di essere innovatori e intellettualmente flessibili non soltanto ci ritroviamo ancorati a una scuola che non ci cura, ma accade anche che ci rendiamo conto (forse in pochi) di galleggiare in un mondo solo in apparenza aperto al contatto e alla comunicazione, di fatto ci condiziona e ci allena alla chiusura. Il contatto vero, di idee e di emozioni, è alla base della creatività. Lo scambio reale, il confronto, la critica sono alimento del pensiero riformatore e del comportamento adattativo.
In conclusione, essendo la scuola l’ambiente dove si attua l’educazione di base, è la scuola che può formare l’individuo e il gruppo ambedue adatti per la società tecnologica. Attraverso la scuola la comunità educante ha definito, più o meno esplicitamente e consapevolmente durante tutta la storia dell’uomo finalità relative allo sviluppo delle potenzialità umane.
Ogni gruppo sociale si è preoccupato in varia misura di assicurare la trasmissione della cultura e di formare uomini atti a produrre cultura; le agenzie preposte a questo compito però, in primo luogo la scuola, nei vari momenti storici, solo raramente hanno utilizzato strategie idonee agli scopi di formare individui in grado di adattarsi e di produrre cambiamenti: la psicologia dell’educazione e la pedagogia scientifica ci convincono che la creatività viene di fatto mortificata, che non sono date a ciascuno le opportunità di cui ha bisogno per promuovere ed esprimere se stesso, che quindi la società e la scuola non utilizzano appieno le risorse individuali. I gruppi umani, pur avendo nel loro seno notevoli pressioni quali l’istanza umanitaria e quella sociale, l’istanza politica e quella economica, hanno finito sempre per accettare, mettendo tuttalpiù in «discussione» ma senza dare energiche scrollate, i modi in cui il processo educativo veniva e viene condotto dalla scuola per esso preposta: i problemi connessi con l’educazione sono stati sempre «seriamente» considerati, ma meno spesso seriamente affrontati.