Perché e da dove nasce l’antisionismo
di Zornas Greco
Che il popolo ebraico non goda di grandi simpatie è un dato di fatto inequivocabile. Ciò non è giusto, ma che ancora oggi, nel corso del terzo millennio, rappresenta un dato di fatto negativo, è il risultato che ci indica che la strada percorsa sin qui nel corso di questi ultimi venti secoli non è da ritenersi la migliore. Se vogliamo procedere ad una corretta disamina sulle cause determinanti questa “antipatia” è bene che venga definita con il suo vocabolo più idoneo: l’odio.
Penso non sia sbagliato definire l’antisemitismo l’odio più lungo della storia.
Passiamo subito con il definire in cosa consiste l’antisemitismo. Con questa definizione si indicano i pregiudizi e gli atteggiamenti persecutori ne confronti dei semiti: il termine semiti ha acquisito nel tempo il significato di ebrei. L’etimologia deriva dal fatto che gli ebrei, almeno in origine, erano semiti. Oggi sono considerati semiti tutti quei popoli che parlano lingue appartenenti al gruppo semitico, incluso l’arabo, l’ebraico e l’aramaico. Antisemitismo, tecnicamente e strettamente parlando, non significa odio per i semiti. Questo ci porta a confondere le definizioni in uso dall’etimologia della parola. Antisemitismo significa odio per gli ebrei.
Ritengo che una delle fonti più antiche dell’antisemitismo sia da accreditare alla religione cristiana: “Gli ebrei sono quelli che hanno crocefisso Gesù!”. Per molti secoli la chiesa ha alimentato nel popolo questa convinzione demagogica che serviva a giustificare la persecuzione e l’eliminazione della “concorrenza” religiosa. La comunità religiosa degli ebrei era sparsa in tutta l’Europa, e costituiva sempre un corpo estraneo in una società in cui la chiesa voleva essere l’unica autorità, non solo religiosa, ma anche culturale e politica. Solo per la loro esistenza, gli ebrei erano un pericolo costante per una società medievale dominata dalla religione cristiana. Il loro costante rifiuto di farsi cristiani era una specie di delegittimazione della validità universale della fede cristiana. Così è nato l’odio e anche la spiegazione “teologica” per quest’odio. L’idea della “colpa collettiva” degli ebrei per la morte di Gesù fu praticamente la condanna a morte per decine di migliaia di essi. Questa convinzione si mantenne molto a lungo, a livello più o meno conscio, in vasti strati della popolazione.
Agli ebrei, nel medio evo, fu addebitata la pestilenza Questa è una variante dell’odio di origine cristiana descritta sopra. Nel medioevo, la peste fu una delle malattie più terribili e più temute capace di annientare decine di migliaia di persone e di spopolare intere regioni. L’origine era misteriosa, e dalla convinzione che fosse il diavolo a mandare la peste in terra fino a dare la colpa agli ebrei (che avrebbero avvelenavato i pozzi) il passo non era lungo. Numerosi teologi cristiani (come p.e. Johannes Chrysostomos o l’arcivescovo Agobardo di Lione) avevano attribuito a gli tutti ebrei un carattere criminale e così, gli ebrei erano facilmente individuati come quelli che scatenavano periodicamente la peste per eliminare i cristiani. Un’altra teoria sosteneva che la peste era una punizione di Dio per il fatto che i cristiani tolleravano gli ebrei nelle loro città. Comunque sia, i risultati erano gli stessi: ogni volta che il flagello della peste colpì l’Europa aumentarono le sommosse popolari antisemite, i massacri e saccheggi, spesso con il tacito consenso – se non con l’appoggio attivo – delle autorità. Un esempio per tanti casi simili: nel 1349, a Strasburgo, furono sepolti vivi 2.000 ebrei ritenuti responsabili di quella terribile epidemia.
Durante il Concilio Laterano del 1215 il Papa Innocente III, un nemico giurato degli ebrei, fece rilasciare una serie di norme che dovevano segnare il destino degli ebrei per molti secoli. Vietò per esempio ai cristiani di prestare soldi contro interessi e consigliò di escludere gli ebrei dalle altre associazioni professionali. Successivamente, quasi tutte le associazioni professionali, riferendosi a queste prescrizioni della chiesa, vietarono agli ebrei l’esercizio della loro professione e costrinsero questi a delle attività professionali (cambiamonete, prestasoldi etc.) che il popolo, comprensibilmente, odiava. Tutti, anche i contadini più poveri, dovevano rivolgersi prima o poi a un ebreo per farsi prestare dei soldi e ogni raccolta andata male portava a un odio crescente verso di loro. Ma anche gli imperatori avevano un gran bisogno di denaro, motivo per cui di solito i poteri imperiali erano molto più tolleranti nei confronti degli ebrei dai quali spesso dipendevano.
Relegati da leggi religiose e civili nei loro ghetti, periodicamente perseguitati e anche sterminati, gli ebrei svilupparono una forte identità culturale che li fece sopportare e sopravvivere. Ma il loro essere diversi che si vedeva anche nel modo di vestirsi e in molte abitudini quotidiane, la loro “resistenza culturale”, li rese ancora più oggetto di sospetti e di attacchi ingiusti. Colui che è diverso è tendenzialmente pericoloso. E questo valeva non solo per la società medioevale, ma anche oggi.
La versione più recente dell’antisemitismo è quella inventata dai nazisti per canalizzare e deviare i mille motivi di scontentezza e di rabbia del popolo contro una facile preda e per dare una semplice “spiegazione” alle molte ingiustizie nel mondo che molta gente non riusciva a spiegarsi. In tutti i governi, in tutte le organizzazioni internazionali si potevano trovare degli ebrei, anche in posizioni importanti, e così era molto facile trovare delle “prove” per questa assurda affermazione. Secondo la teoria di Hitler l’antisemitismo doveva diventare così una lotta di tutti i popoli contro un nemico universale. Per essere giustificato, lo sterminio sistematico aveva bisogno di una motivazione più forte, più “politica” e non solo etnica o religiosa.
L’uomo primitivo, odia ciò di cui ha paura, e in alcuni strati della propria anima anche l’uomo colto è primitivo. Anche l’odio dei popoli e delle razze contro altri popoli e razze non si basa sulla superiorità e sulla forza, ma sull’insicurezza e la paura. L’odio contro gli ebrei è un complesso di inferiorità umiliante. Più fortemente e più violentemente questa brutta sensazione nella veste della superiorità, più è certo che dietro si nascondano paura e debolezza.
Possiamo distinguere l’antisemitismo di due tipi: quello religioso e quello razziale.
C’è chi attribuisce alle due citate tipologie determinati periodi storici, io ritengo, nel rispetto delle altrui opinioni, che a prevalere sia stato quello razziale, che successivamente è stato consolidato e accresciuto dall’antisemitismo religioso.
La storia del popolo ebreo è stata una controversa serie di avvenimenti che hanno avuto come elemento protagonista un pezzo di terra su cui crescere e prosperare. E’ successivamente che la loro religione, monoteista, unica in assoluto, iniziò a scontrarsi con quelle politeiste dei popoli dell’area mediorientale.
Approfondendo le origini dell’ antisemitismo, rileviamo che queste sono antichissime. L’antisemitismo era alquanto diffuso, lungo i paesi del Mediterraneo, tra il quarto e il terzo secolo avanti Cristo, ovvero quando si ebbe la prima emigrazione giudaica. Sugli ebrei si son fatte circolare non poche leggende, narrate dai cattolici sino alla fine del diciannovesimo secolo, e riprese dai musulmani. Tacito, il più grande tra gli storici, che poco o nulla sapeva di Israele, raccontava citando gli Ebrei – come taeterrima gens, «pervicacemente superstiziosa», e soprattutto «odiata dagli dei» che arrivava al punto di idolatrare una testa d’ asino. Un altro storico, Apione, diceva che nel loro Tempio compivano sacrifici rituali di stranieri, ingrassati a forza. E come disse Mark Twin «la storia della razza umana, e l’esperienza individuale di ciascuno di noi, sono completamente punteggiate dall’evidenza che una verità non è difficile da uccidere e che una menzogna ben detta è immortale». E purtroppo ancora oggi, le non poche menzogne immortali pare che tengano banco in giro per il mondo. L’evoluzione sociale e tecnologica ancora non è stata sufficiente a far comprendere e pertanto superare l’idiozia che si cela in queste menzogne, spesso elementi destabilizzanti di intere aree geografiche. Non è qui la sede giusta per argomentare di politica, ma consentitemi una piccola parentesi. Queste menzogne sappiamo bene e anche i sostenitori di queste spesso sanno che trattasi di vere e proprie imbecillità, ma a loro fanno comodo. Sono veicoli pubblicitari per il sostegno fanatico di genti che non hanno avuto quella sufficiente crescita culturale per discernere la verità da una bugia. Troppe guerre, troppe morti ci sono state solo per aver creduto o voluto far credere a non poche menzogne “immortali”. Menzogne che consolidano e rafforzano l’odio razziale che inequivocabilmente viene tramandato alle future generazioni. A questo, per correttezza e per completezza informativa, non posso tacere che queste “menzogne” sono cavalcate anche da quel mondo occidentale più acculturato e pseudo democratico. Solo che gli interessi di alcune lobbie non si fanno scrupoli a calpestare il buon senso e la verità.
Provo a dare una spiegazione a questo antisemitismo, cosa che non mi pare semplicissima. Tra i popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente, gli Ebrei erano solo loro a praticare una religione Monoteista. Mentre gli altri popoli possedevano un caleidoscopio di dei, gli Ebrei avevano un solo Dio: unico, esclusivo, immutabile, che non era mai nato come gli dei greci e non terminava la sua esistenza/presenza come quelli egiziani. Il Dio ebraico era immenso, potente, buono, ma alla necessità sapeva essere anche tremendo. Ulteriore peculiarità importante era (ed è ancora) che non poteva essere rappresentato con immagini umane o di animali. Il loro dogma imponeva l’osservanza della Legge divina, praticando i riti che tale legge divina imponeva. Gli ebrei dovevano svolgere una vita rivolta esclusivamente all’osservanza delle leggi e disposizioni religiose che consentivano in questo modo di mirare e raggiungere la purezza. Non si poteva condividere la tavola con i pagani, parlare la loro lingua. Un sistema di vita “austero” indipendente, se non proprio isolato, cosa questa che sicuramente in un contesto plurireligioso, come logica vuole, destava irritazione e facili antipatie. Lo stesso Tacito li definisci “misantropi” che vivevano “separati a tavola”. Nessuno straniero doveva entrare, pena la morte, nel Tempio di Gerusalemme. Inoltre nessun ebreo doveva venerare le statue degli altri dei o degli Imperatori.
Il popolo ebreo sin dall’inizio manifestò una passione ardente verso il proprio credo religioso, forse unico, dando vita così, come era naturale che fosse, ad una corrente più tollerante e una fanatica come i Zeloti, che nel 66-70 d.C. difesero contro i Romani il Tempio di Gerusalemme.
Tornando nel mondo del politeismo non penso sia errato ritenere questo mondo un bellissimo cosmo come quello egiziano o greco, dove l’essenza divina si moltiplicava in migliaia di forme, il sacro veniva rappresentato in ogni figura, sia astratta sia animale sia umana; e dove cento rapporti legavano tra loro le divinità, fino a farci intravedere, dietro le differenze apparenti, la parola segreta di un solo Dio! Da ciò consegui un fanatismo religioso di gran lunga inferiore a quello del monoteismo ebreo, cristiano, ed islamico.
La vita separata, appartata del popolo ebreo fu l’elemento scatenante la curiosità e soprattutto l’ immaginazioni dei popoli antichi.
Ci si chiedeva quale era il vero Dio d’Israele? Cosa accadeva nel Tempio di Gerusalemme, dove i pagani non potevano entrare? Qual era il nome segreto di Jahwe, ignoto persino al suo popolo? Quando sarebbe venuto il Messia, il Cristo? Qualcosa colpì l’immaginazione e le fantasie del tempo quando nel 63 a.C.. Pompeo Magno entrò nel Tempio di Gerusalemme. Entrò addirittura là dove la fede ebraica ritiene esserci il Santo dei Santi. Una piccola stanza dove aleggiava lo Spirito di Dio, e dove solo il Sommo Sacerdote poteva entrarci una sola volta l’anno. Pompeo Magno di chiarò pubblicamente di non aver visto nulla e che la stanza era completamente vuota. Ciò innestò perplessità e sospetti e non dimentichiamo che stiamo parlando di eventi accaduti circa 2000 orsono, in un ambito culturale particolarmente soggiogato dalle varie fedi religiose.
Nel corso del primo secolo dopo Cristo, dall’ebraismo si distaccò dal Cristianesimo. Quasi tutto il Nuovo Testamento fu ritenuto scritto contro i Giudei.
L’affermazione che Gesù è il figlio di Dio incarnato e che poi è morto e risorto è stato ritenuto scandaloso, perché Dio non assume mai né tanto meno che possa morire e poi risorgere. Per gli Ebrei, Gesù era soltanto un falso Messia: un Messia eretico; qualcuno di loro lo trovava “un uomo saggio”; qualche altro (non Pilato) lo fece uccidere. Una generazione più tardi, il sommo sacerdote sadduceo, Anano, ordinò di lapidare Giacomo, fratello[1] di Gesù, capo della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. Molti Farisei, ancora vicini ai giudeo-cristiani, non approvarono questa uccisione. Diremo che era la follia o meglio l’ignoranza di quei tempi.
Penso proprio di no in quanto non possiamo dimenticare che quei morti innocenti si moltiplicarono durante venti secoli successivi in milioni di morti ebrei e non solo quelli sterminati da Hitler. Purtroppo, la passione religiosa accende la fantasia, risveglia l’immaginazione, dà forza e movimento alle idee, costruisce edifici intellettuali, dando spazio rinfocolando la follia umana. Ricordiamo che la passione politica (e non solo) nel corso del XX secolo ci ha condotto al nazismo e al comunismo che hanno agevolmente attraverso apatia e indifferenza ad Auschwitz e alla Kolyma[2].
Dopo la metà del secondo secolo dopo Cristo, Israele rinunciò di realizzare il regno di Dio in terra. Seguirono i secoli oscuri. Penso sia condivisa l’espressione o meglio la valutazione che gli Ebreri cominciarono ad essere definiti e ritenuti il sale della terra. Israele accettò di porre il collo “sotto il gioco delle potenze terrene”, come aveva detto Geremia[3]. Israele visse bene, o relativamente bene, sotto il dominio dei Califfi e dei signori islamici, immerso nel profumo dell’Islam, come ha raccontato stupendamente Abraham B. Yehoshua [4]in Viaggio alla fine del millennio (Einaudi). Gli Ebrei vissero male o malissimo sotto il dominio dei re, dei papi e dei sacerdoti cristiani, perseguitati per il deicidio che avevano commesso (e che avevano effettivamente commesso, senza saperlo): sfruttati, derubati, uccisi con la spada, sgozzati, bruciati, stuprati, costretti con la forza alla conversione. La causa principale di questa persecuzione sono i Vangeli, le Lettere di San Paolo, gli Atti degli Apostoli e soprattutto l’Apocalisse: testi fatalmente antisemiti, perché la nuova religione si liberava con violenza dalla antica Madre. La storia si ripeté quindici secoli dopo, tra luterani e cattolici.
Israele visse in segreto dal III al XVIII secolo, leggendo la Bibbia, interpretandola secondo la lettera, i simboli e le speculazioni numeriche, cercando testi arabi, cristiani e greci, creando grandiosi miti cosmogonici e teologici, come nel sedicesimo secolo la Cabala di Izchak Luria. Allora, gli ebrei immaginarono un doppio atto creativo da parte di Dio. In un primo momento, Egli si espande, si allarga, si apre, si manifesta, ispirato dalla forza dell’amore, gettando nello spazio la luce delle sue emanazioni, le dieci Sefirot. Questa luce è troppo sfolgorante, perché lo spazio possa sopportarla; e viene contenuta e fasciata in dieci “vasi”. La sorte dell’universo resta in bilico per un istante. La forza della pura luce divina è così sovrastante, così “tremenda e meravigliosa”, che non sopporta adombramenti. I “vasi” delle sette Sefirot inferiori si frantumano sotto l’urto violentissimo della luce; e le scintille divine si sparpagliano in ogni angolo della futura creazione – negli uomini, ebrei o gentili, negli animali, nei laghi, nei ruscelli, nei fiumi, nei mari, nelle pietre, nelle erbe, nei cibi, nel Male. Le scintille divine sono dovunque: ma esiliate, degradate, avvilite, prigioniere delle potenze demoniache. Tutto viene macchiato, spezzato, frantumato. Tutto è desolazione e disperazione.
La Shechinà, il volto femminile di Dio, percorre esiliata le contrade dell’universo. Ora brilla soltanto di una debole, pallida, luce riflessa, come la “sacra luna”: menomata, rimpicciolita, coperta d’ombra. Ora è una principessa che il padre e la madre hanno cacciato, senza colpa, dal regno: ora è una donna bellissima, che un pirata ha reso schiava; ora una vedova vestita di nero, che piange ai piedi del Muro di Gerusalemme; rapita, calunniata, esposta a tutte le debolezze umane. Avvolta in manti che le nascondono il viso, essa fugge, scompare, si nasconde – e sulla terra restano poche tracce: orme di passi, vesti abbandonate, fuscelli di paglia.
Durante uno dei suoi viaggi, un rabbi polacco arriva, verso il far della notte, in una piccola città dove non conosce nessuno. Non trova alloggio, fino a quando un conciatore lo conduce con sé, nel triste vicolo dei conciatori. Egli vorrebbe dire le preghiere della sera, ma l’odore della concia è così acuto che non riesce a pronunciare una sola parola. Esce e va alla scuola rabbinica, che tutti hanno già lasciato. Mentre prega a capo chino, comprende che anche la Shechinà è finita in esilio, abbandonata nel vicolo dei conciatori. Scoppia a piangere per l’afflizione, versa tutte le lacrime che la sofferenza e l’angoscia avevano raccolto nel suo cuore, finché cade a terra svenuto. Mentre giace esanime, la Shechinà gli appare nella sua gloria: una luce abbagliante in ventiquattro gradazioni di colori. “Sii forte, figlio mio”, gli dice. “Grandi dolori ti attendono: ma non temere finché io sarò presso di te”. Sebbene la gloria di Dio sia stata umiliata e ferita, essa splende come sempre. Le piccole scintille divine si sono diffuse in ogni luogo, come il lievito che penetra il pane. Tutto è diventato sacro.
Due secoli or sono, i ghetti si aprirono. Gli Ebrei vennero alla luce, ebbero un cognome, entrarono all’Università, scrissero, composero musica, studiarono la scienza e il diritto, insegnarono, diressero Banche, industrie e giornali. Fu l’esplosione più grandiosa della storia europea: una immensa vitalità e intelligenza percorsero all’improvviso le vene dei nostri paesi. Questa esplosione ha una sola analogia: quella dell’Islam, nel settimo, ottavo e nono secolo, quando gli Arabi conquistarono paesi, appresero il greco, studiarono le scienze, fabbricarono automi, costruirono moschee imitando le basiliche cristiane, assorbirono la eredità della religione zoroastriana, raccontarono al mondo le Mille e una notte. Quale forza trassero gli Ebrei da una vita vissuta, per diciotto secoli, sotto il segno dell’immaginazione religiosa e della intelligenza talmudica. La letteratura, la scienza e la psicologia del diciannovesimo e specialmente del ventesimo secolo sono, per metà, dovute ad ebrei, o a mezzi ebrei, nei quali la goccia del sangue giudeo dava nuovo vigore a quello cristiano.
Venuti dalla Russia, dalla Spagna, dalla Polonia, dal Medio Oriente, gli ebrei diventarono francesi, tedeschi, italiani, inglesi meglio dei francesi. Con la loro straordinaria qualità di metamorfosi, diventarono come noi. Le sofferenze e i massacri erano dimenticati: non c’era più né Bibbia, né Shechinà vagabonda, né il suono delle trombe d’argento davanti al Tempio, né il nome segreto di Dio. Ricordo, per esempio, la famiglia di Simone Weil, completamente ebraica, dove c’era lo stesso profumo che nella casa di Proust: ma più antico e profondo, perché la famiglia della madre di Simone veniva dalla Galizia. C’era lo stesso sapore di Francia borghese: la buona cultura, l’agio nascosto, i bei modi eleganti, la finezza psicologica, la musica, l’arte della conversazione, la discrezione, la gaiezza sapientemente velata con la malinconia – come se soltanto il sangue ebraico potesse portare il genio della Francia borghese alla sua espressione più pura.
In questa entusiastica aderenza alla civiltà occidentale, gli Ebrei guadagnarono e persero molto. Qualcuno di loro, come Simone Weil, odiò (senza conoscerla) la propria eredità biblica. Qualcuno la ignorò completamente. Avevo un amico carissimo, Giorgio Bassani, che era vissuto a Ferrara, borghese ebreo tra borghesi cattolici, con appena un lieve ricordo di cucina giudaica e di candelabro dalle sette braccia. Molti anni fa, gli feci leggere un mio saggio su Nachman di Breslav, un narratore chassidico del diciottesimo secolo. Mi guardò coi suoi dolcissimi e durissimi occhi azzurri e mi disse: “Pietro, che cose strane hai raccontato!”. Quasi soltanto Kafka comprese che qualsiasi sradicamento dalla tradizione si paga. Con ogni probabilità, anche noi, cristiani, lo pagheremo. Ma gli Ebrei lo pagarono troppo.
Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, l’antisemitismo fu soprattutto borghese. I medici, gli ingegneri, gli scrittori, gli avvocati, i giornalisti, gli scienziati cattolici o protestanti erano invidiosi degli ebrei, perché erano più intelligenti e fantasiosi di loro. Non invano essi portavano, occultata nel sangue, la Bibbia. La borghesia europea dell’Ottocento fu, in buona parte, antisemita: perfino mio padre, il più mite tra gli uomini. Tutto questo ha condotto ad Auschwitz. Alle vecchie leggende e ai nuovi rancori, bastò aggiungere il genio criminale di un pittorucolo austriaco.
Tra le scoperte degli Ebrei, oltre alla Recherche, Il Castello, la psicoanalisi e la Teoria della relatività generale, ci fu anche la Rivoluzione Russa. Non voglio scoprire dappertutto segni genetici: ma forse, come molti hanno scritto, Lenin e Trockij avevano il desiderio nascosto di realizzare con la forza il regno di Dio in terra, come venti secoli prima i giudei Zeloti, ribelli contro Roma. Ma Stalin li espulse, li esiliò, li massacrò, li accusò di congiure immaginarie. Anche in Russia, paese dell’impossibile, gli Ebrei restarono separati, diversi, stranieri: anche là non appartenevano alla terra, della quale non hanno mai veramente fatto parte. Questa è, per noi, la loro benedizione.
Mi scuso di una breve appendice contemporanea. Ho letto che, a Oslo, i giurati del Premio Nobel per la pace avrebbero voluto togliere il premio a Peres, perché partecipa al governo Sharon. Arafat, assediato a Ramallah con la sua patata bollita al giorno, come Pinocchio con le pere e le bucce di pera nella casina di Geppetto, è invece degno di qualsiasi Premio. Mi pare giusto che coloro che danno i Premi e conferiscono la Gloria contendendo con l’eternità, si coprano di vergogna più di qualunque essere umano.
L’Europa del 2002 non sopporta che venga meno un suo luogo comune. Dopo Auschwitz, l’ebreo è la vittima: gasata nei campi di concentramento nazisti, morta di gelo tra i pini nani della Kolyma, sulla quale si possono piangere dolcissime lacrime sentimentali. Nulla è più commovente che una gita ad Auschwitz con una scolaresca, a cui insegnare ad essere buoni. Non si tollera che questo popolo di vittime predestinate abbia dei carri armati. Il massimo che gli si può concedere è andare al ristorante o al bar, ordinare una spremuta di pompelmo e persino un whisky, camminare per le strade di Gerusalemme o di Haifa, saltando per aria sotto le bombe dei kamikaze, questi nuovi Cristi che si immolano, come dice soavissimamente Giulio Andreotti, per la salvezza del genere umano.
[1] Padre Filippo Belli, docente di Sacra Scrittura ha asserito in merito: In effetti nel Nuovo Testamento si parla dei fratelli di Gesù – e delle sorelle a volte – in vario modo in più di un passo. In contesti diversi sono una decina i brani che li riguardano (Mt 12,46-50; Mt 13,55-56; Mc 3,31-35; Mc 6,3; Lc 8,19-21; Gv 2,12; Gv 7,3-5.9; At 1,14; 1Cor 9,5; Gal 1,19). A partire da questi passi si possono anche individuare i nomi dei cosiddetti fratelli del Signore: Giacomo, Joses (o Giuseppe); Giuda e Simone, tre dei quali sono anche stati ritenuti apostoli dalla tradizione.
Che cosa impedisce in effetti di considerarli realmente come fratelli di sangue di Gesù? In teoria nulla. Ma una serie di considerazioni di vario ordine hanno condotto la Chiesa, fin dagli inizi, a valutare questo dato del vangelo non in maniera diretta e immediata (veri fratelli dello stesso padre e della stessa madre), ma in maniera indiretta (cugini o fratellastri).
[2] La Koylma è una regione del nord est della Siberia. La regione della Kolyma prende nome dall’omonimo fiume. E’ ricchissima di minerali ed estremamente inospitale. Nella Kolyma si registrano i climi più estremi dell’emisfero settentrionale. Si calcola che nei gulag della Kolyma siano morte oltre tre milioni di detenuti. Dalla fine degli anni ’20 del Novecento, alcuni milioni di dissidenti e di ebrei vennero deportati e sfruttati, in condizioni ambientali disumane, per scavare nei giacimenti d’oro, per costruire strade, per disboscare e raccogliere legname. Il 27 gennaio, “Giorno della Memoria”, è stata ricordata la “Shoa”, i 6 milioni di ebrei morti nei forni crematori di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Mauthausen, di Treblinka, di Bergen-Belsen, di Oranienburg e degli altri lagher nazisti. E riscuote un meritato successo di critica e di pubblico il film “Il figlio di Saul” del regista ungherese Laszlo Nemes, che racconta in modo magistrale l’orrore dei campi di sterminio hitleriani. Ma nessun giornale e nessuna rete televisiva ha ricordato i 60 milioni di dissidenti e di “nemici del popolo sovietico” morti di stenti nell’inferno di Kolyma e degli altri gulag stalinisti.
[3] Geremia, figlio di Helkia della tribù di Beniamino, fu un profeta biblico, ritenuto autore dell’omonimo Libro e del Libro delle Lamentazioni. Questi due libri sono parte della Bibbia e sono riconosciuti da tutti i canoni vetero-testamentari.
[4] vive ad Haifa nella cui università insegna Letteratura comparata e Letteratura ebraica. Ha vissuto a Parigi per quattro anni, dal 1963 al 1967 e lì ha insegnato. A Parigi ha ricoperto anche l’incarico di Segretario Generale dell’Unione Mondiale degli Studenti Ebrei.