IL PENSIERO MEDITERRANEO

Incontri di Culture sulle sponde del mediterraneo – Rivista Culturale online

PAROLAI di Paolo Vincenti

Parole parole parole

All’ennesima riunione di lavoro, l’altra sera, non sono riuscito a trattenere un moto di stizza e sono uscito dall’aula abbandonando gli astanti coi quali la mattina dopo mi sono prontamente scusato addebitando allo stress accumulato negli ultimi tempi la causa della mia intemperanza (chiave universale, scusa sempre valida per ogni giustificativo, lo stress può essere invocato e, come il cacio sui maccheroni, sta bene dappertutto, anche sui certificati medici per i lavativi). Però il mio disappunto resta. Perché la gente impiega tanto tempo a parlare, sprecando un’ora e mezza, anche due ore, per argomenti che potrebbero essere efficacemente sintetizzati in mezzora? Maledetti logorroici e perdigiorno. Non sopporto i parolai, che mi costringono a sprecare il tempo in bubbole. In videocall o in presenza, il mio lavoro è ormai contrappuntato da innumeri e infinite riunioni.

Quello che è peggio è che i colleghi pare non abbiano la stessa mia esigenza di stringere i tempi, ossia terminare la riunione per poter passare ad altro, ma se la prendono comoda ed aggiungono altri punti del giorno a quelli in scaletta sicché il breafing si trasforma in una seduta plenaria, diventa sfiancante, come l’ostruzionismo che fanno le opposizioni in Parlamento, presentando mozioni su mozioni, per allungare i tempi e costringere la maggioranza alla resa su alcuni argomenti fortemente controversi. Ci vorrebbe la sala riunioni inventata dalla Diesel di Renzo Rosso, The capsule. Devo proporla ai miei colleghi. Si tratta di una sala volutamente piccola e scomoda posta su un piano inclinato, con un timer di 15 minuti. I convegnisti sono costretti a sbrigarsi. Allo scadere dei 15 minuti, il box comincia a inclinarsi facendo cadere documenti, telefonini e tutto ciò che è sul tavolo e quindi occorre chiudere la riunione tirando le somme. Chissà se The capsule è ancora in produzione.

Mi capita spesso nella presentazioni dei libri che il pubblico in sala intervenga a fine serata, così anche nei convegni o incontri di studio cui prendo parte come relatore. Quando alla fine degli interventi degli studiosi si lascia la parola al pubblico, spesso la serata si allunga smoderatamente perché coloro che intervengono non conoscono, o fanno di finta di non conoscere, i tempi medi di attenzione del pubblico, non posseggono minimamente il senso della misura. Non lo posseggono, in verità, nemmeno gli studiosi, che non rispettano mai i tempi imposti dagli organizzatori del convegno ma si allargano, si allungano, sforano, debordano, nella acquiescenza del moderatore che non è in grado di svolgere il compito assegnatogli, proprio quello di moderare. Quando mi capita di essere io a farlo, utilizzo ogni metodo per costringere il relatore logorroico a capitolare, a partire da un gentile invito a chiudere la relazione, per giungere ad un blando ammonimento fino ad un esplicito e perentorio invito a zittirsi, pure a costo di sembrar scortese. Mi manca solo di usare la trombetta da stadio come fa il fazioso Paolo Del Debbio nella sua triviale trasmissione televisiva su Rete 4 per calmare gli animi sempre troppo accesi in quello studio pollaio. Quando poi a prendere la parola sono i presenti in sala, non esistono argini che tengano. Si tratta quasi sempre di studiosi locali o semplici appassionati dell’argomento trattato i quali, esclusi dai circuiti più importanti o accademici, non necessariamente per demerito ma perché fanno un altro lavoro, ne approfittano per sfoderare tutto il proprio sapere e riversare addosso ai poveri astanti un fiume di parole, concetti, date, riflessioni personali che il più delle volte non c’entrano con l’argomento trattato, solo per farsi ascoltare ed avere il proprio quarto d’ora di celebrità. Si impossessano del microfono e non lo mollano più, continuano imperterriti con la loro sicumera. In quelle occasioni, io vorrei guadagnare la più vicina uscita e darmela a gambe, cosa che posso fare se sono nel pubblico ma non mi posso permettere se siedo al tavolo dei relatori.

Quando incontro qualcuno di questi dannati logorroici in qualche luogo di convegno sociale, come il bar, l’edicola, il supermercato, cerco di evitarli, ma non sempre ci riesco. Ecco allora che mi tocca sopportare la loro ostentazione, perché tale è l’incontinenza verbale del ciarliero. Il cane rabbioso a volte mi insegue fino alla macchina continuando ad assalirmi con le parole. Io, che ho fatto una regola di vita del motto less is more, proprio non capisco questi verbosi rompiscatole che non usano il garbo e la raffinatezza e si sperticano per farsi ascoltare ed allungare il più possibile un brodo divenuto una broscia. Che inopportuni, questi parolai.

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