“Papa Galeazzo” La Maschera Salentina Più Famosa
DI MAURIZIO NOCERA
«Quistu è lu cuntu te papa Caliazzu/ ka na matina se zzau paonazzo/ poi se tirau/ poi se stirau/ pure lu pete/ ku rria se minte l’abbitu de prete».
Nella leggendaria storia di Papa Galeazzo (al secolo don Galeazzo de Palma), strambo arciprete di Lucugnano di Lecce, probabilmente attivo – secondo lo storico Giovanni Cosi – tra 1589 e il 1591 (e comunque prima del 1623), una delle tante stranezze sta nel fatto che egli non sia mai stato raffigurato come maschera né in teatro né altrove.
Tanto meno durante i tanti eventi carnevaleschi, salvo eccezioni ovviamente. Nel Salento esistono altre maschere tipiche spesso rappresentate. Ad esempio, U Titoru di Gallipoli, ossia la maschera di Teodoro. Tradizione vuole che Teodoro fosse un giovane gallipolino che, tornato dal militare, chiese alla madre un piatto di polpette, il suo preferito, prima dell’inizio del digiuno quaresimale. La madre accontentò il figlio, ma questi mangiò tante di quelle succulente polpette da morirne strangolato. Durante gli eventi carnevaleschi gallipolini (febbraio di ogni anno) la rappresentazione di U Titoru avviene mediante un gruppo di maschere trainanti un carretto, sul quale giace morta la maschera con affianco la madre e un gruppo di “donne” (le prefiche o chiangimorti), rappresentate sempre da giovani maschi vestiti appunto da donna.
Un’altra tipica maschera salentina è quella dello “gnomo” chiamato Laurieddhu, oppure Scazzamurieddhu, Monachicco, Monaceddhu, Uru, altri nomignoli ancora. Durante gli eventi carnevaleschi, oppure nelle feste paesane, c’è sempre qualcuno che riprende questo personaggio in maschera. Presumo che la sua origine stia nel periodo tardo medievale, oppure durante il primo Rinascimento. I racconti popolari lo descrivono come uno dei tanti gnomi della favolistica europea: alto cinquanta centimetri, faccina da pagliaccio, cappellino rosso, pantaloni stretti e giacchetta nera. L’immagine è un po’ quella che vediamo nelle tante raffigurazioni di pertinenza gnomica. Secondo la leggenda il suo apparire era sempre di notte, mentre la gente dormiva. Si divertiva a fare quello che i racconti popolari hanno tramandato, soprattutto tirare via o imbrogliare le coperte e i lenzuoli dei dormienti, in particolare delle dormienti, perché la leggenda vuole che siano proprio le donne a essere disturbate dallo gnomo. C’è pure la leggenda intorno alle paure del Laurieddhu come, ad esempio, il suo terrore per gli odori forti (aglio, cipolla), che non riusciva a sopportare, come pure il terrore che aveva di perdere il cappellino che, in Salento, corrisponde alla coppola contadina, o al berrettino a calza dei pescatori. Una leggenda vuole pure che si tratti in realtà di una sorta di codice femminile, cioè di una giustificazione a qualche scappatella della moglie (o fidanzata) che, davanti all’evidente stato di disordine della stanza da letto, in particolare del letto matrimoniale, la signora giustifichi la situazione asserendo che la colpa è stata dello gnomo salentino.
Scazzamurieddhu
Un’altra figura di machera leggendaria è quella di Cicinella di Cursi, il cui fantoccio dà inizio ai festeggiamenti del Carnevale cursese. C’è poi Mielinadi Melendugno, maschera tipica della località; e ancora Lu Paulinu di Copertino, la maschera rappresentante un contadinotto malvestito ma spiritoso e beone, probabilmente un ex soldato spaccone e che, un tal giorno del periodo carnevalesco, morì per indigestione proprio come U Titoru di Gallipoli.
Ma torniamo a Papa Galeazzo. Si diceva che la sua maschera quasi mai è apparsa nei carnevali o nelle feste popolari. Eppure il suo personaggio è talmente caratteristico e profondo nella coscienza popolare, soprattutto nella mente delle genti del basso Salento da non essere da meno di un Pulcinella o di un Pantalone, o di un Arlecchino, o ancora di un Balanzone, Brighella, Burlamacco, Farinella, Gianduia, Pantalone de’ Bisognosi, Scappino, Stenterello, Orazio, Franceschina, Coviello, Zampicone, Tartaglia, il Mago, il Capitano, il Re, il Dottore, il Soldato, il Cieco, altre maschera ancora. Ci sarà pure un perché tale personaggio, forse leggendario ma probabilmente anche realmente esistito, sia rimasto confinato solo nell’ambito provinciale?
Credo che ciò sia dovuto all’opposizione nei confronti di tale prete di campagna da parte di differenti caste sociali salentine che, per secoli, hanno consigliato di non dare tanto credito alle storie che lo riguardavano. Tuttavia il personaggio è resistito e resiste ad ogni tempo se è vero che, come si scrive da più parti, la sua leggenda nasce con una sua fantomatica presenza a Lucugnano sin dal XVI secolo.
Un tempo, la leggenda di questo prete burlone si tramandava solo per via orale, poi, nel 1894 lo studioso Ruggero Rizzelli (Galatone, 15 marzo 1863 – Galatina, 12 maggio 1922) pubblicò il primo libro che si conosca sulla storia dell’arciprete lucugnanese, contenente 66 aneddoti. La prima edizione de volume, già rara, è tuttora reperibile in un opuscolario della Biblioteca Provinciale “N. Bernardini” di Lecce (colloc. XXXII-E-292) (si tratta dell’esemplare che l’autore inviò a Cosimo De Giorgi e che poi quest’ultimo donò alla Biblioteca provinciale), il cui frontespizio recita questo:
«Pubblicazione Periodica Settimanale/ Galatina 11 Marzo 1894/ Gli aneddoti di Papa Galeazzo/ per Ruggero Rizzelli/ Centesimi 10 la dispensa/ Prima Dispensa/ Lecce/ Prem[iato] Stabilimento Lito-Tipografico/ Luigi Lazzaretti e Figli/ 1894». La prima pagina riporta un ritratto dell’arciprete, firmato Buia. Si tratta di un ritratto interessante da vedere, perché ritrae un uomo del tutto differente rispetto alla comune immagine galeazzana: si scorge il busto di un uomo sui 45-50 anni, assai robusto, vestito con l’abito talare e il colletto bianco ricamato, i capelli lunghi brizzolati coperti da una kippah, sopracciglia sottili e baffetti e mosca alla D’Artagnan. In altra parte della prima dispensa si annuncia che
«L’opera si compone di 20 dispense a Cent. 10 ciascuna, chi desidera abbonarsi spedisca Cartolina vaglia di L. 2 all’autore in Galatina».
L’introduzione ha per titolo Domenico Galeazzo e il suo tempo, ed è firmata dallo stesso autore.
In tempi moderni, questa introduzione è stata ripresa per intero nel libro Li culacchi de Papa Galeazzo/ Cuntati in dialettu da Carlo V. Greco e Niny Rucco (Congedo, Galatina, 1997). Li culacchi de Papa Galeazzo/ Cuntati in dialettu
I capitoli della prima dispensa sono: Il Vescovo trappitaro; Hecce Agnus Dei; Galeazzo che dà gli esami di Chierico; Galeazzo agli esami di Scienze naturali (qui finisce la prima dispensa, che riporta un disegno, presumo dello stesso Buia: si tratta di un interno della chiesa con Papa Galeazzo, vestito di tutti i suoi paramenti, che bacia sulla fronte una giovane sposa in abito nuziale). Segue un annuncio dei capitoli «della prossima dispensa», che sono: Il passaggio del Mar Rosso; Galeazzo e l’aritmetica; Nec prope nec proculo; Galeazzo che riacquista la piastra; Galeazzo prende possesso dell’arcipretura; Ad Culos/ Per Istan Santam Unctionem; Per precauzione; Le bestemmie e il digiuno. Alla p. 17, terza di copertina si annuncia l’edizione illustrata e che l’abbonamento è di L. 2.40, mentre «il sommario della prossima dispensa» conterrà i seguenti capitoli: 1. Lu cutrubbu di Papa Caliazzo; 2. Galeazzo astronomo; 3. La predica e il cocchiume della botte; 4. Secundu cucuzza canta, Pasca è luntana; 5. Il volo della sorella e gli emisferi scoperti; 6. La Maddalena (differenza di tempo).
La seconda dispensa (Galatina, 25 marzo 1894) si apre con un disegno raffigurante un traino tirato da un bue e un contadino che lo guida; sul carretto c’è un enorme acquaiolo (lu cutrubbu) di zinco e la seguente didascalia:
«Grazie, Eccellenza, le manderò un piccolo cutrubbu e quel po’ d’olio che potrà contenere, basterà a togliermi d’imbarazzo».
I capitoli sono: Il barile dopo il Cotrubbu; La Signora (Le parti bianche e quelle nere); Una Vescovessa ed il Cestone; Il Culo e le quattro tempora; La battaglia di Canne; Papa Galeazzo sulla sua terra; Le pitture dei legittimi; Modicum videbitis me; I tre desideri; Una trombonata di Papa Galeazzo; Le reliquie di S. Cristoforo; La barba al Cardinale; Lu Crucifissu de lu feu; Papa Galeazzo si vendica col Vescovo di Alessano che gli disturba la mangiata di fichi; Lu Cristu meu te pizzaca; Secundum Luca; I tre minchioni di Lucugnano; Il ladro nello specchio; Galeazzo a passeggio col Vescovo; Pax tecum; Memento homo; La monaca nel letto di Monsignore; Il porro; In tempo d’estate Galeazzo in camicia e in sottana; Asso di mazze; Galeazzo che compra il vino annacquato; Il pollaio di Papa Galeazzo; La donna è come il caffè; Consigli dell’arciprete di Lucugnano; Il porco; Botta e risposta; I pensieri della Baronessa; Le stelle e la luna; Riflessioni sul matrimonio; Una spiega di Papa Galeazzo; Galeazzo e il Socialismo.// Da Lucugnano a Roma. L’istoria di Balaam; L’occhio di cristallo; Incontro con Sua Santità; Quid petis; Nel tribunale della confessione (I e II parte); Si metta a sedere; Papa Galeazzo nella gran Società; Una risposta a proposito; Gli mancava il manipolo; Le commissioni; Quantu costau lu ciucciu?; Come è [che] entrano i bottoni con le relazioni?; Il forestiero estremunzionato; I fichi; I piedi e le pitite; I Gobbi; A Santa Liberata; I superi di cassa; Gli effetti di una cattiva ripartizione; Lu santu mergu; Il fischietto; La messa di cinque carlini; La tavola alta alta; Asperges me Domine e crammatina pare!; Le litanie con l’organo; La moltiplicazione dei pani; A singolar tenzone; Per una tazza di caffè; Differenza di capo; Precetti e massime di Don Galeazzo.
La storia ci dice che per questo libro il Rizzelli fu scomunicato dal papa. Si sa pure che successivamente lo stesso autore chiese perdono al pontefice, il quale glielo concesse, ed egli, da rinato cattolico, fu autore di altre pubblicazioni e direttore di testate come «La Provincia cattolica di Terra d’Otranto».
Come già detto il libro del 1894 uscì a dispense e, quand’ancora era in vita il Rizzelli, fu nuovamente pubblicato. A partire da quella data si sono succedute diverse altre edizioni. Ora, nel fare l’elenco, indicherò anche gli aneddoti di ogni libro, perché è lì che c’è una particolarità, quella di leggere sempre una differenza tra un’edizione e un’altra, in quanto ogni nuovo editore e curatore hanno aggiunto o tolto aneddoti a seconda del loro piacimento. C’è da aggiungere infine una strana abitudine: chiunque si accinge a fare una nuova edizione degli aneddoti di Papa Galeazzo si sente autorizzato a inserirne dei nuovi, magari inventati di sana pianta. Ecco qui di seguito le differenti edizioni:
– 1912, Gli aneddoti di Papa Galeazzo (Tipografia Economica, Galatina):contiene 135 aneddoti. Questo volume, già presente nella Biblioteca Provinciale di Lecce (colloc. XXXII-E-140), a tutt’oggi risulta ancora irreperibile.
– 1918, Le facezie di papa Galeazzo. Questo volume è tuttora irrintracciabile.
– 1924, Vecchi e nuovi aneddoti di Papa Galeazzo da Lucugnano illustrati (per cura della Tipografia del Popolo, Lecce). Prima edizione. Anche questo volume fu pubblicato in fascicoli (in-4° rifilato con capilettera xilografati), contenente LXXII aneddoti più due capitoli aggiuntivi. Questi: La morte di papa Galeazzo e Il Testamento di Papa Galeazzo. Gli aneddoti sono: Il Bacio della Pace; Il prezzo del ciuccio; Tre minchioni di Lucugnano; La Vescovessa; La penitenza; Sulla sua terra; Lu Crucefisso de lu Feu; L’aria di Lucugnano [questo aneddoto si apre con un disegno dell’illustratore, nel quale, sullo sfondo di alcune case con alcuni alberi di Pinus pinea, sono raffigurati la «Stanza di Galeazzo» e il campanile della chiesa]; Una Confessione …a rispettiva distanza; Lu Cutrubbu; Il Campanello; Pax tecum; I fagiuoli; Papa Galeazzo e i Fioroni; Le sanguette; Lu Cristu meu te pizzeca; Hecce Agnus Dei; Sub Pontio Pilato; Tra Specchia e Lucugnano; Partenza per Roma; L’occhio di cristallo… e i serviziali; Il creatore nella creatura; In sottana e camicia; Di ritorno da Roma; Che novità mi porti?; Le Commissioni; Una testa di Lupo; Il Prefazio; La carne alla finestrella; La tavola alta-alta!; La moltiplicazione dei pani; La morte di Porzia; Gli mancava il manipolo; Differenza di Capo; Le poesie di Papa Galeazzo; Due serve per 50 anni; Il versamento della multa a volo d’uccello; Asperges me domine; I superi di Cassa; Il porro; La monaca nel letto; Il vino annacquato; Non me ne vuol dare…; Una grazia troppo presto; La storia di S. Ilarione; Il flusso e riflusso; Il fischietto; Le litanie al suono dell’organo; Due Patti Eterni; Oh mia Santa Liberata!; Sì, chi ebbe tempo a pensare?; Il Voto della sorella; Natale e Pasqua; Il naso del Barone; I merli di Papa Galeazzo; I capelli del Barone; L’abito di S. Francesco; La Vora di Barbarano; La barba al Cardinale; Le traduzioni di Papa Galeazzo; La predica di S. Giuda; Secundum Luca; Il digiuno caccia il diavolo; Alla festa di Cirimanna; Le sanguette; Lu ciucciu de Papa Galeazzo; Effetti dell’acqua bollente; Secundu cucuzza canta Pasca è luntana; La morte delle bestie; Tutte belle; Il conto delle nostre opere; Bene facisti Porzia.
Confrontando l’elenco degli indici del volume 1894 e questo, si può notare la differenza sia nel numero dei capitoli sia nella titolazione.
– 1953, Le facezie di Domenico Galeazzo ovvero Li cunti de Papa Galeazzucon pagine sparse di poesia dialettale (a cura di Ribelle Roberti, Tipografia Editrice Pajano, Galatina, 20 giugno). Per la prima volta, in prima di copertina, appare il dipinto di un nuovo volto del curato di Lucugnano, oggi conservato nel Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce. Manca la firma del pittore ma, a p. 19, sotto il ritratto, c’è la seguente didascalia: «Domenico Caleazzo [non Galeazzo] Arciprete del Cugnano». Questo ritratto è diverso da quello descritto del 1894; si tratta di un nuovo volto, sul tipo di quello di un contadinotto vestito da prete. Da quel momento in poi, i volti e la figura di Papa Galeazzo saranno a più riprese tratteggiati da altri vignettisti, ognuno immaginandoselo a modo proprio. Il volume del 1953 si apre con una lunga introduzione del Roberti, che scrive:
«il [mio] primo incontro con Papa Galeazzo, risale agli anni di guerra del 1915-18 […] che, una sera, in una vecchia sala di biliardo [sita alle spalle dell’attuale Banco di Napoli ora adibita a deposito di tessuti], mi si presentò d’innanzi Papa Galeazzo in tutta la sua adiposa scurrilità./ A presentarmelo, in una serie di aneddoti, […] fu un vecchio signore d’altri tempi caduto nell’indigenza […] Lo chiamavano tutti Don Zacheli, aveva oltre 70 anni, […] Egli sosteneva: l’inesistenza di Papa Galeazzo, e che quanto si raccontava di lui altro non era che il frutto di una rozza fantasia popolare. [… In occasione di questa ristampa] è bastato che si divulgasse la notizia che egli torna tra la sua gente perché si incendiasse di curiosità tutta una regione. Che cosa è, io mi domando, di Papa Galeazzo che è ancora vivo, valido e che interessa le nuove generazioni come le passate? Che cosa rende fascinosa questa modesta e quasi grossolana figura di parroco, parzialmente irreale se non del tutto creato dalla fantasia del popolo?» (pp. 1-14).
È evidente che al Ribelle non piaceva il nostro don Domenico. Anzi. Scrive espressamente di fare l’introduzione al volume perché l’editore Pajano glielo aveva chiesto, e lo fa solo strumentalmente perché a lui interessa inserire nel volume un primo elenco di autori in prospettiva di un più completo Dizionario Biografico dei Salentini che, sempre per lo stesso editore galatinese, pubblicherà nell’Almanacco di Terra d’Otranto 1958. L’appendice al volume Le facezie di Domenico Galeazzo, che sta dopo l’indice e la pubblicità, ha il seguente frontespizio:
«Edizioni/ Annuario di Terra d’Otranto/ Lecce/ Ottocento/ Poetico/ Dialettale/ Salentino// 1° Volume/ (di prossima pubblicazione)/ Tutte le poesie dialettali di/ Francescantonio D’Amelio/ Trifone Nutricati/ Enrico Bozzi (Conte di Luna)/ Raffaele Pagliarulo (Raoul Pigla). Prenotatevi/ Indirizzare: Direz. “Annuario di Terra d’Otranto” – Lecce, via G. Toma», mentre,
nell’Avvertenza, si annuncia che
«cucito a queste pagine sparse di poesia in vernacolo, si troverà un breve scritto di Vittorio Pagano su Giuseppe De Dominicis (Capitano Blak), pp. XXVIII-XXXI» (p. IV).
Il giudizio negativo del Ribelle su Papa Galeazzo non si ferma solo a quanto finora citato perché, in altri passi della sua introduzione, a proposito degli aneddoti galeazzani, scrive di trovarli
«scadenti per contenuto umoristico e per sconveniente sostanza […] eccessivamente laidi e di scarso interesse».
Tuttavia, si rivolge al lettore, dicendogli:
«Non trovate anche voi strana la coincidenza di dovere essere io il suo presentatore, io che gli ero così poco cordiale tanti anni fa, e, per sopraggiunta, suo giudice severo? Doverlo presentare io e spuntare molte lance in suo favore ed essere costretto, di conseguenza, a rettificare il mio giudizio nei suoi riguardi, non rappresenta forse la sua ultima invisibile burla, consumata alle mie spalle?/ Chissà! Accadono tante cose strane nella vita!…». Ad una attenta lettura degli aneddoti galeazzani di questo volume, essi non sono solo divertenti e sarcastici, ma spesso interessanti per la presenza di originali dialettismi e per un’interessante costruzione letteraria. Dopo l’introduzione, il libro si apre con questa avvertenza:
«In un vecchio scrittoio della Famiglia di Augusto Pajano di Matino furono trovati, tempo fa, Li cunti di Papa Galeazzu (I racconti di Papa Galeazzo) scritti – circa venti anni or sono – da Massimo Pajano, fratello dell’editore e attualmente residente a Bologna./ Avendoli trovati quasi completi nel numero ed elaborati con stile semplice e chiaro, non discosto dalle esigenze narrative della tradizione, decidemmo di pubblicarli, integrandoli con altri pochissimi aneddoti in nostro possesso./ A noi è toccato, quindi, il lieve compito d’una revisione aneddotica, estrinsecatesi con la eliminazione dell’apocrifo e di ciò che poteva apparire irriverente verso la religione o di scarso buon gusto» (p. 21).
E, d’altro canto, il Ribelle conferma che questi nuovi aneddoti sarebbero stati scritti da Massimo Pajano. E con ciò, siamo a due. E sì, perché il primo trascrittore degli aneddoti di Papa Galeazzo è Ruggero Rizzelli, del quale però non sappiamo da dove li abbia presi, se dalla viva voce del popolo di Lucugnano, oppure se dalla leggendaria narrazione orale vernacolare dell’estesa provincia salentina.
Comunque, ecco qui di seguito l’elenco degli aneddoti del volume stampato dal Pajano nel 1953: Sopra e sotto il ponte di Pilato; Gli Ebrei ed il Mar Rosso; Galeazzo alle prese con il maestro e con il portinaio; Alcune memorabili risposte di Galeazzo durante gli esami; Ecco il montone di Dio; Il battesimo col brodo; Questo boccone spetta a me; Un giorno di digiuno per due bestemmie; Il fantasma; La confessione della signora brutta; Per non essere il solo imbecille; La penitenza del matrimonio; O il pittore ci ha imbrogliati o siamo tutti figli di nessuno; La siccità ovvero la morte delle bestie; Una grazia concessa troppo presto; Lo spegnitore della giovinezza; La fame scaccia via anche il diavolo; Il romanzo e la storia; I venticinque anni della sorella; La donna è uguale al caffè; Oh, mia santa Liberata; Le piante e la pancia; La lingua avvelenata; Le mani senza guanti; Il somaro di Papa Galeazzo; Lo metta a sedere qui al posto mio; Le stelle e la luna; Il doppio gioco ovvero il piede in due scarpe; Il voto a San Francesco; La pera caduta a terra; Le sanguisughe; Il significato della parola “uomo”; Vuoi abbracciare pure lei?; Una richiesta irragionevole; I fioroni di Papa Galeazzo; Al buio … tutte belle; Il lavoro è bello e nobilita l’uomo, ma…; La predica del vecchio frate; Se volete riscaldare anche il naso; Adesso me li paghi a sei carlini; Che cosa c’entra il … con le quattro tempora?; Chi ha avuto tempo di pensare a Dio?; Il peccato della carne; La Cappella del Crocefisso; Le massime di Papa Galeazzo; Il costruttore dei piedi; Il famoso cutrubbu di Papa Galeazzu; La musica dura alle orecchie; Bene facisti, Portiam!; Con quale abito vestiremo San Francesco?; Pax tecum!; La barba nera ed i capelli bianchi; Matrimonio disgraziato; Il troppo è troppo!; Bi[a]nco e nero; Preferisco la figlia; Chiudi gli occhi e apri la bocca; La strana aria di Lucugnano; Ci vuole proprio il toro; La confessione dal pulpito; I padri eterni sono due; Pocus et bonus; Nostro Signore fu assai manesco; La reliquia di San Cristoforo; La battaglia di Canne spiegata con un esempio; Quanto costò il somaro?; Non sono distratte; Non muoverti più dalla tua terra; La Maddalena prima della redenzione; Le parole tirate dal cuore; Il vino allungato; L’estrema unzione somministrata per forza; Ma io non ho tanta confidenza con tua moglie; L’acqua, la sottana e la sorella; La monaca per riscaldare il letto; Le conseguenze del mangiar fagioli; La Porzia è morta!; Tre desideri in un giorno; Due serve per cinquanta anni; Papa Galeazzu e i tre fessi; La benedizione con l’olio; Papa Galeazzu e le idee nuove; L’asina di Balaam; Ammiro, nella creatura, il Creatore; Il famoso incontro di Papa Galeazzu con il Sommo Pontefice; Le commissioni senza danaro; Nessuna novità; La testa nel cappello ed il cappello nella testa; Adesso la tira fuori; La tenzone con l’Arciprete di Specchia; Papa Galeazzu e il carrettiere; I fioroni e un astuto conteggio; L’astronomia e i tordi; Secundu cucuzza canta Pasca è luntana; La morte di Papa Galeazzu; L’estremo saluto di Papa Galeazzu.
Come si vede, più o meno si tratta degli stessi aneddoti presenti nel libro curato dal Ruggeri nel 1894, salvo alcuni nuovi culacchi e qualche cambio di titolo.
– 1970 o 1971. Personalmente sapevo dell’esistenza di un altro libro su Papa Galeazzo che si rifaceva a quello del 1953, vale a dire Le facezie di Domenico Galeazzo ovvero Li cunti de Papa Galeazzucon pagine sparse di poesia dialettale, curato dal Roberti e stampato dalla Tipografia Editrice Pajano, Galatina. Il nuovo titolo è: Li cunti de Papa Galeazzu, ricco di una curiosa copertina più altri disegni inseriti nel corpo del volume dal vignettista galatinese Antonio Mele, in arte Melanton. A un certo punto della mia ricerca bibliografica, ho rintracciato il volume in questione. Purtroppo, su di esso non ci sono né la data né il luogo di stampa. È stato poi lo stesso Melanton a darmi qualche ragguaglio, scrivendomi:
«Mi pare che fosse il 1970 o ’71, io ero già a Roma, e mi telefonò il figlio dell’editore Pajano per illustrare una ristampa del libro Li cunti de Papa Galiazzu (edito in prima edizione negli anni ’50), di cui – spero – dovrei avere una copia che cercherò domani nella mia piccola ma disordinata biblioteca, fornendoti ulteriori ragguagli. Ho disegnato la copertina e 6 o 7 tavole [per la precisione i disegni sono in tutto 8 e sono rintracciabili fuori testo e relative didascalie tra le pp. 58-59 («Lu famosu ciucciu de papa Galezzo»), 74-75 («Adesso me le paghi a 6 carlini»), 80-81 («Che cosa c’entra il culo con le 4 tempora»), 84-85 («Bene facisti portiam!…»), 122-123 («Ci vuole proprio il toro!»), 138-139 («… le conseguenze del mangiar fagioli…»), 154-155 («papa Galeazzu e li 3 fessi»), 170-171(«Trop… trop… trop»)] interne a tutta pagina (credo che siano state poi riprese, ma in formato ridotto, in una successiva edizione dall’editore Mario Congedo)».
Le facezie di Domenico Galeazzo ovvero Li cunti de Papa Galeazzu
Il libro è la stessa copia facsimilare dell’edizione precedente. Sicuramente l’editore Pajano aveva conservato i caratteri in piombo, che ora, nel 1970 o ’71, come scrive Melanton, li rimette sotto i rulli della macchina cilindrica piana. Ciò che cambia è solo la raffigurazione di Papa Galeazzo disegnato da Melanton, che in questo caso acquista un’altra sembianza, divenendo fisicamente il prete di campagna malandrino e burlone. Graficamente stupenda la vignetta di copertina.
– 1973 (altre riedizioni 2001 e 2003), Il breviario di Papa Galeazzo. Si tratta, in realtà, del volume del 1912, avente per titolo Gli aneddoti di Papa Galeazzo, stampato dalla Tipografia Economica, Galatina e sopra indicato. Tuttavia tra il 1973 e il 2001, l’editore Congedo di Galatina pubblicò, nel 1997, anche il volume Li culacchi te Papa Galeazzu cuntati in dialetto, a cura di Carlo V. Greco e Niny Rucco. Il volume, ricco di molte illustrazioni, riprende l’introduzione di Ruggero Rizzelli del 1894 e gli aneddoti del volume del 1912, cambia però alcuni titoli, traducendoli in dialetto salentino e aggiungendone altri ritenuti inediti, tra cui questi: La prima preteca; Lu sartore pueta; A passeggiu cu lu vescuvu; Le analisi te l’urine; Cum sale panis; Ale cchiui; Nu bbera megghiu?; Lettera all’emicrante; Sacrestano iettatore; Lu respettu; La furcheddha; La cuccagna; Tutti frati simu; Lu addhinaru te Papa Caliazzu; All’ucceria; Li inti ciucci; La piastra a rretu; Lu peccatu te la carne; Uarda bbii lu tiaulu!; Ieu m’aggiu fattu te sulu; Intra ‘lla sacerstia; L’ura pe llu matremoniu; Buttuni e furmeddhe; Lu pane quotidianu; Uemmeni te picca fede; La morte di Papa Caliazzu. In realtà, occorre dire, alcuni di questi aneddoti erano già apparsi in alcuni volumi pubblicati precedentemente. Quello che è interessante in questo volume è la Premessa del curatore C. V. Greco, che scrive:
«Innumerevoli sono le storielle che si raccontano su Papa Galeazzo, una delle figure più singolari del patrimonio folkloristico salentino e, soprattutto, varie e contrastanti sono le interpretazioni sulla identità […] del personaggio in questione. Alcuni, infatti, ce lo presentano come parroco di Lucugnano, prete di campagna molto arguto e, soprattutto, abilissimo nel risolvere a suo favore ogni sorta di avventura. Altri lo immaginano povero in canna e simbolo di quella povertà che ha afflitto l’esistenza del contadino pur sempre capace di reagire alle avversità della vita con spirito e buon umore tipicamente meridionali. Altri ancora lo ritengono responsabile di banalità della gente, un personaggio quasi usato, frutto di un’incolore vita paesana./ Comunque, Papa Galeazzo è stato e resta un’anima popolare e, soprattutto, non volgare anche quando “volgare” vogliono farcelo credere, un’anima del nostro ambiente che non si identifica con una persona, ma che è l’espressione di un’intera collettività./ Un neo Pulcinella, per intenderci, un neo Pantaleone, un neo Peppe Nappa, ed il Salento vanta varie maschere del genere, le cui facezie, burle, trovate più che appartenere a ciascuno di essi, finiscono per diventare patrimonio del popolo, realtà naturali e vitali, costumi, modi di vita. E Papa Galeazzo è veramente uno del popolo, un clown senza volto che non fa che raccontare ciò che la gente gli suggerisce di raccontare. […] La presente raccolta, ultima in ordine di tempo, è stata da noi rivissuta e redatta in dialetto. Lo scopo è stato quello di rispettare le ultime volontà di Papa Galeazzo per risentirlo nell’unica lingua che lui sapeva “recitare” e che meglio dell’italiano riesce nell’esagerare, pepare, a volte mortificare, causticamente senza offendere, perché in fondo il suo scopo è stato sempre e unicamente quello di fare colpo, meravigliare e sbalordire oltre misura, così come il dialetto salentino sa sapientemente fare con le sue intraducibili stoccate di sapore boccaccesco che noi chiamiamo “culacchi”» (pp. 11-12).
Ecco. L’importanza di questa Premessa del Greco sta nel fatto che anche egli individua nel personaggio lucugnanese una sorta di maschera addirittura del pari di un Pulcinella.
Le altre edizioni (2001 e 2003) sono state pubblicate sempre dall’editore Congedo di Galatina e curate da Michele Paone il quale, nell’Avvertenza, che resta sempre la stessa fino all’ultima edizione, scrive:
«La presente edizione è esemplata su quella che il 1912 fu dovuta al galatinese Ruggero Rizzelli, che il 1894 aveva curato la prima edizione de Gli aneddoti di Papa Galeazzo e premesso lo scritto Domenico Galeazzo e il suo tempo, che fu riprodotto nella seconda edizione, messa in luce in ventitré dispense periodiche./ In questa edizione, alle poche illustrazioni tratte dall’edizione Rizzelli 1912, l’editore Congedo ha aggiunto incisioni e disegni della sua collezione di antiche vedute pugliesi, tratte dal Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de la Sicile (Paris 1781-1786), da U. Botti, La grotta del Diavolo (Bologna 1871), da G. Arditi, La Leuca Salentina (Bologna 1875), e dalla Ross [Janet], La Terra di Manfredi (Trani 1899)./ Per la bibliografia su Galeazzo de Palma rinvio al documentato saggio di Giovanni Cosi negli Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, vol. III, 1974».
La sovra coperta ritrae La passeggiata di Papa Galeazzo, del pittore Antonio Scupola, mentre la coperta vera e propria (di colore rosso cangiante) riporta al centro un altro ritratto del curato di Lucugnano. Nella sua Prefazione Paone scrive:
«Il ritratto che è al Museo Castromediano di Lecce ci presenta l’arciprete di Lucugnano intento a fissare in una lunga occhiata obliqua qualcosa che si agita alle sue e alle nostre spalle e, tuttavia, capace di mantenere impassibile la faccia di corno contratta nel flessibile taglio della bocca che copre i lampi di osso della dentatura di cavallo, la stessa che ride in bocca ad un lontano suo confratello, al don Camillo di Giovannino Guareschi./ Quel volto, che lo sguardo sbilenco caratterizza in un modo che così non può dimenticarsi, non m’importa se sia il ritratto fisico oppure quello ideale dell’uomo di Lucugnano, dell’uomo, ho scritto, non del prete o arciprete, ché questa qualità sociale passa in second’ordine, giacché, se Galeazzo vestì la tonaca, trattò a preferenza più con un Satana beffardo e ridanciano che con un Padre Eterno scrupoloso esattore dei fatti e dei misfatti del ministro suo./ Certo, quello è il più felice ritratto del tipo che “li culacchi” a lui preferiti ci hanno consegnato; è la fisionomia più propria di questa caricatura di prete tra minchione e burlone ed è, questo, il volto che più mi piace riguardare per dirgli “bravo” e per sorridergli, dopo avere riletto con gusto e ripreso diletto al racconto delle beffarde azioni del ministero, evangelicamente non proprio esemplare, dell’arguto prete salentino./
Il ritratto di Papa Galeazzo custodito presso il Museo Castromediano di Lecce
Papa Galeazzo è, infatti, la maschera più espressivamente emotiva dell’umorismo salentino, il più bizzarro ed estroso prodotto di un umor faceto brioso e scoppiettante come il fuoco che crepita nel camino vecchio e nero e allunga lingue che s’inseguono senza mai raggiungersi; è, finalmente, la caricatura del prete di campagna che non sa di lettere e non gliene importa perché sa vivere ugualmente, con maliziosa disinvoltura, magari e a preferenza a spese degli altri, dei fessi, capace, com’è, di mettere i piedi ad un feto lasciato incompiuto, a scroccare olio e fichi ai vescovi di Alessano e Ugento che prende a gabbo, a ordinare, cantando messa, alla fedele Porzia il modo di cucinare l’agnello e, tuttavia, che non è insuperabile nella scaltrezza, se un truffatore, più capace di lui, poté metterlo nel sacco vendendogli metafisici affreschi ed è tollerantissimo confessore di mogli adultere, ma per nulla al mondo disposto a mettersi al posto di quelle. […] Campione irriverente di un atteggiamento dell’anima popolare di Terra d’Otranto, papa Galeazzo è e rimane la macchietta preferita, il personaggio più spassoso, la maschera più amata di noi salentini» (pp. V, VI, XI).
Questo giudizio del magistrato letterato è pertinente, perché, effettivamente, papa Galeazzo è stata una delle più importanti maschere della Terra d’Otranto (oggi Salento) e di un popolo (i salentini), ma quello che rimane strano è che tale maschera non è stata mai usata come tale dallo stesso popolo sulla cui bocca è stato ed è sempre presente nei vari racconti popolari.
Questo l’elenco degli aneddoti del libro curato da Paone, dove alcuni racconti (cunti) sono uguali a quelli precedentemente pubblicati, magari in qualcuno cambia il titolo, mentre in altri vengono aggiunti: Il bacio della pace; Le mani di Carlo V; Oh, mia santa Liberata!; Sì, chi ebbe il tempo di pensare!?; “Lu cutrubbu” di Papa Galeazzu; Una grazia troppo presto; Morto avvelenato; Le teste erano due; Qui sta il busillis; La zucca del Barone; Natale e Pasqua; Il capelli del Barone; L’abito di S. Francesco; Le traduzioni di Papa Galeazzo; La vora di Barbarano; Le sanguette; “Secundum Luca…”; Le reliquie di S. Cristoforo; Il ladro nello specchio; Il settimo comandamento; La chiesa allo scuro; “Pax tecum”; “Ad oculos per istam sanctam unctionem”; La donna è come il caffè; “Allu Crucifissu de lu Feu”; Per precauzione; La vescovessa; Tra riso e pianto; Il troppo… è troppo; In quel servizio!; I piedi e le “pitite”; Una trombonata; Ho visto la luna; I fioroni di Papa Galeazzo; “Ecce Agnus Dei”; “Sub Pontio Pilato”; La donna e la bottoniera; Amici dappertutto; L’aria di Lucugnano; Predicatore invecchiato; La penitenza di uno sposo; Le pitture dei legittimi; La confessione dall’organo; L’astronomia di Papa Galeazzo; In sottana e camicia; Due bestiemme e un digiuno; “Mo la caccia…!”; I tre minchioni; Uomo, parola generica; Il peccato di adulterio; Il berretto da notte; Marito e moglie; La messa di cinque carlini; Tra madre e figlia; Sulla sua terra; Bocca aperta; Memoria perduta; Il lascito della sorella; Venticinque anni; Il lavoro è corona; “Questi me li paghi a sei carlini”; Due padri eterni; Distinguo; La barba del Cardinale; La predica di S, Giuda; Il matrimonio è un duello; Il digiuno caccia il diavolo; Alla festa di Cirimanna (p. 90); “De Missis Dominicis”; “Lu ciucciu de Papa Galeazzo” ; “Secundu cucuzza canta Pasca è luntana”; Effetti dell’acqua bollente; Tutte belle; La carta senapata; La morte delle bestie; Il conto delle nostre opere; “Bene facisti Porzia”; I tordi e i quagliarelli; Nel Tribunale della confessione; Un miserere assai duro; L’ombrello; L’anima; Piante cresciute; “Pocus et bonus”; Per non passare imbecille; La Maddalena; L’estrema unzione a viva forza; “Defensio est jus naturae”; Una scappata di Papa Galeazzo; Giuda portava il baffo; L’istoria di Balaam; L’occhio di cristallo e i serviziali; Si metta a sedere; Il Creatore nella creatura; La pecora si rivolta al lupo; Botta e risposta; Preso in flagrante; Incontro con Sua Santità; “Hoc est corpus…” ; “Quid petis”; Il panereccio; Di ritorno da Roma; Che novità mi porti; Le commissioni; Una testa di lupo; “Quantu custau lu ciucciu?”; Dal cocchiume della botte; Definizione pepata; Una lezione pratica; “Modicum videbitis me”; “Lu Cristu meo te pizzaca!”; Il prefazio; La carne alla finestrella; La tavola alta-alta!; La moltiplicazione dei pani; Contesa tra Specchia e Lucugnano; La morte di Porzia; Gli mancava il manipolo; Il campanello; Differenza di capo; Le poesie di Papa Galeazzo; Due serve per 50 anni; Il versamento della multa a vol d’angelo; “Asperges me domine”; I superi di cassa; Il porro; La monaca nel letto; Il vino annacquato; Non me ne vuol d are…; La storia di S. Ilarione; Il flusso e riflusso; Il fischietto; Le litanie al suono dell’organo; La morte di Papa Galeazzo; Il testamento di Papa Galeazzo; Appendice; Facezie di D. Galiazzo nell’atto che si fece Arciprete.
Nell’edizione 2001 furono aggiunte più illustrazioni e qualche culacchiu in più, così come anche in quella del 2003 che, il 16 luglio di quell’anno, apparve anche come offerta aggiuntiva al «Quotidiano di Lecce» e al «Messaggero di Roma», recensito da Lucia De Santis.
– 1991, l’editore Lorenzo Capone di Cavallino dà alle stampe il libro di Antonio Garrisi Li cunti te papa caliazzu a llingua nòscia te lecce, tradotto in vernacolo salentino, con una copertina sulla quale appare un Papa Galeazzo mangiatore di spaghetti (disegno di Albertoni & Greco di Milano). Il volume si apre con’Avvertenza sulla grafia e sulla pronunzia, una Presentazione, nella quale il curatore spiega i motivi che l’indussero a fare la traduzione degli aneddoti del curato di Lucugnano, precisando che:
«della raccolta del Rizzelli sono stati tralasciati quegli aneddoti del tutto privi di estro spiritoso ed altri di contenuto proprio indecente».
Questo l’elenco degli aneddoti: Ecce agnus dei; Sub Pontio Pilatio; Papa Caliazzu pàricu; Santa Lebberata; Nnu còmmutu su mmesura; Troppa cràzia; Mariti, nu mmangiati pasuli; La cucuzza; Nnu postu pe Ssantu Ndrea; Lu culu e lle quattru tèmpure; Lu votu te la Pippi; La tòneca te San Frangiscu; Le sanguette; Secundum Lucam; Lu peccatu cchiù rrande ete lu cchiù bbelli; Pax tecum; La vescuvessa; Ncignatu e llassatu; La luna a cquintatècima; Li culummi te Bomnsignore; Amici tutti doi; L’ària te Lucugnanu; Lu pretecatore mbecchiatu; La penetènzia; Li lesçìtimi ìtenu le petture; Presçcàtiu stu tenanti!; Doi pugnette = nnu ddesçunu; “Moi la càccia…”; Li ttre mmìnchia; Lu coppulinu te notte; Tra mmatre e ffìgghia; Chiusi l’ecchi… e pperta la ucca; Sempre inticìnque anni; Lu paneggìricu te Santu Giuta; La sarsa te pipitiàulu; Buenu facisti, Pòrzia; Le cùgghie te li canòneci; Cenàbbriu e rrussettu; Nna malùmbria; La Matalena; La lana èrgine; Te Lucugnanu a Rroma; Papa Caliazzu e llu Papa te Roma; Nisciuna noa; Le cummissioni; Li cantori te lu Vaticanu; Sedere, palora noa; Quantu custaàu lu ciùcciu?; Retiti cquanfacce!; Modo videbitis… modo non videbitis; Cristu miu pìzzeca; Nna tàula àuta àuta; La murtibbricazione de lu pane e dde lu pisce; Nun ete quistu lu mumentu; Uerra tra Spècchie e Llucugnanu; La Pòrzia morse; Lu manìpulu; Lu ciùcciu scerratizzu; … e ncigna la stòria riale; Lu cappieddhu intra alla capu; Papa Caliazzu pueta; Nvece te una, doi… servu te Diu!; Ad oculos; Lu matremòniu… nnu cimientu; Lu porrum; La mòneca; Santu Pistone; … quiddhu ci ole; La lùrtima cartùccia; Nuè e lli ‘affarini’; Lu fisçhettu nculu; Lu testamentu te papa Caliazzu; Lu canònecu papa Caliazzu more.
– 1993, lo stesso editore di Cavallino dà alle stampe un altro libro sul curato lucugnanese, questa volta col titolo Gli aneddoti di Papa Galeazzo, il cui autore è quel Ruggero Rizzelli di Galatina che abbiamo visto essere il primo divulgatore degli aneddoti nel 1894.
La copertina e le vignette interne al volume sono di Albertoni & Greco di Milano, salvo alcune immagini che riprendono costumi e immagini del Salento antico. Questo nuovo libro è curato da Mario De Marco, nella cui Presentazione scrive:
«Pare ormai assodato che papa Domenico Galeazzo sia veramente esistito, tant’è che se ne è documentata la presenza a Lucugnano tra il 1589 e il 1591, rintracciando anche il suo cognome che lo fa appartenere ad una famiglia de Palma.
Riteniamo che l’immaginario popolare salentino abbia via via contribuito a caricare la figura del parroco di Lucugnano di caratteristiche e di attributi che lo rendono, inequivocabilmente, maschera-simbolo di un’epoca e di una condizione, uno spirito che, pur limitato dall’ignoranza e dalle basse radici sociali, sa comunque sempre emergere col trarsi d’impaccio in ogni circostanza, rivendicandosi indomita libertà, spesso egocentrica, sia pure espressa con malizia, in maniera rozza e spesso becera, capace anche di cogliere, con imprevedibilità, gli aspetti comici e paradossali delle situazioni. […]
Una sorta di catarsi si vive leggendo li cunti di papa Galeazzo, e la sua irriverenza dissacratrice e lubrica, schietta e rozza, immediata e sanguigna costituisce la sottile nemesi di chi, come lui, non ha avuto origini da esibire, cultura da vantare e ricchezze da mostrare./
Galeazzo, alla maniera di Pulcinella, conosce l’arte di arrangiarsi, usa la parola come uno staffile, non si fa scrupoli di ricorrere all’espediente ed è mutevole, sornione, arguto, furbo, imprevedibile, possiede, insomma, nel bene e nel male, la peculiarità dell’animo meridionale che per natura o cultura non è prono, ma capace di districarsi dalle angustie risolvendole a proprio favore grazie all’inventiva e ad una fantasia irripetibile» (pp. 3-5).
Ovviamente, sia l’introduzione di Ruggero Rizzelli sia l’indice degli aneddoti risultano essere più o meno uguali a quelli delle edizioni 1894, 1912 e successive.
– 1998, a proposito della ristampa del Breviario curato da Michele Paone, nello speciale «Quotidiano di Lecce/ Tricase» (martedì 6 ottobre) una pagina intera (salvo le solite manchette pubblicitarie) è dedicata al
«Personaggio della fantasia popolare “presbitero” di paese?».
Il titolo dell’articolo è Alla scoperta di Papa Galeazzo. In esso vi sono alcune novità che indicano Papa Galeazzo come il
«Personaggio tra i più rappresentativi in ambito salentino, […] bizzarro parroco di Lucugnano, da tutti conosciuto con l’appellativo di Papa Galeazzo./ La sua provocante parola, sagace e controversa, i suoi celebri culacchi, le sue mordaci prediche ne hanno fatto un simpatico rivoluzionario nel panorama ecclesiastico, e ancora oggi le sue brillanti battute ricorrono nel linguaggio comune dei suoi concittadini. La figura dell’arciprete di Lucugnano più volte è stata vista, rivista e rovesciata nel corso della storia. Non vi sono infatti fonti autorevoli circa la sua reale esistenza e non si conosce il tempo in cui probabilmente visse. […] Si suppone che nacque e visse a Lucugnano ed esercitò la professione di parroco; altrettanto auspicabile è che visse a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento. Carismatico e brillante, come una maschera (c. m.) di teatro, il suo palcoscenico era il fazioso mondo aristocratico, la sua platea il popolo dinanzi al quale si esprimeva in vernacolo acceso e triviale».
– 2003. Nel 2010, per la Società di Storia Patria per la Puglia (Sezione di Oria), curai il libro Scritti offerti a Donato Palazzo. «Yrie. Quaderni di Studi Storici Salentini», per il quale chiesi un contributo scritto anche al compianto Donato Valli, che scrisse una recensione (Ritorno di don Galeazzo de Palma, parroco di Lucugnano, pp. 735-739) al volume Don Galeazzo De Palma parroco di Lucugnano. Revisione critica e romanzata della sua figura (Lecce, Editrice Messapia, 2003), a cura di Salvatore Centonze. La copertina, molto originale, è dell’artista Enzo Ferramosca, mentre le vignette all’interno sono di Gianni Matteo. A stamparlo la Tipografia “Arti Pubblicitarie” di Copertino. Nella Premessa, l’autore (che si qualifica come Scrittore-Editore) scrive che:
«Ruggero Rizzelli, nel pubblicare la seconda edizione [1912] de Gli aneddoti di Papa Galeazzo, li portò da 66 a 133, immettendo anche fatti ed aneddoti, tutto quanto era in giro sulla bocca della gente, ciò che a volte nulla aveva a che vedere col personaggio. Fatti e misfatti alterati al parossismo ma anche puro e semplice pattume attribuibile ad altri mascalzoni, che non si chiamassero Galeazzo. […] Rizzelli ha raccolto di papa Galeazzo non soltanto qualche episodio vero, autentico, ma anche rottami, molte contraffazioni, che poco ci dicono di lui, di quello che veramente fu […] Non pochi sono quelli che hanno lodato Ruggero Rizzelli , lodando ciò che è lodato più di ciò che è lodevole. Non è certo il caso di Luigi Scoditti, studioso di Mesagne, volenteroso, anche se male atterzzato, che alla figura di don Galeazzo dedicò uno studio bene articolato. Egli stigmatizza la raccolta del Rizzelli con espressioni feroci e […] punitive […] Di tutt’altra convinzione è Michele Paone, che si esalta al punto da definire la raccolta del Rizzelli: “ditirambo di cunti che appare tessuto con fili d’oro e d’argento”. […] Mario De Marco addirittura dichiara: “Una sorta di catarsi si vive leggendo li cunti di Papa Galeazzo”. […] Rizzelli ha preso don Galeazzo personaggio del ‘500 e l’ha vestito con i panni del Novecento. […] Antonio Garrisi ha capito l’errore commesso dal Rizzelli […] ma quando prova a porre rimedio […] lo traduce e trasfigura nella mentalità, nel linguaggio, nelle consuetudini di un cittadino di Cavallino. […] Nell’intento di realizzare una revisione critica della figura di papa Galeazzo, io ho dovuto fare la cernita degli episodi raccolti dal Rizzelli, canonizzando solo quelli che non confliggono con la logica ed il buon senso; tralasciando quelli noiosi, senza senso, addirittura idioti, perché in contraddizione con altri ed altri ancora, affetti, per così dire, da gravi imperdonabili anacronismi. […] La cosa più inaccettabile però è quella di immaginare, stando al racconto di Rizzelli, che un prete, che era pur sempre ministro di Dio, possa aver gestito tutta la sua esistenza di ministro del culto, in chiave di burle, tranelli, furberie, volgarità, oscenità, trivialità e quant’altro. Mai gli è venuta voglia di fare la persona seria, onesta, sincera, caritatevole, di dare dei buoni consigli, di aiutare i bisognosi? Il fatto mi convince sempre più che Rizzelli, da anticlericale, abbia voluto, nella figura di Papa Galeazzo, denigrare il clero del suo tempo» (dall’introduzione).
Feroci sono poi le sue conclusioni, dove scrive:
«Questo è stato il nostro famigerato conterraneo papa Galeazzo, o almeno così ho voluto immaginarmelo, avendolo epurato da episodi di ignoranza crassa, da stridenti contraddizioni, da miserabili anacronismi, da gratuite volgarità, da empietà nauseabonda e ripugnante in un prete volgare, maleducato, screanzato, ignorante sì, ma pur sempre ministro di Dio./ Dal lavoro di Rizzelli ho tratto la convinzione, aldilà delle prove documentali, che a Lucugnano visse un prete gioviale, scanzonato, burlone, astuto, ma non è quello raccontato dal Rizzelli. I fatti di cui fu protagonista così come da lui raccontati sconfinano nell’assurdo» (p. 155).
Scrivevo sopra che Donato Valli scrisse una lunga recensione a questo libro. Ovviamente non la propongo qui per intero, anche se molto interessante ma, per far vedere l’importanza che egli diede, ne riporto alcuni passi:
«La caratteristica o, se si vuole, il pregio di questo libro è quello di rappresentare un pretesto per esibire una varietà favolistica, linguistica, ironica, pseudo popolare, piuttosto che uno dei tanti racconti della storia di papa Galeazzo. O meglio, la storia di questo personaggio da favola è riesumata, analizzata e in parte reinventata dall’estro creativo dell’autore, cioè Salvatore Centone, il quale esalta la matrice popolaresca del racconto arricchendola di fatti, eventi, occasioni in parte desunti dalla tradizione, in gran parte ripresi dagli aneddoti del Rizzelli e in parte attribuibili all’estro dell’autore. Egli, infatti, fa la sua parte nell’ammodernare secondo la sua capacità inventiva la trama del racconto e arricchirla non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nella polifonia del linguaggio. Il quale, infatti, va dal popolaresco al letterario, dall’umile al fantastico, secondo una costruzione che conserva la radice favolistica, ma esalta la varietà dei timbri con un sorriso che coniuga raffinatezza linguistica con esiti di radice marcatamente popolaresca, beffarda e, a seconda dei casi, anche volgare. Sicché il libro conserva sì la matrice favolistica, ma non si stacca da un tenore di racconto insieme realistico e inventivo, raffinato e plebeo, risolvendosi in pratica in una fantasia pirotecnica di salda radici popolare./ Il prototipo del libro è reperibile nel volume “Gli aneddoti di Papa Galeazzo”, curato da Ruggero Rizzelli e pubblicato dalla Tipografia Economica di Galatina nel 1912. Esso contiene 135 aneddoti, mentre quelli della revisione curata da Centone sono in tutto cinquantatré. Questa notevole riduzione giova all’operazione del Centone non solo perché la rende più realistica, più efficace e, in un certo senso più accettabile, ma anche perché la organizza in forma più compatta dal punto di vista narrativo e da quello della tenuta in sé del racconto. E ciò senza nuocere alla trama e alla scrittura, ché anzi l’una e l’altra acquisiscono un certo alone di credibilità, di piacevolezza descrittiva, di compattezza contenutistica e di tenuta testuale, salvo comunque restando l’imput fantastico che conferisce al libro un’atmosfera di familiare affabulazione. Insomma quell’impasto di favola, di racconto, di accattivante leggerezza, filtra la realtà attraverso un ammiccante sorriso fino a depurarlo di ogni volgarità e suscitare una piacevole accondiscendenza. Tutto ciò è affabulatorio realismo paesano, senza intaccare, se non in minima parte, la tenuità del personaggio e la coerenza della tradizione narrativa. […] Ne esce un libro di aneddoti e racconti coltivati dall’estro della gente e consacrati nella memoria d’una popolare leggenda».
– 2006, sempre l’editore Capone di Cavallino dà alle stampe il volume di Ruggero Rizzelli, Le facezie di papa Galeazzo, con la copertina che ripete l’immagine del volume del 1993 e la cura di Fernando de Dominicis il quale, in una lunga Introduzione divisa per paragrafi, paragona il prete di Lucugnano a quel don Abbondio di manzoniana memoria, e scrive che egli è:
«una maschera, un personaggio-simbolo cui è ricorso il popolo salentino per vendicarsi di clero e nobiltà che quotidianamente lo angariavano e beffeggiavano./ È uno che non la risparmia a nessuno; è uno che combatte, però, soprattutto contro i soprusi feudali baronali ecclesiastici (vive in piena Controriforma), ma anche laici. […]
Galeazzo sarà stato pure artefice, una volta assegnatogli un’esistenza reale e uno spirito tra l’arguto e il bonaccione, tra il birbantello e il sempliciotto, tra il Chichibio e il Bertoldo-Cacasenno, tra il Pasquino e il Calandrino. Non può essere, però, l’autore di tutto ciò che gli si affibbia. È, piuttosto, tutto il popolo salentino, e non solo quello del Capo di Leuca, l’autore di tutte quelle situazioni boccaccesche nelle quali si ritrova; è lo spirito arguto e indipendente ptoptio del popolo salentino che vi si deve vedere. […]
Ecco i cunti di papa Galeazzo sono delle facezie, cioè dei racconti brevi incentrati su una battuta di spirito che affondano le radici nella letteratura greca con Senofonte che mette in bocca a Socrate una serie di Detti memorabili ed avevano avuto grande fortuna nel Medioevo. […]
Le facezie galeazziane sono pervase da un naturalismo di fondo che sul finire dell’Ottocento andava sempre più diffondendosi e da un marcato anticlericalismo, oltre che da continue frecciate alla nobiltà, cui il clero si appoggiava per riceverne privilegi e benefici ai danni degli umili, cui, pur con la tonaca di sacerdote, appartiene e si sente di appartenere papa Caliazzu» (pp. 3 e sgg.).
– 2007, l’artista Ezio Sanapo, di Tricase, ha postato su internet un suo romantico saggio, dove scrive che:
«L’idea del personaggio di Lucugnano, era nata, probabilmente, a danno di un omonimo parroco, a quel tempo, realmente esistito in quel paese. Si presume che esso non fosse ben visto dalla povera gente di quel luogo, tanto da essere beffeggiato con l’appellativo di “Papa”, un Papa che però si atteggia, ragiona e vive come uno di loro. Sta di fatto che molti preti, a quel tempo, oltre alle loro funzioni liturgiche, aiutavano il Potere Temporale svolgendo compiti “polizieschi” che culminavano con la persecuzione di persone a volte anche innocue e innocenti. Anche per queste vicende la gente di quel luogo avvertiva ormai la necessità di far valere le proprie ragioni, e non potendo farlo liberamente, ha dato delega a “Papa Galeazzo”, maschera tragicomica di un personaggio creato a imitazione di un prete non al servizio di Dio ma dei potenti, nel quale si incarna e diventa tutt’una l’anima di un “cafone” o di un “picaro” che, forte della sua carica ironica e trasgressiva, mette in atto, una rappresentazione a scena aperta, delle reali condizioni di vita della propria comunità. […]
A lui sono stati attribuiti cunti e culacchi, cioè volgari racconti da osteria e come un patetico e ridicolo buffone è stato consegnato ai giorni nostri./ Papa Galeazzo è invece quell’anonimo eroe popolare che crede ancora in se stesso, perciò capace ancora di sognare, e che vive da sempre in noi sospeso tra la fantasia e la realtà. Forse, sotto le sue mentite spoglie di figura barocca, continua a battere un cuore tenero di umile contadino che sa di essere destinato a soccombere e che ride soltanto, per nascondere dentro di sé, un pianto che dura dalla notte dei tempi».
– 2012, Alessandro Bianco, intervenendo sulla rivista on line «Terra d’Otranto. Il delfino e la mezzaluna» (postato il 27/11/2012), scrive:
«Pare ormai assodato che papa Domenico Galeazzo sia veramente esistito, tant’è che se ne è documentata la presenza a Lucugnano tra il 1589 e il 1591, rintracciando anche il suo cognome che lo fa appartenere ad una famiglia de Palma. […] Leggendo gli aneddoti su don Galeazzo core spontaneo il paragone a riferimenti letterari, quali la commedia attica antica, il teatro plautino, il Decamerone, la commedia dell’arte e tutta la vasta produzione satirico-burlesca. […] galeazzo, alla maniera di Pulcinella, conosce l’arte di arrangiarsi, usa la parola come uno staffile, non si fa scrupoli di ricorrere all’espediente ed è mutevole, sornione, arguto, furbo, possiede insomma, nel bene e nel male, la peculiarità dell’animo meridionale».
– 2013, sempre sulla stessa rivista, postata il 28 ottobre 2013, Elio Ria, scrive:
«Dal ritratto del Buia, il nostro arciprete appare con il viso tondo e gonfio, due occhietti spiritati, un naso troppo dritto con narici spesse, baffi all’inglese, mento piccolo, capelli lunghi ondulati. Così come ci è stato tramandato nel disegno pare più un bonaccione che un burlone. Di satura piccola e grassottello, non disdegnava qualche approccio amoroso con la contadina del luogo. […]
L’arciprete è una caricatura della quale manca il perfezionamento dei tratti somatici da identificare con il simbolo di rappresentatività di un’epoca che nello sfondo dei fatti di cui egli è protagonista è marginale. Spicca invece il suo spirito libero e indomito che gli fornisce gli strumenti per confezionarsi una vita senza troppi problemi perennemente in conflitto tra la realtà e l’irrealtà, tra il vero e il falso. Giocoso, bislacco, icastico irriverente, insomma assomma a sé fin troppe specificità caratteriali che lo rendono nei fatterelli adattabile a situazioni differenti. Tra l’altro era ostile e irriverente all’ortodossia e alla gerarchia ecclesiastica, e questo è inverosimile che un prete, in particolar modo nel sedicesimo secolo, si comportasse in quel modo. […] Indubbiamente nelle facezie dell’arciprete vi è il gioco dei valori e dei principi, in cui prevalgono l’affermazione dell’egoismo individuale, la supremazia dei più forti, la scaltrezza della povera gente, il primato dell’utilitarismo, l’egoismo come significazione dell’altra faccia (esasperata) del bisogno. In un contesto sociale così omologato dalle necessità primarie si può comprendere l’assenza di eroi, vi sono rappresentate, invece, piccole furbizie, occasioni di imbrogli, furtarelli di fichi. Galeazzo del sistema sociale è la vittima, mai l’eroe».
La bibliografia su Papa Galeazzo è vasta per cui, negli ultimi due secoli, i riferimenti al personaggio sono rintracciabili su fogli sparsi, articoli di giornali e riviste, libri. Galeazzo è stato persino rappresentato in teatro negli anni ’80 da Puglia-Teatro (Bari) su testo di Vito Maurogiovanni e regia di Rino Bizzarro. E comunque, checche se ne dica di bene o di male, e sia che sia esistito veramente oppure no, egli è stato e rimarrà per sempre la più famosa maschera salentina.