IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Pagine di Storia. Verso il secolo dalla “Marcia su Roma”

Squadre fasciste sul ponte Salario in marcia verso Roma

di Eliano Bellanova

Squadre fasciste sul Ponte Salario in marcia verso Roma (fonte: “Illustrazione Italiana”, 1922)

Mussolini si rende conto della deteriorata situazione politica italiana e, secondo Balbo, medita già dai primi mesi del 1922 di procedere a un’insurrezione armata, essendo impossibile la via parlamentare per conquistare il potere.

De Vecchi e De Bono lo sostengono, ma tutti suppongono che sia ancora percorribile la via della legalità.

Antonio Pescarzoli (“Fascismo senza mito” – 1924) sostiene che Mussolini “aspirava ad essere dittatore col beneplacito di tutti”.

Sul “Popolo d’Italia” Mussolini scrive in modo secco, asciutto, traumatico. Secondo alcuni lo fa per tastare il polso, per saggiare gli umori della folla.

Il suo amore per la classe operaia – vero o “fittizio” che sia – appare come un messaggio populista molto importante, mentre la Sinistra non prende una posizione ideologica precisa, lasciandosi guidare dagli umori della folla, nel mentre sarebbe stato più utile guidarla.

Da Deputato, Mussolini appare conciliante e aperto a tutti, anche alla Confederazione Generale del Lavoro, al Partito Popolare (in riferimento alla libertà, alla scuola e alla questione agraria).

Nello stesso tempo la tregua con le opposte fazioni naufraga, malgrado i buoni propositi dei socialisti Ellero e Zaniboni e dei fascisti Giuriati e Acerbo.

Nel maggio 1922 Balbo e Grandi accusano il Prefetto Mori di faziosità per la sua posizione contro gli operai aderenti ai sindacati fascisti e procedono all’occupazione “militare” di Bologna, sollecitando la mobilitazione di Ferrara, Modena e Mantova.

Mussolini è contrario e chiede ai suoi “adepti” di sospendere l’azione per non provocare inutile spargimento di sangue e per non esasperare la situazione già di per sé molto compromessa.

Di lì a poco si dichiara disponibile alla partecipazione ad un qualsiasi Governo, mentre il 23 luglio il Re lo riceve al Palazzo del Quirinale.

Egli aveva proposto al Re un nuovo Governo retto da Giovanni Giolitti, presumibilmente l’unico che avrebbe potuto pacificare le parti in causa.

Dopo alcune settimane non nomina più Giolitti e propone di far parte come Ministro senza portafoglio di un “Governo di unità nazionale”, sotto la presidenza di Orlando e De Nicola. La proposta non ottiene risultato positivo. Don Sturzo (Popolari), Modigliani, Matteotti e Treves (Partito Socialista) si dichiarano contrari, sebbene Mussolini avesse proposto, in cambio, lo scioglimento delle squadre armate.

L’11 ottobre contesta l’azione di Balbo (aveva occupato Parma) e si pronuncia in modo conciliante.

Intanto agli inizi del 1922 il fiumano Marsich opera una vera e propria scissione, seguito da molti fedeli favorevoli ai piani insurrezionali.

Balbo, però a sua volta preme per un’azione di forza e minaccia di procedere senza Mussolini alla marcia su Roma. A Napoli ha luogo un importante Congresso in cui le forze fasciste sono presenti in quantità imponente.

Sotto la spinta di Balbo Mussolini si decide per l’azione e lo fa presente nei pressi del Teatro San Carlo di fronte a un’adunata oceanica che rumoreggia e batte i tacchi.

A Milano poco dopo si preparano i piani di “conquista”, che rievocano il Rubicone di Cesare, mentre lo squadrista “Vulpevegia” di Perugia annuncia presso la sede del Popolo d’Italia che si sarebbe diretto da Farinacci a Cremona, città già in agitazione, dove le squadre hanno assaltato la Prefettura prococando morti e feriti.

Farinacci preme per l’azione perché Mantova e Cremona non possono più attendere e il giovane redattore del Popolo d’Italia Luigi Freddi raggiunge Mussolini al Teatro Manzoni, dove è in compagnia di Margherita Sarfatti e figlia.

È il 27 ottobre

Il 28 ottobre Mussolini resta presso la Redazione del Popolo d’Italia. Tiene contatti telefonici con Roma e Perugia e promette al Prefetto Lusignoli, elevato all’incarico  per la fedeltà a Giolitti e al “regime” liberale, di nominarlo Ministro degli Interni.

I cordoni di polizia e carabinieri tengono Mussolini sotto assedio, ma più che altro lo proteggono da eventuali “malintenzionati”.

Poco dopo giunge una telefonata da Roma che sollecita Mussolini a entrare in un Gabinetto presieduto da Salandra. Cesare Forni, capo squadra milanese, lo sconsiglia. Quindi la telefonata di Lusignoli in cui esprime la convocazione del Re al Quirinale. Mussolini replica che sia necessario ottenerla per iscritto. Cosa che accade poco dopo con il seguente telegramma: “Urgentissimo precedenza assoluta onorevole Mussolini Milano – stop – Sua Maestà il Re mi incarica di pregarla di recarsi a Roma desiderando conferire con lei ossequi. Generale Cittadini”.

Mussolini è felice ed esterna i suoi sentimenti al fratello Arnaldo: “Se a i foss e’ bà” (se ci fosse il babbo…).

Invia Freddi alla Prefettura con un plico riservato in cui c’è l’accettazione della convocazione.

La sera stessa Mussolini (che non ha partecipato assolutamente alla Marcia su Roma) in vagone letto si mette in viaggio per Roma, dopo essersi raccomandato di assaltare la sede dell’ “Avanti!” per impedirgli di sobillare uno sciopero generale.

A Roma trova un ambiente a lui favorevole, tutto sommato calmo e tranquillo.

Raggiunge il Quirinale, dove il Re lo riceve immediatamente. Indossa la camicia nera e si scusa con queste parole: “Scusi la mia “mise”, ma vengo dalla battaglia”. È invece un falso storico che egli abbia pronunciato le parole, che poi gli sono state attribuite: “Maestà, Vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”.

Il pomeriggio Mussolini passa dalla sala-doccia, rinnova l’abbigliamento e si presenta al Re in una specie di frac, con pantaloni rigati grigio-perla e cilindro. In effetti si tratta di un “collage” di fortuna: i pantaloni sono di Finzi e fanno pieghe “indecenti” sulle scarpe perché troppo lunghi; il giubbotto con le code è di Sardi e presenta le maniche troppo corte. Spiccano invece i polsini dorati di Cesare Rossi. Non indossa le ghette, che solitamente “arredano” il suo abbigliamento, spesso di fortuna.

Mussolini è stato un uomo elegante? Difficile dirlo. A Versailles tutti erano rimasti colpiti dall’abbigliamento del Presidente statunitense W. Wilson, che, per giunta, era un bel pezzo d’uomo ben composto, e sul quale, purtuttavia, la stampa aveva ironizzato a causa della sua protesi dentaria, in cui si alternavano gli “eburnei” denti finti di avorio e le capsule dorate.

A Roma, invece, Mussolini si presenta vestito come un cafone di provincia. Di fronte al Re pronuncia poche e sconnesse parole, ma sa il fatto suo.

Porrà rimedio al suo “malconcio” abbigliamento. Indosserà sempre vestiti di buona manifattura, blu, grigi o marrone, la bombetta, il fermacravatta e i gemelli. Non sarà mai elegante nel portamento. Rimarrà un borghese piccolo piccolo… che, per giunta, non ha mai fatto la Marcia su Roma, così come non ha mai rappresentato l’Italia del Piave e di Vittorio Veneto.

Sarà invidioso, come Nerone, Caligola, Stalin e Napoleone, degli uomini di bell’aspetto, sebbene promuoverà un ampio programma di educazione fisica. Odierà l’aspetto di Italo Balbo, degli Ammiragli Angelo Iachino, Inigo Campioni, Carlo Bergamini, Luigi Rubartelli,  e, pure, del Principe Umberto.

Egli dichiarerà di essere alto un metro e sessantanove, ma la sua “colossale statura” risalterà esclusivamente quando gli capiterà a fianco il Re Vittorio Emanuele, che è alto soltanto un metro e quarantasette e pesa 42 chilogrammi… secondo i più “generosi” biografi. Si tratta di evidente risparmio energetico… giacché una teoria scientifica postula che gli animali più mastodontici (ad esempio, i dinosauri) siano scomparsi a causa della loro eccessiva richiesta calorica, che il globo terracqueo non poteva (e non avrebbe potuto) soddisfare.

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