“Omnia Vincit Amor” l’ultimo lavoro editoriale di Giuseppe Pellegrino sarà presentato il 13 dicembre presso l’ex Convitto Palmieri
Omnia Vincit Amor
La fragilità e l’amore (estratto dal libro “Omnia Vincit Amor”)
C’è un filo conduttore comune che unisce le narrazioni
di questa mia raccolta poetica e gli spunti di riflessione che
ne derivano: la Fragilità umana e l’Amore.
La fragilità è una condizione fisica e psichica, un’esperienza
emozionale, un assetto cognitivo ed esistenziale che
fa parte integrante della vita stessa.
Siamo abituati ad associare alla fragilità immagini negative
come la debolezza, l’immaturità, la malattia, l’inconsistenza,
la mancanza di forza, determinazione, produttività
ed efficienza. E come tale, la priviamo di senso e di valore,
le attribuiamo trepidità morale, caducità, vulnerabilità.
Ma pochi vedono in essa valori di esistenza superiore
quali l’empatia, la delicatezza, la gentilezza, la grazia, la spiritualità,
la dignità: tutti attributi e virtù che ci consentono
di entrare più facilmente in sintonia con gli altri, coltivare
la compassione (nel senso del patire-cum), leggere e decriptare
gli stati d’animo altrui, ed in ultima analisi, valorizzare
e rispettare la ricchezza che viene dall’altro da se’.
Fragile è una condizione che vive in un equilibrio instabile,
che facilmente va in crisi e si deteriora, che genera
sofferenza e dolore. Fragile è un assetto psicologico che con
poco rischia di rompersi e franare.
È fragile la timidezza, il pianto, il silenzio di chi ha perso
o non trova le parole per esprimere le emozioni che picchiano,
che urlano, che squarciano il cielo e fanno male;
ma è fragile anche il sorriso, la preghiera, il raccoglimento
con se’ e tra se’, la gioia e la percezione netta e prorompente
del dono della vita.
Fragile è l’adolescente, l’anziano solo, il portatore di handicap,
il malato. E fragili sono tutte quelle condizioni accomunate
da vulnerabilità e sensibilità e che patiscono della
noncuranza, della indifferenza, della protervia, del predominio
violento ed aggressivo dell’uomo sul suo simile.
Fragile è anche la consapevolezza della finitudine esistenziale,
la percezione del vuoto di senso, la nostalgia di
epoche felici passate che non potranno più tornare a farci
compagnia, a consolarci, a farci gioire e sentire la serenità
sulla pelle e le farfalle nello stomaco.
La fragilità è nell’ombra, nella notte insonne, turbata
da sogni e paure, nel buio dell’anima, nel climaterio della
vita, nella solitudine esistenziale ed esperenziale, nell’omologazione
e nel vuoto di pensiero, nella mancanza di fame
di nutrimento di valore, nella sopraffazione, nella guerra
di trincea ed in quella ingentilita da giacca e cravatta, tra
algoritmi di produzione e risultati aziendali.
La consapevolezza di tale condizione umana rende difficili
ed a volte impossibili le relazioni interpersonali perché
si è vinti dalla paura del rifiuto, dell’abbandono, della non
accettazione, della privazione di ascolto e di aiuto, dalla
paura di diventare trasparenti nell’indifferenza affaccendata
del mondo che pulsa di vita.
Sono fragili la tristezza, la speranza, l’amicizia, l’amore
in tutta la loro portata d’umanità ed in tutto il loro fulgido
splendore emozionale e spirituale.
Sono fragili anche le virtù tipicamente femminili della
gentilezza, del sorriso, dell’accudimento, del calore umano
da infondere con la dolcezza, la mitezza, la tenerezza,
il maternage laddove, esattamente all’opposto, c’è la desertificazione
emozionale, la costruzione di muri, recinti e
fossati divisori, concime e nutrimento per la solitudine che
corrode la mente, che preannuncia la morte, che inquina
oasi, fiumi e serre di vita.
Insomma, la fragilità è lo scheletro portante di questa
meravigliosa e miracolosa esperienza che chiamiamo Vita,
la vita umana dell’uomo e della donna accomunati da tale
vissuto esperenziale che travalica e supera ogni diversità di
genere, nella quale l’alterità e la diversità si annullano, la
differenziazione si riconcilia e guadagna valore.
Mi convinco sempre più e ritengo che sia utile allenare
la mente, coltivare buoni propositi, motivazione ed umiltà
per educarsi ed educare ad una maggiore consapevolezza
della fragilità che fa parte integrante della nostra vita.
È grazie alla letteratura, alla poesia, alla musica, all’arte
in genere che si potrebbe valorizzare la propria attitudine
all’introspezione e con essa al riconoscimento ed alla
valorizzazione della propria fragilità e sensibilità affinché
diventino forza ulteriore, ricchezza di senso, valore
spirituale.
Purtroppo però, in questo scorcio di terzo millennio, si
tende ancora a pensare alla fragilità come ad un minus di
vita che merita, nel migliore dei casi, solo pietà e compassionevole
biasimo.
Io voglio invece valorizzare la fragilità, voglio prendermene
cura, voglio pensarla come esperienza umana in sé
ma anche come strumento di elevazione cognitiva, culturale,
psicologica e spirituale.
Non voglio affatto demonizzarla, né scacciarla dagli
abissi del mio Io, voglio banchettare con essa e costruire
per essa altari e vetrine, voglio renderla parte di me e ringraziarla
per la dolorosa sensibilità che mi risveglia. Quella
sensibilità che mi fa piangere di commozione per un verso
partorito, per una gioia condivisa, per un dolore empatizzato,
per un’amicizia ritrovata, per un lutto elaborato, per
un’emozione scongelata, per una promessa d’amore eterno
elargita anche in tarda età, nella senescenza della vita.
“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i
fiori”, cantava Fabrizio De André.
Io, metaforicamente, faccio mia questa geniale poetica intuizione,
la adatto alle cose della casa della Psiche tramite la
lente osservazionale del mio essere psicoterapeuta e condita
con una dose di infantile innocenza, recuperata dalle asperità
del mio essere adulto che non vuole invecchiare, ne ho fatto
più volte il principio ispiratore delle mie liriche scimmiottanti
poesia, nell’illusione che “Omnia Vincit Amor”.
L’amore appunto, la condizione in assoluto più fragile
dell’esperienza umana, questa parola tra le più inflazionate
al mondo nella sua molteplice varietà di significati.
E non posso non richiamarmi alla grecità classica, dalla
cui culla d’amore siamo venuti alla luce noi occidentali.
Presso i Greci esistevano cinque forme di amore: l’Eros, l’amore
sensuale, la Philia cioè l’amicizia, la Storghè, l’amore
dei genitori verso i figli, la Xenia ossia l’amore verso l’ospite,
tanto celebrata nei poemi omerici, ed infine l’Agapè,
l’amore incondizionato, quella sublimazione che porta a
donare completamente se stessi fino all’annichilimento del
proprio Io.
Amore dunque è un termine polisemico che oscilla tra
la dimensione spirituale e l’appagamento edonistico e biologico.
È solo tramite l’amore che l’Io si proietta al di fuori
della dimensione della contingenza e da Eros presente nel
caos magmatico della vita, si fa Agapè, perfetta simbiosi tra
amante ed amato, annichilimento del Sé in favore dell’altro
da sé che genera armonia ed unità e sconfigge la Babele del
mondo.
Questo primordiale sentimento, dunque, attraverso un
elaborato processo dialettico diventa sintesi, generazione di
vita, armonia, melodia, superando la staticità dell’Essere ed
assumendo quel dinamismo che porta alla più alta conoscenza
e realizzazione di se stessi.
L’amore è la vera estetica della vita che porta alla catarsi
tutte le passioni, che purifica ed eleva l’animo dall’effimero,
dal transeunte, dall’impermanenza dei desideri e dal recinto
delle illusioni delle nostre chiusure egoistiche.
L’amore è palpito energizzante che si dischiude alle meraviglie
del Creato. L’amore dunque è la più sublime delle
fragilità, la più umana delle dimensioni ontologiche e la
più spirituale delle preghiere.
Ho voluto pennellare con la biro queste due dimensioni,
la Fragilità e l’Amore e farle danzare in armonia tra loro,
lungo le oscillazioni pendolari della molteplice ed intricata
dimensione del tempo della vita, nell’illusione o nella
speranza di una riconciliazione tra deboli che dialogando,
generano forza ulteriore e mettono ordine al Caos esistenziale.
Ed è proprio dal Caos, ammasso multiforme e totipotente,
magma originario, coacervo interiore ed esterno di
molteplicità, intrico di semplicità e complessità, che si genera
la condizione essenziale per la Vita e per l’evoluzione
di ordine superiore della Vita stessa.
La condizione esistenziale del terzo millennio ci impone
la definizione, la nitidezza, la precisione, l’efficienza, la
produttività, l’omologazione delle maschere senza anima,
la luce artificiale e violenta che annienta la zona d’ombra
dell’esistenza di ogni singolo individuo: l’uomo rischia di
perdere la propria ombra, il proprio spazio di indefinito, di
caos vitale e di fragilità che apre alla Passione ed alla Vita.
Auspico pertanto una riscoperta della nudità e dell’ombra,
una valorizzazione del diritto alla Fragilità da mostrare
e non da nascondere, un perdersi indifesi tra le braccia
dell’Amore che vince sopra ogni cosa.