Olocausto di Luca Imperiale, I Quaderni del Bardo Edizioni. Recensione di Lidia Caputo
La prima impressione nel leggere già l’introduzione della silloge poetica di
Luca Imperiale è quella trovarmi dinanzi ad un testo polifonico e
poliprospettico in cui si intrecciano vari piani-spazio-temporali che si
condensano in un presente, vissuto nelle sue molteplici esperienze, non da un
solo soggetto, ma da un io frantumato in molteplici personaggi. Incontriamo il
rabbino, il prete, il vecchio soldato, masse di cannibali che si nutrono della
fragilità degli idioti(p.28),disperati che svuotano nelle vene fiale di veleno(p.
40), adolescenti con il fegato disintegrato che dicono di vedere il mare (p,38),
deportati in nere baracche (p.57) che non appartengono solo ai campi di
concentramento tedeschi, ma alle baraccopoli di Gaza, Siria, Egitto, Messico,
Brasile Columbia Filippine ,India, Congo e gli altri innumerevoli insediamenti in
tutto il mondo in cui la persona umana è stata violata e calpestata.
Avvertiamo una gigantesca sproporzione tra il destino di coloro che vivono
nell’agiatezza, nella gioia e nel benessere psico-fisico e questa moltitudine
degli ultimi della terra, disprezzati, angariati, derisi, schiacciati come si fa con
gli insetti molesti.
L’autore è riuscito ad immedesimarsi in ciascuno di questi lerci individui,
puzzolenti e senza volto, consunti dalla nostra indifferenza e abominevole
ipocrisia di cristiani senza Cristo, di rabbini senza legge, di preti senza
misericordia. A me non sembra che questi personaggi siano simboli di sacralità,
poiché qui le preghiere sono un insulto a Dio, sono una bestemmia contro
l’umanità.
La silloge di Imperiale, pur presentando luoghi, episodi, personaggi tra loro
difformi per natura, epoca storica, posizione sociale, fede religiosa, li collega
tra loro in una relazione di carattere ontologico, come membra dilacerate di
uno stesso corpo e di un’unica anima, che è quella dell’autore, ma al contempo
di tutta l’umanità, lanciando una sfida: come è possibile essere felici, quando
la maggior parte della nostra umanità al posto del cielo ha l’inferno sopra la
propria testa e al posto delle stelle contempla la scia agghiacciante dei missili
che colpiscono palazzi, scuole, ospedali?
Tuttavia nei versi di Luca ci sono delle aperture alla speranza e al
riconoscimento che nell’altro c’è la mia stessa volontà di rinascita, nello sterco
della storia fiorisce un seme di amore e di rivincita dell’Umanità contro la
barbarie della guerra e dell’odio.
Leggiamo a pag.30:
Quado finirà il brutto tempo/andrò a vedere le stelle- /deciderò presto se mi
avvicinerò alle stelle/ o le fisserò dal fondo del mare, dal vero profondo./ pure i
pensieri stanno consumandosi/ e non ho ancora lavato la faccia/per capire
quanto manca al ritorno del mio papà… / tornerà appena laverò gli occhi/ciao
papà.
Nella lirica a pag. 44 i protagonisti sono coloro che continuano a scrivere
sotto l’inferno del cielo illuminato da sinistri bagliori: Tanti di noi/ e pure di
loro/scrivono, scrivono,/durante i fuochi e le fiamme;/ scrivono, scrivono, non
sapendo come fare/ a tornare dove c’è l’altalena. Chissà se i giardini sono
fioriti/ a volte basta la pioggia/a far sorridere i fiori;/e il grano attende sempre/
di essere sfiorato dalle giovani dita,/ dalle vecchie dita, la terra rossa
dialoga/con le rughe che cantano ai nipoti/ la bella storia dei popoli in piazza/
ad applaudire gli sposi.
Un analogo sentimento di rinascita alimenta la poesia a pag. 51, che descrive
l’uomo col chitone bianco, che viene sparato da un giovane soldato, ma si
rialza in piedi e non ha nessuna ferita, la neve intorno a lui è la stessa del
Natale, e la serenità è a pochi passi.
Queste liriche ci interrogano, ci mettono in discussione come membra attive di
un nuovo esistere al mondo insieme alle altre creature, prima ancora di porci
come soggetti autonomi, ci uniscono in una sfida contro l’individualismo, il
materialismo, il trionfo del militarismo e dell’impero cibernetico, nonché la
violazione degli equilibri naturali.
Luca ha delineato con icastica crudezza i perversi meccanismi del sistema
politico e del potere tout court, trasmettendo nel suo stile incisivo e al
contempo surreale, le vibrazioni e le angosce della sua anima che si espande
all’infinito nell’anima dei perseguitati, dei seviziati degli emarginati di ogni
tempo. La dimensione simbolica e metaforica in alcune delle sue liriche
porta alla luce i simboli e gli archetipi legati alla natura e ai luoghi della
memoria, che si riverberano sull’ immaginario collettivo.
Come nell’Epos omerico c’è in questa silloge il senso tragico della lotta contro
le “sirene del potere, nonché “la tensione eroica verso la costituzione di un’
unità cosmica di tutti gli esseri, nelle molteplici forme dell’apparire e
dell’interagire con la cultura e la società .