NUOVE RELIGIONI, ESPERTI DI SETTE E MEDIA, UNA RELAZIONE DA RIPENSARE
“Da circa mezzo secolo continuano a verificarsi tensioni tra i nuovi movimenti religiosi e i cosiddetti movimenti anti-sette, le cui rappresentazioni negative delle nuove religioni sono ancora oggi ampiamente accolte e rafforzate dai mezzi d’informazione. Nonostante i nuovi movimenti abbiano intrapreso un percorso di dialogo con le religioni tradizionali, i mass-media continuano a etichettarli come ‘sette’, nell’accezione spregiativa del termine. Oggi analizzeremo le cause e il ruolo che i cosiddetti esperti di sette hanno svolto nella percezione di questo fenomeno.”
Con queste parole, Pierre Beauregard, Direttore esecutivo dell’Associazione Internazionale Media per la Pace (IMAP-Canada), ha aperto i lavori del seminario “New Religions, Cult Experts and the Media,” ovvero “Nuove Religioni, Esperti di Sette e Media,” svoltosi martedì 25 luglio 2023 online.
All’incontro, moderato da Ray Lipowcan, Direttore esecutivo di Universal Peace Federation (UPF-Pennsylvania occidentale), sono intervenuti Thomas Ward, Rettore e Professore di Studi per la Pace e lo Sviluppo, HJI Scuola di Specializzazione per la Pace e la Leadership Pubblica; e Joel J. Campbell, Professore Associato, Scuola di Comunicazione BYU, Utah.
Lipowcan, presentando il seminario, ha osservato che “oggi nell’era dei computer sono diverse le piattaforme dalle quali attingere le informazioni, ma per prendere decisioni informate abbiamo bisogno di fonti attendibili. La domanda è: ‘A chi dare fiducia e dove trovare notizie credibili e rigorose’?” Ha proseguito rilevando che è diventato difficile capire ciò che è vero e affidabile da ciò che non lo è. Questo vale anche per il mondo delle religioni, in particolare quello dei nuovi movimenti religiosi. “Esamineremo con i nostri qualificati relatori il modo in cui sono rappresentati dai mezzi d’informazione a partire dagli ultimi decenni a oggi”.
“La prima volta che mi sono accorto dei pregiudizi della stampa,” ha esordito Ward, “è stato quando ho cominciato a studiare il modo in cui i media si sono occupati dei Paesi caduti sotto il dominio comunista. Ho scoperto più e più volte che i mezzi d’informazione tendevano a valutare il fenomeno in modo poco lungimirante. Attaccavano i regimi minacciati, non riuscendo a capire quale sarebbe stato il loro destino se fossero stati conquistati dai comunisti. Sorte che tutti noi ben conosciamo”.
Il relatore ha spiegato di aver cominciato a interessarsi di come la stampa affronti il fenomeno delle nuove religioni e, in particolare, della sua Chiesa dell’Unificazione per lo stesso motivo, rimanendo colpito dal modo controverso con cui ancora oggi la questione è gestita.
Ward ha continuato illustrando alcuni punti del codice etico della Società dei giornalisti professionisti, che sono contrari agli stereotipi, a favore di chi non ha voce e di chi è perseguitato a causa di coperture mediatiche negative. “In molte occasioni la stampa è stata colpevole di violare il codice etico nella copertura mediatica delle nuove religioni,” ha affermato, rimarcando che se i media possono esercitare un’enorme influenza positiva sulla società, come avvenuto in casi storici, ad esempio il Movimento per i Diritti Civili negli USA, possono anche alimentare un’atmosfera di ostilità e isteria verso le nuove religioni.
Per lo studioso, un modo frequentemente utilizzato è quello della terminologia, dove la parola “setta” è usata prevalentemente al posto di nuove religioni ed è spesso applicata in modo dispregiativo. Essa evoca l’idea di gente che danza intorno al fuoco bevendo sangue e crea un’immagine inquietante e disumanizzante, diversamente dal trattamento rispettoso riservato dai media ad altre minoranze della società. “Si potrebbe obiettare che si tratti di un termine clinico, ma sappiamo qual è l’impatto reale di questa parola”.
Il relatore si è poi soffermato sulla teoria della comunicazione dell’Agenda-setting, che ipotizza la possibile influenza dei mass-media sull’opinione pubblica in base alla scelta delle notizie “notiziabili” e allo spazio loro concesso. È il caso delle campagne di stampa sensazionalistiche contro i nuovi movimenti religiosi, etichettati come sette pericolose, che se ripetute e condotte con grande enfasi favoriscono la percezione negativa del grande pubblico. Un’altra teoria affrontata è quella del Gatekeeping, che definisce la pratica di dare o negare l’accesso a voci differenti della società e la visione semplicistica dell’offerta delle notizie.
Un altro aspetto rimarcato da Ward è l’erronea attribuzione di autorità che i media conferiscono ai cosiddetti “esperti”, esponenti del movimento Anti-sette, che non possiedono le credenziali accademiche necessarie per affrontare il fenomeno con la competenza richiesta, a differenza degli studiosi di religione qualificati che hanno una profonda conoscenza e una grande oggettività. I primi sono animati da ostilità; giudicano le nuove religioni basandosi su criteri puramente psicologici; considerano le malefatte di una nuova religione non come un’eccezione ma come una regola diffusa e usano un linguaggio ingannevole.
Citando Massimo Introvigne, presidente del Centro Studi sulle Nuove Religioni in Italia (CESNUR), Ward ha affermato: “Se si valuta una religione in conformità a criteri puramente psicologici, si apre la strada a considerare tutte le religioni basate su criteri puramente psicologici”.
Il secondo relatore, Joel Campbell, ha spiegato che nel 2018 il Presidente e Profeta della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, la chiesa cui appartengo, ha chiesto al mondo di non chiamarli più “Mormoni”. L’Associated Press, dopo aver aderito alla richiesta, ha in seguito fatto marcia indietro. Attualmente, molti giornalisti usano per comodità il nome per esteso solo all’inizio degli articoli, ma poi riutilizzano la vecchia denominazione, che è usata in particolare nei pezzi di critica e di scherno, come dimostrato in uno studio condotto al riguardo.
Campbell, in un articolo da lui scritto sulla rivista della Società dei giornalisti professionisti di cui fa parte, ha esortato i colleghi ad “andare a parlare con i credenti, invece di rivolgersi a persone che non capiscono la sua fede o credono di capirla”. Ha citato il libro di Jon Krakauer, da cui è stata tratta una serie televisiva, “nel quale la premessa dell’autore è che la tendenza alla violenza è parte del DNA dei Santi degli Ultimi Giorni. Si tratta di un’accusa ridicola, ma che è stata ripresa, enfatizzata e corredata da numerosi stereotipi dalla popolare serie TV”.
Tre regole andrebbero applicate all’informazione religiosa e per capire una religione: parlare con i suoi aderenti e non con i suoi nemici; non confrontare i punti di forza della propria fede con quelli più deboli delle altre; e lasciare spazio all'”Invidia Celeste”. Ha raccontato di quando il Vescovo Luterano della Chiesa di Svezia ha pubblicamente ammesso di avere un'”invidia celeste” per la pratica del battesimo dei defunti e degli antenati della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, che condivideva. “Un bell’esempio di sostegno reciproco e di armonia interreligiosa”, ha commentato Campbell.
Ha terminato elencando i sette “vizi capitali” dell’informazione religiosa: usare definizioni semplicistiche e stereotipate; ritenere che fede religiosa e credo politico corrispondano; considerare le dottrine e le tradizioni religiose come mere opinioni; riportare per pigrizia le informazioni e le dichiarazioni delle solite fonti; concentrarsi sui grandi eventi religiosi nazionali e trascurare quelli locali; focalizzarsi sugli aspetti sensazionali della vita religiosa; e ignorare il ruolo delle religioni in importanti aspetti della vita moderna.
IMAP, sponsor dell’incontro, riconosce il ruolo vitale dei giornalisti per contrastare i totalitarismi, per difendere ed estendere la libertà. È un network internazionale di giornalisti professionisti che sostiene e promuove la responsabilità etica e sociale dei mezzi d’informazione per trasmettere contenuti accurati. Si propone di affrontare le sfide del nostro tempo sulla base dei più alti principi del giornalismo etico, nella convinzione che i valori universali siano gli elementi chiave per un mondo di pace. IMAP è un progetto di Universal Peace Federation (UPF) inaugurato nel corso del Summit mondiale 2020, svoltosi a Seul, Corea del Sud.