IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Notte d’estate a Roma per adempiere un voto

Roma - Chiesa Madonna del Divino Amore

di Rocco Boccadamo

E’ noto che nelle vicinanze di Roma, in zona Castel di Leva, precisamente al km. 12 della Via Ardeatina, sorge un Santuario intitolato alla Madonna del Divino Amore, fulcro di culto popolare sia per gli abitanti della capitale, sia per folte schiere di credenti di altre località e regioni. A tal edificio sacro è collegata un’antica storia. Sin dal XIII secolo, in quel posto, esisteva una fortezza nobiliare recante, sulla torre, l’immagine della Vergine assisa in trono, in braccio il Bambino, e una colomba – lo Spirito Santo – discendente su di Lei. Nel 1740, un viandante che si stava recando a Roma, si trovò circondato da una muta di cani randagi, col serio rischio di finire sbranato. Al che, egli alzò gli occhi verso l’effige e chiese aiuto alla Vergine: i cani, improvvisamente, si dispersero.

Di lì a poco, fu eretta una chiesa.

Invece, forse pochi sanno che ogni notte fra il sabato e la domenica durante la bella stagione, esattamente da Pasqua a ottobre, e, infine, il 7 dicembre, vigilia della festività dell’Immacolata Concezione, si svolge, da lunga pezza, un pellegrinaggio a piedi da Roma al Divino Amore, coprendo un percorso di circa quattordici chilometri.

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Sabato d’inizio estate, ore ventitré circa, centro di Roma. Atmosfera stranamente silenziosa, quasi ovattata, i rumori del traffico sembrano lontani. In sordina, vanno convenendo stuoli di pellegrini di tutte le razze, giovani, di mezza età, anziani, donne soprattutto, moltissimi rappresentanti del cosiddetto terzo mondo.

Presenze, ma non molte, di persone che hanno scelto la vita consacrata. Una sorta di fotocopia ideale e a tutto campo di razze, lingue, culture, colori della pelle dei più svariati, come se si concentrassero qui intere tribù, nazioni o continenti, milioni d’esseri umani. Comune il “progetto”: incamminarsi verso una méta. Raggruppatosi un piccolo esercito di circa trecento partecipanti, si parte, come di consueto, a mezzanotte in punto dal marciapiede davanti al palazzone della F.A.O., in prossimità del Circo Massimo, area notissima sia per gli scavi e i ruderi, sia per essere sovente sede di eventi e spettacoli grandiosi, con palchi enormi, amplificatori megagalattici, decine se non centinaia di migliaia di spettatori vocianti, raggi di luce ecc.

Quale contrasto, perciò, rispetto allo spettacolo odierno! Il rituale è fatto di preghiere e canti, in testa alla processione la croce (già di semplice legno e ora di cristallo, luminosa a intermittenza) portata a turno da partecipanti all’uopo prenotatisi e predispostisi interiormente, pochissime luci, solo tante candele e ceri, altoparlanti rudimentali al centro e verso la fine del corteo. Si odono i rumori dei passi e basta, il tonfo leggero o l’accennato stropiccio delle scarpe; taluni pellegrini compiono il percorso a piedi nudi, la pelle a diretto contatto col selciato o asfalto. Niente scambi di chiacchiericci su problemi privati o fatti di cronaca o gossip, la qual cosa, invece, ricorre abitualmente, purtroppo, in analoghi riti ordinari, laici e non soltanto tali. Ampia e articolata sequenza di preghiere e canti, si diceva, soprattutto con l’invocazione di un nome in molteplici varianti: Maria, Madonna, Madre di Dio, Vergine, Madonna del Divino Amore.

“Viva, viva, sempre viva ” la Madonna del Divino Amore, ” fa le grazie tutte l’ore ” noi l’andiamo a visitar” è il ritornello che affiora al primo incedere del corteo. Corale e sentito, riecheggerà più volte in seguito.

A voler interiorizzare su un altro aspetto, costituiscono, i pellegrini di questo genere, un folto gruppo di privilegiati, insomma di persone speciali che sono state ispirate a trascorrere e spendere così una notte di fine settimana in luglio. Di contro e in confronto a loro, pur col rispetto d’ogni libera scelta, sembrano perdenti e poveri i serpentoni di gente in fila per entrare in un locale, incrociati dopo un iniziale tratto di processione.

Nel primo caso, opportunità di partecipazione intensa che resterà viva dentro, nel secondo, routine di un divertimento che si esaurisce senza nulla lasciare dietro di sé. La prima tappa, non vera e propria sosta, coincide con un posto assai indicativo, le Fosse Ardeatine. Attimi di profondo raccoglimento per tutti, anche per coloro – vale a dire la larga prevalenza dei partecipanti – i quali non hanno vissuto e/o conosciuto i tragici eventi storici che il luogo ricorda. A seguire, la sgroppata mediana e di maggiore consistenza verso il traguardo intermedio successivo, all’estrema periferia della metropoli, in un punto conosciuto come il vecchio dazio, dove si arriva intorno alle 2.30 del mattino. Sempre fra canti, preghiere, letture, meditazioni, riflessioni. Qualche notazione. Pochi – già si ricordava prima – i preti o frati o suore, l’evento si caratterizza come appartenente alla gente comune che però, nella fattispecie, si potrebbe nello stesso tempo definire “gente speciale”.

Alcune poste del Santo Rosario che si snoda durante il pellegrinaggio sono recitate in idiomi diversi dall’italiano: croato, aramaico, eritreo, ucraino, spagnolo, portoghese, rumeno. Verso la periferia, dietro la persiana di una modesta casetta, una candela e il volto di una donna anziana. Si è alle 2 del mattino. La scena si rinnova tutte le domeniche? Se è così, trattasi dell’istantanea più bella e più vera del pellegrinaggio. Più avanti, un’altra casettina conciata male, eppure occupata e costituente la dimora di una coppia d’immigrati: i due sono ancora in piedi intenti a lavorare, affaccendati; si vede che, per loro, ha cadenza quotidiana il pellegrinaggio verso la sopravvivenza.

Quando, durante i canti, s’invoca la Vergine, centinaia di candele accese si alzano in alto, magnifica suggestione nel buio: alla stregua che ognuno, in modo identico, volesse trarre da dentro di sé e offrire alla Madonna il pregio della fede, di un credo. Non molti gli italiani (3 o 4 su dieci), la maggioranza è fatta d’immigrati, folta la rappresentanza di pellegrini provenienti dai paesi dell’est europeo. Questi ultimi non recano candele ma ceri, ognuno con attaccato sopra un foglietto di carta alla buona, riportante la scritta in stampatello di un nome e un cognome: parrebbe che gli interessati tenessero a lasciare, in questa notte, la materiale prova e la testimonianza fedele del loro itinerario di devozione. Quante storie negli occhi che animano e vivificano la scena! Sì, fondi di mestizia e sofferenza, ma anche barlumi di speranze e di attese.

Ritornando al “viaggio”, sosta ristoro di una mezz’oretta, ripartenza alle tre, in direzione della destinazione finale. Intanto la calda notte romana va incedendo sempre più profonda, anche se, man mano, la temperatura regredisce di qualche grado. Progressivamente, ci si stacca dalle luci superbe e invadenti della capitale e rimangono quelle più sommesse dei margini urbani. Ecco il sottopasso del Grande Raccordo Anulare; attraversandolo, si prova una sensazione davvero strana nel riconoscersi parte di un corteo di pedoni – pellegrini, mentre sulla propria testa sfrecciano moltitudini di bolidi e nugoli di frettolosa umanità: come se, sotto, allignasse un “mondo” diverso, se non agli antipodi, rispetto a quello in vorticoso movimento, sopra. Il silenzio dell’habitat naturale, comunque, torna presto a prevalere e avvolge anche il proseguimento delle preghiere della processione.

Mancano ormai solo pochi chilometri al colle su cui si erge il santuario, s’incede dunque in leggera salita: dal 1999, la “casa” della Madonna consiste in una nuova, moderna e grande chiesa, inaugurata e consacrata dal Papa dell’epoca, ora  S. Giovanni Paolo II. Dopo l’ultima sosta, mentre va distinguendosi e debuttando l’alba del nuovo giorno, fa capolino un senso di spossatezza, che però sembra scomparire del tutto all’arrivo nel santuario, con l’effige della Madonna troneggiante dalla sommità dell’altare. Nella mente dell’autore dei presenti appunti, intanto che si consuma l’ultimo tratto del cammino, sobbalzano i ricordi di due precedenti identiche esperienze. Certo, allora l’atmosfera era un po’ differente, c’era ancora il lavoro attivo e vigeva una migliore prestanza fisica e motoria; ora, invece, le attività, sebbene variegate, non sono più scandite dall’orologio, qualche acciacco si affaccia di tanto in tanto e si lascia sentire.

Lo spirito fondamentale è però immutato, la forza di volontà identica, vigoroso lo stimolo interiore: quasi una sfida alle imperfezioni, ai limiti e ai difetti della quotidianità, specialmente in seno alle relazioni con gli altri, vuoi che si tratti di persone vicine o famigliari o care, vuoi che siano persone lontane. Adesso come in passato, lo scopo è raggiungere quel sito, portarsi ai suoi piedi e presentarle tutte le proprie miserie, almeno per un momento, con animo trasparente e sincero. Astraendo dai riferimenti personali, l’atmosfera d’insieme è d’alta partecipazione, di commozione diffusa, di fede.

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