Notre Dame de Paris, il musical capace di stupire e far sognare
di Giulia Calò
Avevo all’incirca sei anni quando l’ho visto per la prima volta su una vecchia videocassetta, l’ho rovinata e consumata ma ho imparato tutte le canzoni. Certo a sei anni una bambina rimane affascinata dai vestiti, dalle musiche, dai balletti e poi… poi cresci e il musical rimane lo stesso, ma ti affascinano cose diverse.
Grazie Notre Dame de Paris perché a quella bambina di sei anni che poi è cresciuta hai insegnato che è difficile «fare un mondo dove non c’è più l’escluso», è difficile «fare un mondo senza povertà né frontiere». Grazie perché mi hai insegnato che il mondo non è giusto quando dà «zero a noi e tanto a loro» dimenticandosi che «anche a noi stracci della terra la vita piacerebbe bella».
Grazie perché mi hai fatto scoprire che l’amore non è un semplice sentimento, come la rabbia, la felicità, la tristezza, ma è un qualcosa che ti coinvolge tutto dalla testa ai piedi; un qualcosa che può sfociare in odio («non capisci quest’odio è perché ti amo»); qualcosa che può fermarsi all’attrazione e non andare oltre («chi è l’uomo vivo che potrebbe rinunciare») o qualcosa per cui vale la pena anche dare la propria vita («con te io vivrò perché con te non è morire»).
Infine, infinitamente grazie per avermi ricordato sempre di «dare l’anima alla vita». Oggi, così come 20 anni fa finiva di avvolgersi il nastro della cassetta, si spengono le luci, si chiude il sipario, ma rimangono le emozioni.