“Nella storia della filosofia politica esiste una grande filosofia della guerra, ma non esiste una grande filosofia della pace[1]”
Brano tratto da “La Maledizione della violenza – Se vogliamo la pace dobbiamo osteggiare le condizioni che la impediscono”, di Giuseppe Spedicato, Youcanprint, 2002
Osservando il nostro mondo non possiamo non renderci conto che si va verso una società che sta lasciando l’uomo senza punti di riferimento, sia laici che religiosi e quindi privo di identità sociale. Una società dove l’uomo deve odiare la cultura, deve trasformare le proprie radici culturali in folklore da utilizzare per attrarre turisti, deve pensare che la sua vita non abbia un fine nobile. In buona sostanza si va verso una società dove l’uomo lavora per la propria distruzione.
Nel mondo arabo-islamico si va verso un popolo educato a sacrificare la vita per difendere un presunto dogma religioso, ma poco disponibile a lottare a favore dell’essere umano sofferente anche se islamico. Anche in questa parte di mondo vi è l’incoraggiamento a odiare la cultura e le proprie tradizioni culturali, per sostituirle con i principi consumistici del mondo capitalistico o con principi dottrinali fondamentalisti. Quindi anche in questo caso vi è il tentativo di cancellare l’identità sociale di un popolo per sostituirla con una mediocre e per di più di importazione.
Nel mondo occidentale si avverte una difficoltà a sviluppare il pensiero e quindi a leggere il presente, probabilmente perché sono saltati i capisaldi sui quali poggiava ogni processo di conoscenza. Viviamo sempre di più in un mondo virtuale, meno umano. Finita l’epoca delle “grandi narrazioni” l’uomo è rimasto privo di punti di riferimento, ora regna la solitudine.
Si stanno quindi creando delle società inumane e l’uomo si sta adattando a queste società. Ciò però non può avvenire senza conseguenze. Non si tratta più dell’antichissima e utilissima capacità di adattarsi in un’altra società con lingua e cultura differente. Si tratta ora di programmare l’uomo ad accettare un cambiamento antropologico. Di un nuovo uomo che perde caratteristiche umane. L’umanità però non sembra adatta a vivere in questo mondo ed è per questo che si assiste a un consumo eccessivo di psicofarmaci, droghe di ogni tipo e bevande alcoliche. L’uomo si sta ammalando, si ammala perché non riesce a dare un senso alla propria esistenza.
In questo mondo è normale accettare discriminazioni e violenze contro le minoranze, contro i più poveri, oppure nei paesi islamici ad accettare la discriminazione religiosa e in alcuni addirittura le mutilazioni genitali femminili e la lapidazione, in tali contesti non si può formare un uomo propriamente di natura umana, ma si formerà un essere malato, squilibrato. Un essere che non sarà in grado di contribuire a promuovere la sua natura umana, né la sua personalità morale.
Pertanto si tratta anche di porsi l’obiettivo di rendere l’uomo più umano e ciò lo si può ottenere anche con modelli educativi adeguati e favorendo il dialogo vero, non virtuale, nelle comunità e fra le comunità. Sappiamo dagli antichi greci che è il dialogo che crea la polis, che significa anche renderla umana. Anna Arendt affermava: “Noi umanizziamo ciò che accade nel mondo e in noi stessi, parlandone e, in questo parlare, noi impariamo ad essere umani”.
Ovviamente quando si vive in una società dove viene imposta una brutale competizione, o in una società dove viene proposta una visione medievale della vita, dove vi è assenza di libertà, dove i giovani non hanno prospettive, la cultura del dialogo avrà grandi difficoltà ad attecchire e gli uomini che abitano queste società non diverranno umani per intero.
Facendoci aiutare da Dostoevskij possiamo aggiungere che l’uomo dotato di coscienza si deve nascondere, è un errore della natura. Questo perché a prevalere è l’uomo privo di coscienza, che non si crea scrupoli a danneggiare l’altro pur di raggiungere i suoi scopi. L’uomo privo di coscienza è l’essere più adeguato a sopravvivere.
- NOTE
[1] Norberto Bobbio