“Nazar e Polina. Storia d’amore di due giovani ucraini”, un romanzo di Vincenzo Fiaschitello (Prima puntata 1/18)
All’eroico Popolo Ucraino
che qualcuno, sbagliando
clamorosamente, diceva
privo di identità nazionale.
Introduzione dell’Autore
Lo scritto che qui presento nella forma di un romanzo nasce dalla constatazione di una forte somiglianza di una serie di racconti frammisti a riflessioni su eventi ed esperienze drammatiche del nostro tempo, come la negazione della identità del popolo ucraino con la sua storia, la sua lingua e la sua cultura, come la caduta del muro di Berlino, il terremoto del Molise, la sperimentazione nell’arte contemporanea.
I personaggi di tali racconti agivano in situazioni dolorose, impregnate di passioni, di smarrimento morale e comunque coinvolti inevitabilmente in uno svolgimento tragico.
Non mi è stato difficile individuare quel filo rosso che li univa e il fondale rosa per la storia di amore di Nazar e Polina, con la quale si chiude il romanzo.
Confesso che man mano che procedevo alla stesura del testo e alla ricucitura degli eventi narrati, uno scrupolo ingenuo più volte mi si presentò: la scelta di “unificare” quei racconti era dettata forse dalla richiesta di amici che mi avevano sollecitato a scrivere un romanzo, oppure da una sorta di ossequio o conformismo alle regole del gioco letterario, che guarda con maggior apprezzamento al romanzo piuttosto che al semplice e agile racconto?
A lavoro ultimato posso sicuramente affermare che le due suddette motivazioni hanno giocato un ruolo del tutto secondario, dal momento che sono stato fortemente condizionato da una spinta interiore che mi ha imposto lo sviluppo di una trama unica che si andava costruendo con naturalezza, tanto che non mi restava da fare altro che assecondare quel che udivo dentro e scrivere come un fedele scriba.
Gli avvenimenti narrati abbracciano un periodo storico di grande importanza per l’Ucraina: il tragico evento della esplosione della centrale nucleare di Chernobyl (1986); la caduta del muro di Berlino (1989); la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina (1991); l’occupazione della Crimea e la guerra del Donbass (2014).
I protagonisti del romanzo vivono nella cittadina di Orikhov, Oblast di Zaporizzja. Due cugini, Nazar e Grigor, sin da ragazzi sono entrambi innamorati di Polina, loro compagna di scuola. Grigor con il suo carattere audace e orgoglioso conquista Polina, la quale tuttavia ha stima e simpatia anche per il timido Nazar.
Dei due fratelli, Anatoly e Viktor, figli del vecchio Borys, l’uno Anatoly padre di Nazar è filoucraino; l’altro Viktor padre di Grigor è filorusso. Assunti nel corpo dei vigili del fuoco, vengono assegnati nel distretto dove si trova la centrale nucleare di Chernobyl. Da quel momento i due cugini si separano: Nazar continuerà gli studi nella nuova scuola e Grigor sceglie una scuola tecnica per prepararsi alla carriera militare.
L’esplosione della centrale nucleare porta un cambiamento radicale nella vita di Nazar. Due medici romani, marito e moglie, che hanno curato in ospedale il ragazzo, ottengono il consenso per portarlo con loro a Roma per una sorta di adozione. In occasione della caduta del muro la coppia dei medici conduce Nazar a Berlino
A Roma Nazar completa gli studi di scuola secondaria, frequenta l’università e si laurea in Storia dell’arte. Conosce pittori e galleristi di gran fama, visita musei e mostre d’arte, partecipa con gli amici a dibattiti artistici.
Nel 1991, quando viene proclamata la repubblica, torna definitivamente in Ucraina, dove prende attivamente parte alla vita pubblica e viene eletto sindaco di Orikhov.
In qualità di sindaco, alla notizia del disastroso sisma del Molise nel 2002, organizza una missione di soccorso sanitario con due medici e una infermiera dell’ospedale di Orikhov. L’infermiera è Polina, la quale si distingue per sensibilità e professionalità.
Al suo ritorno in Ucraina, Polina incontra Grigor, il quale confessa che non può più continuare a frequentarla, perché ha promesso di sposare Yeva, figlia del suo comandante, che gli assicura una brillante carriera.
Yeva è al comando di una banda di militari mercenari filorussi che combattono con ferocia e crudeltà. Quando si accorge che Grigor non dimostra più come prima grinta e cattiveria e ama Polina, Yeva si vendica invitando il padre a ritirare deleghe e incarichi a lui affidati.
Il protocollo di Minsk, firmato il 5 settembre 2014, segna la fine delle ostilità e rende la libertà a tutti i prigionieri.
Dopo la follia dell’odio e della guerra e le sofferenze patite, Nazar propone a Polina un viaggio a Roma per ristorare il loro corpo e le loro anime.
V.F.
Prefazione
Quando la storia diventa romanzo.
Dopo innumerevoli sillogi poetiche e raccolte di racconti, vede la luce Nazar e Polina, il primo romanzo di Vincenzo Fiaschitello, scritto quasi di getto sull’onda dell’indignazione per le vicende ucraine del febbraio 2022.
Un Bildungsroman in cui alla sorte dei protagonisti si intreccia la storia socio-politica dell’Ucraina, nazione prepotentemente assurta agli allori della cronaca il 24 febbraio 2022 con l’invasione russa. Ciò che accomuna il romanzo alle opere precedenti dell’Autore è la vasta cultura storica, che spazia dal mondo antico di Ipazia (Ipazia di Alessandria e altre storie), al Seicento di Artemisia Gentileschi (Artemisia e altri cinque racconti), per giungere alla storia contemporanea, frutto di una ricerca certosina e di una dedizione completa all’otium letterario. La volontà di denuncia è supportata dal tentativo ben riuscito di rendere evidente il rapporto di causa ed effetto che, come un sottile fil rouge, lega la storia ucraina alla guerra in corso. Quadro storico perfettamente delineato, spiegato con la chiarezza del divulgatore e il lirismo del poeta. Nel romanzo si alternano scene storico-descrittive a momenti di pathos lirico, in una prosa al solito ricercata ma al contempo evocatrice. Nella matassa della vicenda si sgomitola l’allusione ai temi di libertà-indipendenza-virtù, legati al tema dell’identità nazionale del popolo ucraino. La vicenda personale del Professor Bolidan, colpevole agli occhi del governo sovietico di aver diffuso idee contrarie al regime, diviene emblema del perseguitato politico, quasi novello Socrate colpevole di aver “guastato” i suoi studenti. La sequenza riflessiva dedicata a Gogol e alla letteratura russa, i racconti di nonno Borys, la storia dei Cosacchi, l’holodomor, la perestroika culminano, in una sorta di climax ascendente, negli eventi che sconvolgono l’Ucraina, l’esplosione del reattore n.4 di Chernobyl prima, la guerra nel Donbass poi. Ed è proprio l’esplosione di Chernobyl, che tanti morti ha provocato e le cui cicatrici sono ancora visibili in terra ucraina e sul collo di chi, come me, all’epoca era bambina, funge da catalizzatore e determina la rottura dell’unità narrativa. I tre amici percorrono strade diverse. Grigor sempre più indottrinato dal regime, Polina attratta dall’uomo bello e dannato, Nazar, che era sempre stato docile e riflessivo, si salva grazie all’arte e alla bellezza.
Le vicende di Nazar, Polina e Grigor si intrecciano alla storia dell’Ucraina, raccontata diacronicamente attraverso una serie di excursus che movimentano il tempo della storia e il tempo del racconto. Bambini all’inizio del romanzo, che giocano e vagheggiano il mito dell’Italia felix, terra di sogno, crescono tra i racconti di nonno Borys, latore dell’ideale dell’identità nazionale del popolo ucraino, che svapora in una dimensione mitico favolistica e affonda le radici in un remoto passato che rivive nei racconti ancestrali e nella saggezza popolare degli anziani. Col passare degli anni, sull’onda di tragici eventi familiari e politici, i tre ragazzi si attestano su posizioni contrapposte, interpretando la dicotomia politica che opponeva ucraini e filorussi. La storia e la vita irrompono prepotentemente, quasi un deus ex machina che segna la storia di un trio altrimenti inseparabile. I due ragazzi ormai divenuti uomini si trovano a dover compiere una scelta etica e civile tra il giusto e l’ingiusto, tra il bene e il male, sul crocevia che conduce all’imperativo categorico kantiano. Ne deriva una sorta di parabola metafisica della coscienza umana che fa del romanzo un vero capolavoro.
Erminia Camarra
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Fin dal tempo della scuola elementare i due cugini, Nazar e Grigor, avevano appreso che l’Italia è una terra bellissima, accogliente, abitata da gente intelligente, allegra, amante delle feste, della buona tavola, della musica, del bel canto.
Le città ricche di monumenti, di chiese, di statue; il mare azzurro con spiagge meravigliose, i monti alti e corazzati di neve; tutto li affascinava.
Entrambi sognavano di visitare un giorno quella terra; si scambiavano notizie tratte dalla lettura di libri e di articoli che parlavano dell’Italia e seguivano con passione sportiva le squadre di calcio preferite. Ciascuno celebrava le vittorie della propria. Conoscevano tutti i particolari: i nomi dei calciatori, la loro posizione in campo, il colore della maglia, i giorni delle trasferte, gli infortuni e tutto ciò che i giornali sportivi scrivevano sulla loro vita privata.
A quel tempo le giornate finivano sempre con vere e proprie battaglie maturate nel corso delle lezioni scolastiche. Le cause erano sempre le stesse: ora il compiacimento verso una ragazza contesa, ora un favore apertamente rifiutato, ora un disaccordo sportivo. Tutto sembrava giustificare la formazione di due gruppi rivali, che al tramonto si sarebbero ritrovati sotto le mura della città, vicino a un boschetto che da tempo immemorabile proteggeva i giochi spesso violenti dei ragazzi di precedenti generazioni, un boschetto certamente il residuo di quel che un tempo doveva essere una grande foresta, come ce ne sono di immense a ovest verso i Carpazi.
Non si sa come, ma i due cugini si trovavano quasi sempre in diretto scontro, al comando di bande contrapposte, che non si risparmiavano nessun tipo di violenza: assalti con bastoni, sassaiole, calci e pugni. Il risultato era che alla fine molti di loro tornavano a casa sanguinanti e coperti di lividi.
Una sorte peggiore spesso toccava ai comandanti delle squadre che per incoraggiare i propri compagni si esponevano più degli altri.
Una sera di primavera, mentre tornavano dopo una dura battaglia, per strada li sorprese Polina, la bella biondina dalle lunghe trecce che sedeva al banco davanti a loro e per questo non faceva che lamentarsi invano, perché Grigor le pizzicava le cosce sempre allo stesso punto, tanto che a casa si ritrovava con due lividi blu.
-“ Le avete prese di brutto, disse la ragazza, vedendoli così malconci. Chi vi ha ridotto in questo stato?”
– “Non preoccuparti, non è niente, intervenne prontamente Grigor, noi maschi siamo abituati a divertirci così. Piuttosto, visto che ti sei impietosita, non potresti aiutarci? Non possiamo rientrare a casa, se prima non ci rimettiamo un po’ in ordine.”
-“ Siete fortunati, i miei ancora non rientrano; venite qui dietro in casa mia e vi aiuterò a lavare e medicare le ferite.”
-“ Tu che ne dici Nazar? Non è una buona idea? Così possiamo evitare rimproveri e botte dai nostri.”
Nazar che era un po’ timido in presenza di Polina, asciugandosi la fronte da cui scendeva un rivolo di sangue, non gli sembrò vero e assenti con il capo.
Polina, oltre ad essere bella e generosa, dimenticava le molestie e ricordava come Nazar non mancasse mai di difenderla, opponendosi con forza alle libertà che Grigor si concedeva.
Polina si illudeva di aver finalmente domato quel ragazzo dai capelli rossi e dagli occhi vivi e intelligenti con l’aver prestato la sua opera di infermiera o perlomeno di averlo addomesticato e fatto desistere dal tormento giornaliero che le infliggeva, perché da lì a pochi giorni dopo, dovette subire un affronto crudele da quello sfrontato e incorreggibile Grigor.
Quella mattina a scuola c’era un insolito via vai di ragazze che chiedevano di andare al bagno.
Tornavano in classe soffocando a stento risatine e ammiccamenti, guardando divertite Polina con aria beffarda.
Questa, diventata inquieta e sospettando qualcosa di spiacevole che la riguardasse, si affrettò a chiedere il permesso di recarsi al bagno.
Di solito le pareti dei bagni, specialmente quelli di scuola, sono crivellate da scritte e disegni osceni di ogni genere. Ma quello che Polina si trovò dinanzi agli occhi era qualcosa di orribile e inequivocabile che si estendeva per l’intera parete sinistra del bagno.
Vi era raffigurata nuda con il berretto di crocerossina in atteggiamenti amorosi con un giovane. L’affresco era sfacciatamente firmato con una G. Non c’erano dubbi, l’autore non poteva che essere Grigor, il quale tra l’altro era molto apprezzato dall’insegnante di educazione artistica per il talento che dimostrava nei suoi lavori.
Al bagno della scuola Grigor aveva lavorato tutta la notte.
Le lacrime di Polina e la protesta dei suoi genitori presso l’autorità scolastica provocarono il temporaneo allontanamento dalla scuola di Grigor e le spese di ripulitura della parete del bagno a carico della famiglia del ragazzo.
Passarono alcune settimane senza parlarsi, poi i due si riconciliarono e come se nulla fosse accaduto si poteva vederli percorrere la stessa strada per tornare a casa, entrambi accompagnati dal timido e tranquillo Nazar.
Come ogni estate, chiusa la scuola, i due cugini trascorrevano le vacanze nella casa di campagna dei nonni paterni a una decina di chilometri da Orikhiv, Oblast di Zaporizzja
Da giovane il nonno, un uomo alto e robusto, era stato al servizio di un vecchio pope, in qualità di fattore e uomo di fiducia. La sua prestanza fisica, unita alla sperimentata onestà, gli aveva fatto acquistare presso il pope grande stima, al pari di uno di quei dottori di teologia che frequentava ancora e che nelle grandi occasioni non mancavano di agghindarsi con una mantellina di pelliccia di ermellino, a garanzia di un maggior prestigio per la logica e la saggezza della parola biblica.
Alla morte del pope, a nonno Borys fu riconosciuto il diritto di continuare ad abitare con tutta la famiglia in quel grande casale, che in tempi lontani aveva sicuramente ben figurato nella vasta distesa di terra che giungeva fino alle colline.
Era una costruzione in pietra locale a due piani con ampi finestroni protetti da robuste inferriate. Attorno e davanti la casa, correva un lungo pergolato sostenuto da colonne poggianti su blindi e intervallate da graziose statue che raffiguravano personaggi fantastici e divinità dell’antica Grecia.
Qualche tempo prima della nascita dei due nipoti, il vecchio Borys si era premurato di far restaurare il casale, fornendolo degli indispensabili servizi di acqua e elettricità.
I tempi erano davvero mutati. Quelle cose che al tempo della sua gioventù venivano considerate esclusive comodità dei signori, ora erano alla portata delle famiglie dei suoi figli, che le utilizzavano con estrema naturalezza tutti i giorni, senza il minimo pensiero del passato.
Nel giro di poche stagioni estive trascorse a scorrazzare per i campi, a infastidire qualche pacifica capra arrampicata lungo un pendio scosceso, ad aiutare i genitori in piccoli lavori di riparazione di attrezzi o a far conoscenza con qualche contadino dei vicini villaggi, disponibile ad ascoltare le loro domande, i due cugini, ormai adolescenti, cominciarono a differenziarsi nel modo di spendere quel lungo tempo di vacanza, secondo le preferenze personali, che rivelavano chiaramente la loro diversa indole.
Il vecchio Borys si compiaceva a osservarli, seduto sulla soglia di casa o affacciato alla finestra, fumando la pipa. E si sforzava di immaginare la loro vita futura, la loro carriera, i loro figli che avrebbero continuato le tradizioni e la cultura della gente cosacca dalla quale discendeva.
Non era raro che la sera, sotto la pergola dove le nuore preparavano la tavola per la cena, finito il pasto, si disponeva a raccontare quella infinita storia del suo popolo, in parte appresa dalla viva voce del defunto dotto pope, suo datore di lavoro e benefattore e in parte da certi libri della sua biblioteca, che
spesso lasciava aperti sul comodino, accanto a libretti di preghiera che leggeva al lume di candela prima di addormentarsi.
La voce gli si incrinava tutte le volte (ed erano davvero tante!) che narrava le ingiustizie e le atrocità subite nel corso dei secoli dai cosacchi, nomadi, ortodossi, disprezzati e perseguitati dai russi. La stessa imperatrice Caterina II aveva sancito la loro schiavitù, dopo una lunga rivolta contro la Polonia, annettendo il loro stato all’impero.
Le promesse di libertà sistematicamente disattese, anche in seguito come sudditi dell’impero austro-ungarico, lasciarono nei loro animi, un miscuglio di disperazione, di sconforto, di desiderio di lotta e di conquista della libertà. Ma spesso la realtà politica fu loro avversa: sfrattati dalle loro case e deportati. La politica di russificazione equivalse sempre a distruzioni, a orrendi eccidi di massa e a quell’holodomor, rimasto incancellabile nella memoria del popolo, che provocò la morte per fame di milioni di persone.
La seconda puntata sarà online il 12 settembre.