Naufragar m’è dolce in questo mare
Di Pompeo Maritati
Probabilmente sull’Infinito saranno state scritte milioni di pagine e lo scibile umano su questa parola si sarà scontrato con inaudita violenza. L’infinito poetico è sicuramente la parte più bella, quella che riguarda i sentimenti in particolare l’amore per la propria bella, alla quale le si dedica amore infinito, per poi dopo un po’ di anni, sostituirlo con un altrettanto infinito amore. Forse, è ovviamente un mio personale parere, l’espressione più dolce data a questa parola è stata fatta da Giacomo Leopardi nella sua straordinaria poesia “L’Infinito”:
Quel che colpisce rileggendo questa poesia è la potenza del pensiero del Leopardi abbinata ad una rara sensibilità nell’uso dei vocaboli al punto giusto, si da dare al lettore più sprovveduto quella sensazione, che per certi versi si prova nel riflettere su come un sentimento d’amore debba necessariamente avere uno spazio “Infinito” quasi che la dimensione terrena gli sia stretta. E infine il suo “naufragar m’è dolce in questo mare” può essere definito, da una parte l’esaltazione estasiata che si prova nel sentirsi cullati dal proprio sentimento d’amore per la propria Donna, dall’altra invece il consapevole, ma piacevole naufragare dopo aver cercato di varcare inutilmente la soglia dell’Infinito.
Volendo affrontare un argomento che sotto il profilo dello spazio e del tempo presenta l’insormontabile incapacità da parte della razionalità dell’uomo di far proprio un concetto che secondo me non ci appartiene, non potevo fare a meno, in questo frangente di ricordare e per un po’ sognare, rileggendo la stupenda poesia del Leopardi, dedicata al suo mondo, alla sua delicata sensibilità, al suo grande amore: “Infinito”.
Solo che usciti fuori dai meandri dell’idillio amoroso e rientrati nella realtà terrena, la parola Infinito non in poche circostanze ci lascia sconcertati. L’Infinito è come l’eternità. Infinito è lo spazio che ci circonda e che ci comprende, come potrebbe essere infinito lo spazio temporale che è, sia dietro che davanti a noi, che usiamo chiamare Eternità. Vocaboli utilizzati spesso per rafforzare la descrizione di uno spazio e di un tempo.
Di questo vorrei parlare, del significato di questi due vocaboli che paradossalmente non appartengono alla capacità interpretativa dell’attuale logica umana. Non fraintendetemi, non sono ancora rincoglionito, la demenza senile incalzante non penso sia arrivata a generare in me danni così devastanti.
In effetti quando noi parliamo di Infinito e di Eternità ci riferiamo a due concetti simili attinenti l’indeterminazione del tempo e dello spazio. Lo spazio infinito, è il nostro universo che non ha un inizio e non ha una fine. L’eternità è il tempo che non è mai iniziato e non finirà mai. Sicuramente queste due definizioni potrebbero non essere condivise ma sono qui a discuterne con voi.
L’attuale nostra massa neurale ci consente di prendere in considerazioni spazi finiti, cioè dove c’ è un inizio e dove ad esse ne consegue una fine. Lo stesso per il tempo, non sappiamo idealizzare un tempo che non sia mai iniziato, ne tanto meno quello che non avrà mai fine.
Concetti che spesso hanno solo il risvolto negativo di farci venire un forte mal di testa. La nostra vita è iniziata un certo giorno e in un preciso giorno del nostro immediato futuro, come qualcuno dice, come previsto dal destino, questa terminerà. Ipotizziamo la fine del mondo ma non riusciamo a ipotizzare la fine dell’universo. Un paradosso nella nostra logica. Non riusciamo a pensare all’infinito e all’eternità come qualcosa di finito, non sappiamo spiegarcela ma abbiamo avuto la capacità di idealizzarla. Intanto se abbiamo un numero primo assoluto e ben determinato ci rendiamo conto che possiamo moltiplicarlo all’infinito, cioè per tante e tante volte, aumentando infinitamente e senza porre mai fine alla sua dimensione.
Lo stesso dicasi per il processo inverso, cioè se anzicchè moltiplicare quel numero anzidetto lo dividessimo. Anche qui la divisione continuerebbe all’infinito, cioè senza una fine. Un aspetto interpretativo di questi due vocaboli dovrebbe compromettere la nostra capacità, nonché la convinzione di capire i meccanismi che reggono la nostra realtà di essere viventi. Quindi darci quella convinzione “negativa” che tutto quello che facciamo in effetti è insignificante rispetto a ciò che è la reale dimensione terrena che stiamo vivendo. Paradossalmente l’uomo di questa inferiorità interpretativa ne ha fatta una sfida, uno sprone che lo porta costantemente a mettersi in gioco con la sua consapevole limitazione ma confidando nella sua capacità mentale di sapersi porre delle domande, indipendentemente poi da quanto sia capace di sapersi dare una precisa risposta.
E’ proprio qui la forza dell’uomo, la sua innata voglia di competere con le leggi che reggono questo universo. Basti pensare ad un altro paradosso, quello della determinazione temporale della vita. Cioè questa ha un inizio e per ora ha una sua inesorabile fine. Ciò nonostante ci arrabattiamo tutta la vita con più o meno determinazione alla ricerca della verità. Non ci arrendiamo e ne tanto meno gettiamo la spugna. Anche nei momenti più deludenti e più avvilenti riusciamo a trovare la forza interiore, mentale e psicologia di proseguire questa nostra vita, non curanti che la morte è sempre lì acquattata dietro l’angolo. Un pensiero questo che anzicché demoralizzare e avvilire, ci sprona spesso a fare bene e in fretta, anche se consapevoli di non poter arrivare alla meta. Possiamo definirci per questo dei poveri disgraziati in cerca di autore visto che questo al momento è troppo lontano e irraggiungibile attraverso una esatta matematica determinazione?
Se ipotizzassimo che su un pianeta o su una dimensione X, ci fossero degli esseri superiori che hanno già raggiunto la verità o che l’avessero avute sin dalle loro origini ( e qui poi casca l’asino, come potrebbero aver avuto delle origini se l’eternità non ha un inizio? Bella domanda!) guardandoci da lassù penso si sbellicherebbero dalle risate nel vederci dannare ogni giorni da decine di migliaia di anni alla ricerca della verità. Oppure la loro dimensione sarà tale che un certo tipo di sensazioni o di atteggiamenti non dovessero appartenergli?
L’Infinito e l’Eternità pur nella loro indeterminazione dello spazio e del tempo e ponendoci limiti severi, ci consente attraverso il pensiero di ipotizzare scenari di ogni genere e tipo, frutto di fantasie o di fantastiche convinzioni che comunque di fronte all’Infinito e all’Eternità, per ora non possono fare altro che aspettare un futuro migliore. Aggiungo solo un’ultima considerazione che quanto detto in materia di pensiero potrebbe trovare una ulteriore giustificazione, come peraltro già enunciata nel mio libro “l’Utopia della Ragione” che il nostro pensiero dopo la morte e il deterioramento dell’involucro umano, continui a spaziare nell’ Infinito e nell’Eternità.
Pompeo Maritati