“Nannì”- Una poesia per non dimenticare chi dimentica
di Anna Maria Nuzzo
NANNÌ
Da dietro una grata vedevo Nannì.
Sembrava essere rimasta
incastrata sulla sedia.
Teneva in mano
un talismano portafortuna.
Senza mai voltarsi
seguiva linee,
segni e ombre sul muro.
Di tanto in tanto le sfuggiva
di bocca un canto.
All’interno della stanza
un colore verdognolo
ricordava l’odore della tempera
che pizzica le narici.
Ha stretto mani e ascoltato,
adesso rimane solo l’amarezza.
Basta un po’ di vento
per far morire una foglia.
Su quelle pareti immaginava di tutto:
un bosco, il mare,
un frutteto con fiori di ciliegio
così delicati e fragili,
da essere staccati da un solo alito:
sono la bellezza passeggera della vita.
Sospesa tra realtà e assurdo
uscivo, camminando
senza meta per le strade.
Alzavo lo sguardo
e pensavo che il cielo
è mio quando lo guardo.
Nannì, fa parte di una mia raccolta di poesie “Ti ricordi il Biancospino?” pubblicata nel 2020. Versi che raccontano ricordi della mia infanzia.
Ci sono dei gesti, delle azioni quotidiane – generalmente considerate semplici e banali – che fanno parte della vita di ognuno di noi, che si compiono senza darci troppo peso e quasi inconsciamente, magari durante una giornata di pioggia o quando il sole illumina le nostre vite.
Gesti o azioni di cui non hai memoria, che pensi di aver dimenticato per sempre e che invece, ad un tratto, si manifestano inaspettatamente e diventano per noi come un tesoro nascosto.
Come Teresina, che passava tutto il giorno a strofinarsi l’indice e il pollice della mano destra guardando a terra. “Pio pio, na na, pio pio” diceva, cercando a piccoli passi le sue galline per dar loro da mangiare. Poi di colpo si fermava e ti guardava lontana, assente, e a te non restava che tuffarti insieme a lei nei suoi occhi blu e profondi come il mare.
E così che si dimentica, tornando indietro nel tempo.
E Maria invece. Guardava sempre oltre la porta chiedendo a tutti: “Ma chi è quel signore seduto in fondo al giardino. Sta tutto il giorno a fissarmi.”
Annetta invece teneva nel suo letto il suo bambino e diceva a tutti di fare silenzio, per non svegliarlo.
E Vincenzo, lui scappava sempre perché voleva andare a casa sua; chissà, forse anche lui cercava la casa della sua infanzia. Una volta fuggì sotto il naso di tutti e dopo qualche ora fu trovato nella periferia del paese.
E anche Nannì fa parte di quei ricordi che si fissano nella memoria. Se chiudo gli occhi la sento, la nostra vicina. Mi arrampico, come quando da piccola non volevo mangiare e mi arrampicavo più in alto possibile sulla grata del macellaio, nostro vicino di casa, per sfuggire alla zia Pina che mi inseguiva con il piattino in mano.
Sono su, in alto, e la vedo Nannì, legata ad una sedia di fronte a un muro.
Via via, la mia memoria è stata ricoperta da una cantilena: “Nannì, nana, ninna, naninana, ninananina, nananinnanani.” La cantilena ha trasformato i ricordi in una ninna nanna. Ma i lamenti e le urla non li ho mai dimenticati.