Mostra DONNE IN GABBIA, di Alina Rizzi, presso The art Company galleria a Como
Recensione di Serena Rossi
Su invito dell’amica Scrittrice, Giornalista e Artista Alina Rizzi di Campomarte (Como) ho visitato la sua mostra Donne in gabbia alla galleria The art company a Como, inaugurata proprio l’8 marzo per commemorare la forza delle donne.
Il giorno venerdì 25 marzo La Rizzi ha organizzato un reading di poesia a favore delle donne invitando me e altre poetesse eravamo: Alina Rizzi, Lina Salvi, Annitta Di Mineo e Serena Rossi.
Abbiamo letto poesie nostre sulle donne, io ho letto le mie liriche più una lunga poesia di Emily Dickinson che qui vi riporto: Sono viva suppongo, di Emily Dickinson
Sono viva – suppongo –
Rami nella mia Mano
Sono ricchi di Campanule –
E sulla punta delle dita –
Il Carminio – freme caldo –
E se tengo un bicchiere
Contro la Bocca – si appanna –
Per il Medico – prova del Respiro –
Sono viva – perché
Non sono in una Stanza –
Il Salotto – di solito –
Così che i Visitatori possano venire –
E chinarsi – e guardare obliqui –
E aggiungere “Com’è diventata – fredda” –
E “Era cosciente – quando è entrata
Nell’Immortalità?”
Sono viva – perché
Davvero non possiedo una Casa –
destinata a me sola – precisa –
E a misura di nessun altro –
E contrassegnata con il mio nome da Ragazza –
Così che i Visitatori possano sapere
Quale Porta sia la mia – e non si sbaglino –
E non provino un’altra Chiave –
Com’è bello – essere viva!
Com’è infinito – essere
Viva – due volte – (per) La Nascita che ebbi –
E (per ) questa – in più, dentro – Te!
(Traduzione di Laura Tedesco)
Al reading hanno partecipato attivamente parecchie persone di pubblico con interventi alla fine della lettura e domande sulla mostra ad Alina, è stato molto interessante ascoltare le poesie delle amiche presenti ognuna col suo verso ed il suo stile.
Tornando alla mostra ci sono esposte in volo, se vogliamo, cioè appese che cadono dal soffitto 22 gabbie piene di oggetti, come reliquie tra cui spesso bambole di plastica o porcellane, di varie epoche, anche disarticolate e scomposte. Per l’artista non è importante raggiungere un risultato estetico accattivante ma raggiungere lo spettatore col suo grido di pace e libertà per le donne.
La gabbia che più mi ha colpito è stata Miss Universo, gabbia dorata da cui escono braccia e gambe di bambole Barbie, proprio simbolo di bellezza infinita, la Rizzi le ha scomposte in tanti pezzi e li ha fatti uscire dalla gabbia liberando il grido di libertà, amara e aperta denuncia contro i concorsi di bellezza ancora oggi frequentati che lei ritiene iniqui in quanto lì viene giudicato solo l’aspetto esteriore della Donna.
Così scrive di quest’opera la Rizzi: … La gabbia dorata e luccicante che promette un futuro radioso da prima pagina, in realtà è la rappresentazione di un festival umiliante, fuori tempo massimo, dove le donne vengono ancora giudicate per la loro avvenenza fisica, lo stacco di coscia, la vita stretta. Giudicate come carne, quarti di bue, che sfilano davanti a una giuria che non le conosce e non è interessata né al loro passato né al loto futuro. Eppure ancora tante ragazze ci cascano in questo sogno superficiale e sessista.
Poi l’Artista ha dedicato due gabbie alla poetessa Emily Dickinson, tra cui l’opera La giovane Emily e dice…
Dedicata ad Emily Dickinson, considerata la poetessa dei fiori e delle api, a torto, perché fu una donna capace di grandi passioni, ma segrete, come voleva l’epoca. La sua stanza era la sua gabbia, non viaggiò mai. Qui si vedono libri e i suoi testi, le sue poesie trascritte a mano in un piccolo quadernino di pelle. Appeso in alto, un vestito di carta bianca, quell’abito che lei decise di indossare quando si recluse definitivamente nella sua camera fino alla morte.
Tutte opere di denuncia di donne cresciute o vissute in condizioni sfavorevoli private della loro giusta libertà, come le povere donne che vivono in Afghanistan ormai terra di talebani e delle loro leggi razziste verso la donna.
Mi ha colpito molto l’attenzione che la Rizzi rivolge alle grandi donne, letterate e artiste, morte suicida.
In una sua toccante poesia senza titolo tratta dalla raccolta La danza matta 2000-2010, ha letto una serie di nomi, tutti nomi di donne che hanno scelto la via dell’ultimo soffio per porre fine alle crudeltà subite.
Così scrive Marco Ercolani nel suo esplicativo e chiaro testo critico:… Non è infrequente che i bengalini, piccoli uccelli africani dai colori vivaci, vengano tenuti in gabbia solo per ornamento. Ma questo non è il caso di Alina Rizzi. Le gabbie, che l’artista espone nella sua mostra Donne in gabbia, non sono né decorative né ornamentali: portano tutte lo stigma della prigionia, della repressione, del dolore femminile. Non possiamo chiamare queste gabbie “sculture” o “pitture”: sono “oggetti” (non “objets trouvés”), al contrario oggetti non casuali, cercati perché diventino testimoni del dolore che esclude creature fragili dalla libera aria del mondo. Alcuni dei nomi usati da Alina per queste scene di prigionia sono significativi: Miss Universo, Scatola dei sogni, Lettere da Camille, La giovane Emily, Bambola, Afghanistan 2021, La moglie di Barbablu, Le stanze di alabastro, Ultima spiaggia, Questo non è un presepe, Elephant wooman, Madre terra, Scarpe rosse.
E allora grazie Alina Rizzi di averci fatto riflettere su motivi di contrasto e privazione di libertà che purtroppo ancora nel 2022 esistono e chiudono le donne in uno stato di privazione, le opere sia visive che poetiche esprimono pienamente il tuo dissenso alle ingiustizie sulle donne e lo fanno in modo garbato ed intelligente.
Alina Rizzi è nata a Erba (CO). Giornalista, scrittrice ed artista visiva, si dedica da sempre a realizzare iniziative rivolte alla valorizzazione del mondo femminile. Ha vinto premi letterari e partecipato a diverse antologie, l’ultima americana: La dolce vita (Running Press). Ha pubblicato romanzi, tra cui: Amare Leon (da cui il regista Tinto Brass ha tratto il film “Monamour”), Donne di Cuori e Scrivimi d’amore; libri di racconti come l’ultimo Bambino mio. Quello che le madri non dicono e raccolte poetiche. E’ la curatrice della grande opera collettiva La coperta delle donne, formata da piccole opere di donne artiste, tra cui un mio lavoro d’arte, esposta in diverse location importanti e tuttora conservata.
Contatto dell’Artista alinarizzi333@gmail.com