IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Montalbano e il “circo equestre”

montalbano-e-pasquano

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di Mario Pintacuda

Il primo romanzo di Andrea Camilleri in cui compare il commissario Montalbano è “La forma dell’acqua” (Sellerio, 1994). In questo libro il diretto superiore di Montalbano è il questore Burlando, che ha (casualmente?) lo stesso cognome della sua “zita” genovese, Livia. Con Burlando i rapporti sono improntati a stima reciproca e cordialità; ben presto però Burlando viene collocato in pensione: lo scopo di Camilleri era probabilmente quello di accentuare l’isolamento di Montalbano, contrapponendolo ad autorità sempre più “negative”,

Uno scontro “istituzionale” evidente fra Montalbano e le autorità “deviate” si ha già ne “Il ladro di merendine” (Sellerio, 1996): indagando su un traffico di droga internazionale, Montalbano scopre il ruolo svolto dai servizi segreti, che si sono resi complici dell’uccisione della giovane Karima, madre del piccolo François.

Un potente esponente dei servizi, il colonnello Lohengrin Pera, cerca in un colloquio privato di convincere Montalbano a mantenere la massima riservatezza sui fatti; la risposta del commissario è però perentoria: “Io e lei abbiamo concezioni diametralmente opposte su che cosa significhi essere servitori dello Stato, praticamente serviamo due stati diversi. Quindi lei è pregato di non accomunare il suo lavoro al mio” (“Il ladro di merendine”, p. 217).

Come scrive Gianni Bonina, «Camilleri dipinge il colonnello in maniera antifrastica: da un lato gli intesta un nome opimo e pretenzioso, Lohengrin Pera, e da un altro lo fa di minuscolo aspetto fisico, ‘con piedi così piccoli che le scarpe probabilmente doveva farsele foggiare su misura’. Ma l’antiteticità è giocata anche su un altro piano; forse in ricordo di un retaggio instillato nella coscienza italiana dallo stimolo a identificare – con esito da pirandelliano ‘sentimento del contrario’ – il massimo potere del re nella figura miserrima di Vittorio Emanuele III, Camilleri teorizza la proporzione omeopatica di un potere tento più alto quanto più minimo sia il suo detentore ma per questa ragione altrettanto pericoloso perché insospettabile» (Il carico da undici, ed. Barbera 2007, p. 70). 

A partire da “La voce del violino” (Sellerio, 1997), il nuovo questore, Luca Bonetti-Alderighi dei Marchesi di Mirabella, diventa il diretto superiore di Montalbano, instaurando con lui un rapporto teso e difficile, alle soglie del “mobbing”; come si legge ne “La gita a Tindari” (2000), «Bonetti-Alderighi era notoriamente un imbecille e che lo fosse l’aveva brillantemente confermato definendo il suo commissariato “una cricca di camorristi”» (p. 59).

Per l’analisi di questo arrogante personaggio, rinvio a un altro mio articolo su questo blog: https://pintacuda.it/2022/07/16/montalbano-e-il-signori-e-questori/.

Qui si può aggiungere che il rapporto di Bonetti-Alderighi con Montalbano è costruito spesso sul modello letterario del senex iratus della commedia latina, che minaccia aspri castighi al suo servus callidus. Bonetti-Alderighi stima poco e gratifica pochissimo Montalbano e i suoi uomini; deve però fare i conti con l’abilità del suo sottoposto, che spesso riesce a beffarlo e a eluderne i diktat.

Colloquio fra il questore Bonetti-Alderighi (interpretato da Giacinto Ferro, Palazzolo Acreide 1943-Valverde 2016) e il commissario Montalbano (Luca Zingaretti).

Nella sua attività lavorativa, il commissario viene spesso a contatto con altri personaggi; questo “circo equestre” (come suole chiamarlo) è composto da vari magistrati, dal medico legale Pasquano, dagli uomini della Scientifica. Anche questi personaggi hanno connotati ben delineati.

Il medico legale Pasquano (che nella serie televisiva fu interpretato dal compianto attore modicano Marcello Perracchio) è perennemente “’nsitato sull’agro”; accanito giocatore di poker, tressette e briscola, ghiottissimo di cannoli, non smette mai di brontolare e fa pesare a Montalbano le notizie ricavate dalle sue autopsie; tuttavia fra i due uomini, burberi entrambi, c’è un certo feeling e in fondo ricavano un piacere reciproco nello stuzzicarsi pesantemente a vicenda: “il dottore era anziano, lunatico e sgarbato, ma con Montalbano si facevano sangue” (“Par condicio”, in “Un mese con Montalbano”, Mondadori 1998, ried. Sellerio 2018, p. 66). Tuttavia, se Montalbano lo disturba telefonandogli a casa, Pasquano gli risponde tirando fuori il peggio di sé: “Ma macari mentri uno sinni sta a la sò casa a mangiare lei deve viniri a polverizzargli i cabasisi? Ma lo sa che lei non è un essere umano ma un robot tritacoglioni? […] Lo sa qual è la mia più alta aspirazione? Farle l’autopsia!” (“Un covo di vipere”, Sellerio 2013, p. 121).

Marcello Perracchio (Modica 1938-Ragusa 2017) nel ruolo del dott. Pasquano

Il capo della Scientifica Jacomuzzi è un esibizionista incurabile, sempre pronto a mettersi in posa davanti a fotografi e giornalisti; viene poi sostituito, per ordine del nuovo questore, dal giovane dottor Arquà, che è “una stampa e una figura con Harold Lloyd” e che “a Montalbano non faceva sangue” (cfr. “La voce del violino”, p. 29).

Giovanni Guardiano nel ruolo di Jacomuzzi

Il capo di Gabinetto Lattes è viscido e mellifluo (tanto da essere soprannominato “Lattes e Mieles”), con una “ariata di sagristia” e la “pelli rosso-maialisca per mancanza di varba” (“La luna di carta”, Sellerio 2005, p. 15); dimentica perennemente che Montalbano vive da solo e gli chiede sempre della sua “famiglia”.

Infine, il pubblico ministero Niccolò Tommaseo guida “come un drogato ‘mbriaco” (“Una voce di notte”, p. 113) e presenta esplicite connotazioni da maniaco sessuale: “quanno si trattava di beddre picciotte ammazzate, di omicidi passionali, di ‘mbrogli amorosi, Tommaseo ci sguazzava, s’arricriava” (“Una voce di notte”, p. 118). In particolare, nel romanzo “Un covo di vipere” (Sellerio 2013), quando Montalbano invia al pm una serie di fotografie che ritraggono ragazze in pose oscene, trovate a casa di un uomo assassinato, Tommaseo va in estasi: «Montalbano se l’immaginò mentri che tanticchia di sputazza bianchizza gli si coagulava ai lati delle labbra» (p. 79).

Giovanni Visentin nel ruolo del pm Tommaseo

Quando il commissario va a trovarlo, lo trova intento ad affiggere le foto ingrandite a una parete, con le puntine da disegno: «’Na pareti era già tutta cummigliata. Supra alla scrivania, cinni stavano ancora ‘na cinquantina. Pariva la redazioni di ‘na rivista pornografica» (pp. 209-210). Tommaseo è sull’orlo di un collasso: «notò che la facci del pm era addiventata che pariva di cira, senza sangue, e che le mano gli trimavano leggermenti» (p. 210). In questo pubblico ministero penosamente maniacale, Camilleri denuncia l’arroganza, la volgarità e l’incompetenza di certi funzionari preposti a incarichi importanti e di grande responsabilità.

Nel complesso, Montalbano nei confronti di questo “circo equestre” mostra un ironico disdegno (fatta eccezione per il dott. Pasquano, per il quale nutre una sincera stima nonostante il “malo carattere”). Ciò dipende anche dal fatto che il commissario è assolutamente privo di ambizioni: non vuole essere promosso a vicequestore, ha terrore di un trasferimento (che sconvolgerebbe la sua vita abitudinaria), preferisce continuare a vivere tranquillo senza allontanarsi da Vigàta. È quindi del tutto alieno da servilismo e adulazioni, dimostrando un fiero disprezzo per coloro che, detentori di un qualunque potere, ne fanno un uso arrogante e spregiudicato.

P.S.: Di questi e altri argomenti parleremo venerdì prossimo, 13 settembre 2024, alle ore 19, all’Hotel San Paolo Palace di Palermo in occasione di un incontro-dibattito organizzato dal Rotary Club di Palermo, diretto dal dott. Filippo Castelli. In quell’occasione io, Vito Lo Scrudato e Bernardo Puleio avremo modo di riproporre riflessioni e analisi tratte dal nostro volume “Camilleriade – I luoghi, il commissario, i romanzi storici”, edito da Diogene Multimedia (Bologna 2023). L’incontro sarà coordinato dal prof. Franco Lo Piparo, docente emerito dell’Università degli Studi di Palermo ed esperto di Filosofia del linguaggio.

Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico “Andrea D’Oria” e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all’Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E’ sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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