IL PENSIERO MEDITERRANEO

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Le-sue-dita-come-stecchi-di-mandorlo

Le-sue-dita-come-stecchi-di-mandorlo

di Maurizio Mazzotta

I racconti  che presento sono tratti dal romanzo breve  Le sue dita come stecchi di mandorlo – essereuomo in Amazon. Regalo le poche copie rimaste a chi ha il piacere di leggere libri e vuole conoscere tutta questa storia, peraltro alcuni brani sono già apparsi in queste pagine. Nonno e nipote: scambio di emozioni. il nonno racconta due secoli del Salento e consegna al nipote le origini della famiglia intrise di gioie, dolori e incanti. 

Modesto

Il nonno parlò più volte di Modesto, con qualche appendice di poco conto in risposta alla curiosità del nipote, perciò la storia di Modesto fu una delle più lunghe, superava il percorso all’interno della masseria e prendeva numerose andate e ritorni lungo il viale degli oleandri all’esterno. Fu, senz’altro per l’età di Marco, la storia più affascinante che ascoltò dal vecchio e la più dramma­tica: un uomo nato bracciante e destinato bracciante presso il fratellastro, il tentativo di ribellarsi a un destino paradossale che poneva disuguaglianze tra due fratelli, Salvatore latifondista e Modesto umile lavoratore di braccia.

Marcò capì per il modo con cui il nonno pronunciava il nome di Modesto che tra i due doveva esserci stato qualcosa di molto forte e infatti, quando Modesto abbandonò la  ribellione e i briganti e la necessità lo spinse a gravitare nell’area del fratellastro,  in poco tempo divenne zio a tempo pieno.

Aveva cinquantacinque anni quando cominciò a portarsi a caccia il ragazzo, che ne aveva dieci, e decise che gli avrebbe fatto da secondo padre. Gli insegnò tutto sulla caccia e sugli animali, in particolare sul toro, mentre gli argomenti affrontati da Salvatore per istruire il figlio erano la campagna e gli altri animali, quelli da allevamento. La rivalità tra i due “padri” si esprimeva bizzarramente: insegnare più cose a Vincenzo su campi affini. Modesto fu più abile, invase il campo di Salvatore inserendo tra i suoi discorsi i capitoli sul toro.

La vita di Modesto era stata una continua trasgressione: la nascita, l’essere stato brigante, e Salvatore, quando Vincenzo sfuggì totalmente al suo controllo, si convinse che il figlio aveva imparato da quel suo fratellastro la voglia di uscire dalle vie tracciate. Vincenzo si trattenne a Roma, oltre gli studi, e Modesto a poco a poco si allontanò dalla masseria né Salvatore fece qualcosa per trattenerlo.

– Mio padre si sbagliava, concludeva il nonno parlando a Marco, non fu trasgressione, anche Modesto aveva seguito una via tracciata, quella di miseria della madre, meno fortunata di mia nonna. Una via che lo condurrà, in braccio ai briganti.-

Gigantesco e forte, l’espressione estremamente mutevole, tenera e dura, affettuosa e gelida, Modesto era, ai tempi del nonno  Vincenzo, una istituzione alle Torri. Per chiudere un lungo racconto, inoltratosi nella notte, una sera ritornaro­no dentro la masseria con l’intenzione di un ultimo percorso nel frutteto, ma sulla scala e sul ballatoio non c’era più nessuno per cui il nonno scelse di fermarsi e sedersi. E continuarono. Nell’interno della casa la nonna si muoveva con il lume a petrolio.

La luna era tramontata e con essa anche i grilli. La luce azzurra della notte era forte e permetteva di vedere quel che bastava per intendere i gesti e tramite i gesti le espressioni dei volti. Il nonno riprese calcando l’avventura, quasi temesse che Marco si potesse addormentare. Marco non si addormentò mai ascoltan­do il nonno, era un fuoco d’artificio per la sua mente. Con la nonna si addormentava poggiando la testa sulle ginocchia, seduto su un minuscolo sgabello perché la nonna aveva un effetto di culla. Così sul ballatoio gli raccontò di Melchiorre e come e perché Modesto giunse alla masseria. Modesto si era presentato alla masseria verso la fine del Sessan­taquattro quando lasciò al suo destino il brigante Melchiorre, che martirizzava il capo di Leuca come ai tempi dei Turchi, capì che era “nu uastasi” e non gli piacque più. Chiese lavoro al fratellastro e lo fece per la madre, vecchia, non sapeva come darle da mangiare.

Questa di Modesto fu l’unica storia che Marco riportò al cugino Rinaldo e all’amico Fabio, depurata da quegli aspetti troppo intimi che riguardavano la vita del nonno e il suo rappor­tarsi col gigante, enfatizzata per ciò che poteva colpire la fantasia degli amici come aveva eccitato la sua: la mole e la forza di Modesto, il suo coraggio e la ribellione, i briganti, le battaglie, e ancora,  gli ambienti selvaggi e impervi, le avventure.

Rinaldo e Fabio! Anch’essi ai tempi del palazzo e nei mesi inver­nali proposti col contagocce. Fabio, coetaneo e compagno di scuola, andava a trovarlo di tanto in tanto per fare i compiti insieme; Rinaldo, cugino,  con un anno in più, di età e di scuola, lo vedeva, a parte i giorni festivi, raramente.

Marco desiderava stare insieme a loro ed era geloso del fatto che il cugino e il compagno di scuola si frequentassero da sempre per contiguità territoriale abitando a stretto giro di cortile. A quei tempi era il motivo più grave per il quale si sentiva prigioniero nello smisurato palazzo che affascinava Fabio. Si accorgeva d’estate, confrontandosi con Fabio e con Rinaldo, di essere in condizioni di inferiorità, sempre qualcosa di meno, come quantità di tempo passato insieme, come quantità di cose vissute insieme, come cose che non si potevano raccontare, in quanto ineffabili e che li tenevano insieme e li facevano gagliardi. Meno e diverso per le raccomanda­zioni della madre quando cominciò con apprensione a lasciarlo andare. Mi raccomando non sudare! Il cugino non capiva anzi gli sembrava paradossale e rideva non per ferire Marco, che rimaneva ferito, ma perché erano messaggi contraddittori. Va e gioca ma non sudare. A un ragazzo di quattordici anni! Mi raccomando senza scalmanarsi, aggiungeva la zia. Questa parola era nuova per gli amici, la trovavano così buffa che si scompisciavano dalle risa. Per questo ai tempi della masseria, durante l’estate, Marco cercava il riscatto. Per prima cosa: gli amici a tempo pieno: di giorno erano sempre lì. Poi si scalmanava. Scalmànati scalmànati lo incitava Rinaldo, che non aveva mai legato con la zia Irene e con la sorella di lei Francesca, e come avrebbe potuto se a stenti avevano legato col loro unico figlio; si divertiva a spostare l’ac­cento: scàlmanati, scalmànati, scalmanàti. Infine il riscatto più grande per Marco: raccontava. Quando erano esausti di moto e di avven­ture, di campagne visitate percorrendo in bicicletta sentieri e carraie, e gli amici si stravaccavano sotto i fichi dalle foglie larghe generosi d’ombra, non lo era Marco, non sentiva la stanchezza, doveva recupera­re e trasferiva le storie del nonno, essenzialmente di Modesto, che divenne la loro storia.


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