Miscellanea attorno al mondo della lirica. Capitolo 9: ENRICO STINCHELLI
di Emilio Spedicato
Il suo libro “Stelle della lirica” mi ha introdotto al mondo della lirica
Ascoltando raramente radio e televisione, non sapevo della straordinaria trasmissione La Barcaccia gestita sui Rai3 da una ventina di anni da Enrico Stinchelli e dal suo amico Michele Suozzo. All’inizio del mio recente interesse per la lirica fui attratto dal libro Le stelle della lirica, scritto da Stinchelli per l’editore Gremese, di cui apprezzai il contenuto (sono descritti circa seicento cantanti la cui voce è ascoltabile su disco), le valutazioni sui cantanti, e la raccolta di fotografie. Un libro di cui ho acquistato decine di copie da offrire alle persone intervistate (fra gli altri libri regalati, Le grandi voci di Rodolfo Celletti e Il prezzo del successo di Renzo Allegri).
Molte persone con cui ho discusso il libro mi hanno celebrato la qualità della trasmissione La Barcaccia, per il suo carattere enciclopedico e la verve dei presentatori, abilissimi nel mostrare sia le doti che i (piccoli generalmente….) difetti dei cantanti considerati.
Dall’amico Andrea Lo Vecchio, compagno di ginnasio e uno dei maggiori autori di canzoni del Novecento italiano, ebbi il telefono di Suozzo, che tuttavia non potei incontrare. Ho avuto l’email di Stinchelli via il sito di Facebook del soprano Maria Dragoni, e da Stinchelli è giunta velocemente la risposta al questionario che segue.
- Viene da famiglia musicale?
Non esattamente. Una famiglia di giornalisti piuttosto, ma una mia zia, sorella di mio padre, studiò canto e debuttò Gilda in “Rigoletto” all’Eliseo di Roma. Rigoletto era il suo fidanzato di allora, si chiamava Pipitone di cognome e studiava da avvocato: quando entrò in scena, mio padre, appollaiato in loggione con alcuni amici, gridò “A Pipito’, levate la gobba!”.
Non gli stava simpatico.
- Quando scopre il suo interesse per la musica, e per quali tipi di musica?
Non da bambino. Mi piaceva disegnare. Fu grazie a una trasmissione televisiva condotta da Luciano Rispoli, dedicata a Giacomo Lauri Volpi: fecero ascoltare la Pira e quel do luminoso e interminabile fu la chiave d’accesso al meraviglioso e folle mondo dell’Opera. Mi misi subito a imitarlo, urlando a squarciagola, nascosto in camera. Poi iniziai ad ascoltare la radio, Radio3, in attesa che trasmettessero il “Trovatore” completo: durante quell’attesa ascoltai una marea di musica e di altre opere, fu così che nacque la passione.
- Ha orecchio assoluto?
Ho un ottimo orecchio, grazie a Dio. Non assoluto, forse relativo, ma finora non mi ha mai tradito.
- Lei è regista, autore e conduttore ma anche tenore e ha avuto esperienze come direttore d’orchestra. Cosa ha realizzato in questi ambiti?
Non ho mai voluto limitare la mia passione e soprattutto ho sempre applicato una vecchia, sana regola: “Conoscere per giudicare”. Cosa che dovrebbero fare tutti. Ho avuto l’opportunità e la voglia di studiare pianoforte e canto, seguendo un percorso singolare (dati i miei plurimi impegni) prima come baritono dall’età di 18 anni, poi come tenore (ma non valevo granché perché cantavo “spoggiato”, vuol dire senza una respirazione e una posizione corretta), poi di nuovo come baritono, stavolta con esiti decisamente migliori. Ho avuto la fortuna di studiare con due grandissimi baritoni, Giuseppe Valdengo e soprattutto Giuseppe Taddei, dai quali ho imparato moltissimo. Ma nel canto non si finisce mai: il vecchio Gigli disse a Pavarotti “Io ho finito di studiare… 5 minuti fa!”. Tra le mie incredibili fortune, ho avuto modo di debuttare persino come direttore d’orchestra, dirigendo un Galà operistico presso le più grandi sale tedesche, dalla Philharmonie di Berlino a Monaco, Amburgo, Bonn. Una tournée che va avanti da 8 anni. Le soddisfazioni sono state e sono infinite: la gioia di cantare assieme al mio idolo, Taddei, il più grande baritono mai esistito; gli applausi e la stima di Ghena Dimitrova, i sinceri complimenti di Franco Bonisolli, con cui stabilimmo una bellissima amicizia ; e la frase sussurrata a mezza bocca da un famoso critico, seduto al ristorante dopo una recita a Montepulciano in cui avevo cantato in “Falstaff” di Verdi. Rivolto ad alcuni suoi colleghi disse: ”Sarò costretto a scriverne bene…”. Questo è forse il più bel complimento ricevuto finora, perché autentico e finalmente non ipocrita.
- Quando è nato il suo interesse per la comunicazione in campo musicale, realizzato in particolare nella Barcaccia?
Fu grazie al famoso musicologo Giovanni Carli Ballola che lavorava alla Rai e mi chiese di collaborare con una trasmissione sulla musica da camera di Antonin Dvoràk, di cui non sapevo… nulla! Però studiai, mi preparai a dovere e piacqui e da allora non ho più lasciato Radio3 o , meglio, Radio3 non ha lasciato più me. La Barcaccia nacque nell’ottobre del 1988, fu un’idea di Paolo Donati, figlio di Maria Caniglia e brillante funzionario Rai. Voleva una cosa nuova… e di fatto la Barcaccia lo è stata, fin dalla prima puntata. Oggi siamo arrivati a oltre 4700 puntate. E’ un programma che si rinnova di anno in anno, seguendo il mutare dei tempi e delle situazioni.
- Come valuta l’ esperienza della Barcaccia, esiste altro di simile in Italia o all’ estero?
No, non esiste al mondo nulla di simile perché non esistono cloni in giro di Enrico Stinchelli e Michele Suozzo! Scherzi a parte: è un format difficile da ricalcare. Bisognerebbe possedere i nostri archivi, i nostri dischi, le nostre competenze, la nostra verve e soprattutto il nostro smisurato amore per il melodramma. Inoltre è un programma che utilizza molto la fantasia, la fiction, sullo stile della famosa “Biblioteca di Studio Uno” con il Quartetto Cetra, che per me resta l’unico vero insuperato modello, insieme al non-sense surreale della radio di Arbore. Quelli sono i maestri. E’ un’esperienza fantastica: è un programma-cult, tra i più longevi della Rai, ed è al contempo – in epoca di crisi – un’ottima flebo per l’Opera.
- Fra i direttori del passato, quali ritiene più importanti e perché?
Furtwaengler, Walter, Serafin, Gui, Karajan, Kleiber, oggi Abbado, Thielemann. Sono i più grandi, a mio avviso, perché hanno compreso e valorizzato l’assoluto che c’è in ogni esecuzione musicale, centrando sempre il punto focale di un’Opera o di una composizione sinfonica, senza inutili sovrastrutture, con profonda semplicità. Mi piace anche molto Celibidache, il maestro zen.
- Fra le primedonne del passato, quali l’ hanno affascinato di più?
In primis la Callas: sarò banale ma è stata la più grande. La prima cantante moderna, eterna, nel più completo senso del termine. La sua forza dirompente prende e trascina sia nel repertorio belcantistico sia nel verismo, di cui è interprete sublime. Mi piacciono molto anche la Sutherland, la Nilsson, la Horne, la Cossotto, la Obratzsova, la Scotto, la Bumbry…
- E fra i primiuomini … quali?
Caruso, Gigli soprattutto, Pertile, Lauri Volpi (i suoi fantastici acuti), Kraus, Pavarotti, Del Monaco, Corelli, Di Stefano (il poeta del Canto), Cappuccilli, il meraviglioso Wunderlich, Taddei il Leone, Fischer Dieskau, Ghiaurov, Siepi.
- Passando ad oggi, quali soprani?
Sono tanti, e come Lei sa, l’ambiente dell’Opera è suscettibile e rancoroso come pochi: nomini una e scontenti l’altra. Dirò che come cantante-attrice io ho una predilezione particolare per la Antonacci, trovo bravissima la Netrebko in alcuni ruoli (come Norina nel Don Pasquale), mi piacciono la sicurezza della Ganassi, il talento della Dragoni e della Rancatore, il colore della Ricciarelli, la tecnica della Devìa e della Dessì, la potenza della Urmana.
- E mezzosoprani e contralti?
Ce ne sono di meno. Mi piace la Zajich, un vero castigo di Dio, la bellissima Garança, la Barcellona, Manuela Custer, Marina Comparato, Marianne Cornetti. Sono un grande ammiratore di Ildiko Komlosi e di Ekaterina Gubanova, che ha cantato una splendida Fricka nella “Valchiria” del 2010 alla Scala, con Barenboim.
- E tenori?
Florez e Albelo sono due straordinari tenori leggeri, tra i lirico spinti (attivi in questo repertorio) metterei in testa Alvarez, Shicoff, Alagna quando è in serata, Berti, Armiliato.
- E baritoni?
Tra le giovani leve ve ne sono alcuni davvero eccellenti: Viviani, Capitanucci, Salsi, Caoduro, ci son sempre Hvorostovsky, Hampson, Nucci, Bruson, anche se nei concorsi è una corda che latita..
- E bassi?
Tra le voci dell’Est c’è ancora un ‘ottima scuola: Orlin Anastassov, Ildar Abdrazakov, il giovane Beloselsky, ma io non dimenticherei i nostri italiani Roberto Scandiuzzi, Carlo Colombara, nel repertorio rossiniano Michele Pertusi e Lorenzo Regazzo.
- Quali libri riferiti all’ opera consiglierebbe maggiormente, a parte il suo Stelle della Lirica?
La ringrazio per la citazione. Io consiglierei i bellissimi libri di John Rosselli, in particolare “L’impresario d’Opera” che aiutano a capire com’era l’Opera due, tre secoli fa rispetto a oggi. E aggiungerei i due volumi di Roland De Candè dedicati alla “Storia della Musica”, che aiutano a capire il fenomeno Musica dalla nascita al Novecento. Se proprio si è vociomani, allora c’è la ristampa de “Le Grandi Voci” a cura di Fedele d’Amico, con la prima collaborazione di Rodolfo Celletti: all’epoca non ancora condizionato da giochi e impicci vari.
- E quali autobiografie di cantanti?
Nessuna. Guardi, sono agiografie una uguale all’altra. Se cambia il nome dell’interprete vedrà che il contenuto si adatta a meraviglia per chiunque: io qui, io lì, il mio trionfo di qua, di là, etc.. Sono illeggibili. Alla fine del libro sembra che l’unico cantante al mondo sia quello ritratto in copertina… per carità.
- E biografie di cantanti?
Quasi peggio. Perché in questo caso l’ “io qui, io lì” viene sostituito da “lui (lei) qui, lui (lei) lì”. Un agiografo delirante scrive in stato di estasi mistica. No, no grazie. Mi hanno proposto decine di biografie di questo tipo, mi sono sempre rifiutato.
- Quali opere ritiene di grande valore e non ancora abbastanza apprezzate?
Nessuna. I capolavori sono tutti alla luce del sole, non credo nelle riscoperte sensazionali. Qualche gioiellino in giro c’è ancora, ma la storia ha reso giustizia ai veri capolavori. Dov’è un altro Boris? Dov’è un’altra Traviata? Dov’è un’altra Valchiria?
- Ritiene importante riscoprire tutte le opere vocali di Händel e di Telemann?
No. Nel settore del Barocco esiste una sorta di delirio, somigliante alla possessione diabolica. Non tutte le opere di Händel sono capolavori, vi sono momenti di una noia mortale e pagine di bellezza incomparabile. Telemann, poveretto… scrisse quanto Bach e Mozart messi insieme, ma non c’è una sola pagina, non una melodìa che una persona normale saprebbe fischiettare a memoria. Un sublime manierista, ma il genio dimora altrove.
- Il suo giudizio su Puccini?
Un immenso uomo di teatro, un raffinato melodista, un musicista completo attento a tutto ciò che gli ruotava attorno, culturalmente parlando. Tra l’altro è un autore difficilissimo da eseguire, mi stupisco che lo si metta in cartellone con tanta disinvoltura. Quando leggo “La Bohème è un’opera per giovani cantanti” inorridisco: è la più colossale cavolata! Per cantare la Bohème com’è scritta i vogliono fior di artisti navigatissimi, di tecnica eccezionale e con voci benedette da Dio, altro che giovani freschi di concorso. Non parliamo poi della difficoltà esecutiva per direttore, coro e orchestra! Forse è un caso che maestri conclamati come Abbado, Muti, Barenboim, Maazel, lo stesso Mehta non abbiano Bohème in repertorio? Puccini è tra gli autori più eseguiti (male), essendo il più ineseguibile. Un paradosso.
- Quali compositori di oggi valuta maggiormente?
Quelli che non si prendono sul serio e che compongono con leggerezza. Gli autori delle colonne sonore, per esempio: scopiazzano palesemente da Wagner, Puccini, Stravinsky, Rossini… ma con abilità mefistofelica rimaneggiano, impastano e voilà…il gioco è fatto! Come abili prestigiatori. Io la penso come Shostakovich, forse l’ultimo grande compositore: quando compose la sua Sonata per viola e pianoforte nel 1975 , poco prima di morire, la fece iniziare citando clamorosamente il Chiaro di Luna di Beethoven. Gli chiesero “Perché?” e lui disse:” Perché OLTRE non si può andare!”. Proprio lui che aveva sondato ogni territorio possibile e immaginabile. Ecco un genio. Un altro era Stravinsky. Dopo il trionfo del Rake’s Progress a Venezia, Lo acclamarono a lungo e lui, stanco e curvo, andando verso il sipario per una nuova ovazione si rivolse al segretario e disse:” Et si ça c’est la vie…. merde alors!”. Un altro genio, aveva capito tutto.
- Il mondo della lirica è davvero in crisi? Motivi…
Non le basta questo volume! Gliene do almeno 108 di motivi! In sintesi: caste, cricche, malaffari, mafiette e mafie….C’è un po’ di tutto, come nel resto del mondo. Alla base l’ignoranza. Non puoi mettere un ignorante (colui che ignora) a capo d’un teatro o d’una direzione artistica. Spinoza diceva giustamente Che l’ignoranza è immorale. Il fatto è che l’ignorante di turno, bisognoso di conquistarsi poltrona e lauto stipendio, viene nominato da un altro ignorante che è il sindaco, a sua volta nominato da uomini politici ignoranti. Poi ci sono le eccezioni, oasi benedette dal Cielo: prendiamo per esempio Salerno. E’ una città piccola, tagliata fuori finora dai grandi giri internazionali, ma un sindaco illuminato ha voluto un teatro d’eccellenza; ha nominato Oren, che è un grande direttore d’Opera, e gli ha dato carta bianca. Salerno oggi è meglio del San Carlo di Napoli e, a ben vedere, cast e cartelloni, si mangia l’Opera di Roma e umilia molti spettacoli della Scala, che ha più del decuplo delle sovvenzioni. Per me alla base di ogni nefandezza non c’è solo la disonestà, che alla fine può persino essere compensata dalla sapienza e dalla passione (i vecchi impresari erano dei furfanti ma CONOSCEVANO le opere e le voci adatte): alla base di ogni guaio c’è la non conoscenza, l’ignoranza appunto. Come a Parma, per esempio, dove l’ignoranza regna sovrana (e non parlo del pubblico, poveretto, che ha solo la colpa di adeguarsi a tutto).
- Ci saranno futuri Caruso, Titta Ruffo o Callas giapponesi o cinesi o coreani?
Già ci sono! Ho sentito a Bologna un tenore coreano che imita Corelli quasi alla perfezione. Dico “quasi”. Di nuove Callas il mondo pullula, peccato che nessuna sia come l’originale. Lei appenderebbe al muro un finto Picasso o la Gioconda riprodotta con i pennarelli?