Mentre scrivo, piovono le bombe russe sull’Ucraina
di Paolo Vincenti
Mentre scrivo, piovono le bombe russe sull’Ucraina ma la difesa ostinata di Zelensky non solo non pone fine alle ostilità ma anzi le alimenta. L’Occidente, fedele alla linea della pace con le armi, invia in Ucraina ordigni bellici per rafforzare le milizie della resistenza. A dire il vero, i governi dell’Occidente inviano armi, ché le popolazioni, le Caritas, le Ong, la Chiesa, le associazioni religiose inviano viveri e beni di prima necessità, medicine, vestiti, denaro.
L’opinione pubblica, quella che si indigna e condanna Putin e il suo vile atto di aggressione, incita il governo ucraino a resistere, a non cedere allo sporco ricatto, a non piegarsi all’invasore. Siamo alle solite. Che pacifismo è quello che chiede la tregua armata, che vuole la liberazione di un popolo con i fucili e le bombe? È un irenismo di facciata, ideologico, politicizzato.
Chi canta fuori dal coro, poi, viene sempre marginalizzato se non, peggio, denigrato ed insultato. Ma è la forza della ragione che spinge a dire che le cause di questo conflitto, la sua genesi, sono molto più complicate di qualsiasi liquidatoria separazione del mondo fra buoni e cattivi. Sono d’accordo con quanto afferma il Prof. Antonello Ciccozzi, in un’intervista a Selvaggia Lucarelli su Radio Capital: “Che ci sia un invasore e un popolo invaso è indiscutibile ma in questi giorni chiunque osi dire che armare gli ucraini sia una scelta eventualmente poco condivisibile viene tacciato di essere filorusso o un pacifista da bandiera della pace sul balcone. Si può ascoltare chi ha un parere diverso, chi ha una visione più ricca di sfumature anche non condividendola ma che può aiutare a interpretare il punto di vista degli altri”.
Io continuo a sostenere che l’Ucraina si deve arrendere, deve cedere alla ragione del più forte, quella della violenza, della ribalderia, della prepotenza. Solo così si potrà salvare. Bisognerebbe non inviare armi sempre più sofisticate ma, al contrario, invitare l’Ucraina a disarmarsi, affinché possa consegnarsi con maggiore facilità all’invasore. In questo modo le forze russe si fermeranno e si porrà fine all’inutile spargimento di sangue.
“È proprio il mecenatico Occidente che sta gettando nella più totale rovina l’Ucraina. Quanto più essa viene invogliata, con foraggiamento di armi e denaro, a resistere, tanto più la Russia avrà tempo di ridurla in macerie. Far massacrare un popolo, pur sapendo che l’esito non può che esserne la resa, o il conflitto nucleare per tutti, è il crimine di guerra più obbrobrioso e repellente di questo mondo”. Così scrive il poeta Nicolino Longo, su www.Odissea.it. Ai tavoli delle trattative occorre spingere l’Ucraina ad annullare la richiesta di entrare nella Nato ed incoraggiare invece la Russia ad accettare la sua adesione all’Europa. Solo così le negoziazioni conseguirebbero un successo. È bene che la Crimea ed il Donbass siano interamente annessi ed ufficialmente riconosciuti alla Russia, anche nel rispetto delle volontà delle popolazioni locali. Alimentare la narrazione mediatica del coraggio e dell’eroismo di un piccolo Davide, quale il presidente Zelensky, contro il gigante Golia Putin serve ad ammannire ad un Occidente in crisi di sistema e in perdita di valori un baluardo di orgoglio identitario vetero novecentesco già travolto dalla storia, un vessillo di furore nazionalistico che dovrebbe essere già stato spazzato dal vento dei cambiamenti. Con il manicheismo e le semplificazioni forzate non si va da nessuna parte.
Afferma ancora il Prof. Ciccozzi: “Ormai i media sono affetti da una tentazione dilagante alla polarizzazione, alla divisione netta in due tribù nemiche. Durante le guerre questo comporta che gli spettatori finiscano arruolati in un fronte virtuale dove diventa obbligatorio stare da una parte sola, è vietato soprattutto riflettere sul gioco tra le parti. Questa perdita di terzietà può essere pericolosa, particolarmente in questo caso, perché fa allargare il fronte di guerra in una divisone dell’immaginario collettivo in due parti. Armare con l’elmetto di guerra e il fucile le narrative mediatiche intorno al conflitto è particolarmente pericoloso perché aumenta il rischio di escalation bellica da un piano di conflitto regionale a un piano di guerra globale che sarebbe termo nucleare”. E a proposito del pacifismo interventista: “se c’è la resistenza e dall’altra parte si combatte, gli ucraini fanno la stessa fine. Non verranno deportati ma salgono comunque sui treni per scappare e chi resta muore”.
Intanto a Mariupol e Sumy si crepa barbaramente e nemmeno i corridoi umanitari vengono rispettati: una orribile, tragica mattanza di poveri civili perché comandano i sentimenti e non soccorre la ragione. Solo la resa immediata potrebbe fermare tutto ciò. Certo, una resa tattica, ovvero una finta, in attesa di tempi migliori.
Trovo splendide le parole di Angelo Gaccione, direttore del sito letterario Odissea, il quale, riprendendo la posizione di Michele Serra, pubblicata su “Repubblica” qualche giorno fa, scrive: “Confortato dai suggerimenti di Serra, e dalle sue proposte ardite, arrivo a dire che se fossi stato membro del governo ucraino mi sarei battuto per sciogliere l’esercito e non avrei fatto aderire il mio Paese ad alcuna alleanza di tipo militare. E se qualcuno avesse voluto invadere la mia patria mi sarei recato in televisione e lo avrei sfidato davanti al mondo intero: Venite pure, avrei detto, non troverete carri armati né soldati; né contraerea né missili. Troverete solo gente inerme e disarmata: troverete anziani, donne, bambini, operai, contadini, impiegati, studenti, professori che non opporranno resistenza. Potete occuparci ma avrete vita difficile: non collaboreremo con gli occupanti in nulla, praticheremo una disubbidienza civile attiva e il mondo vi disprezzerà. Avrei protetto in tal modo la vita e i beni dei miei compatrioti, le nostre bellissime città, il nostro apparato industriale. Avrei evitato distruzioni, profughi, disperazioni, odii, e forse l’invasore si sarebbe fermato. Avrei usato l’alternativa alla logica delle armi di cui ha parlato Serra, e prima di lui Tolstoj, Gandhi, Russell, Einstein, Cassola, e papa Francesco”.